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I rischi del plebiscito Renzi

Matteo Renzi ha già vinto il Congresso? Anche se Guglielmo Epifani ancora non ha fissato la data, con gli ultimi endorsement illustri, la strada che porta il sindaco alla Segreteria del Pd sembra essere già segnata.

Rassegnati alla supremazia del rottamatore?
Lo ha detto senza tanti giri di parole Beppe Fioroni, dopo tante battaglie contro il rottamatore, ormai quasi rassegnato ai nuovi inaspettati equilibri a prevalenza renziana nel partito: “In un congresso in cui c’è un candidato che rappresenta l’80% e 5, 6 o 7 candidati che faticano tutti insieme a dividersi il 20% , io prendo atto che c’è un solo candidato”.

Ma è Corradino Mineo a sottolineare i rischi di quello che si prefigura un plebiscito a favore del rottamatore: “Renzi  è il vincitore naturale del congresso, nel momento in cui si candida – ha messo in chiaro l’ex direttore di Rai News 24 – e questo è un pericolo per Renzi e per il Pd. Per il Pd perché ci sarebbe bisogno di un congresso vero in cui le posizioni politiche come quelle di Cuperlo o di Civati, andrebbero esaminate e profondamente discusse. Invece si rischia un congresso plebiscitario, tutti con Renzi e non se ne parla più. Ed è un rischio per Renzi: perché  Renzi è credibile in quanto cambi il modo di far politica”.

I rischi per il Pd e per “Matteo”
Insomma il paradosso è che da un partito noto per le sue discussioni (e le sue liti) si passi a un partito che accetta senza discutere il nuovo leader, la supremazia del cavallo di razza che può far vincere le elezioni, cavallo di razza, e qui sta l’altro paradosso, prima ostacolato in ogni modo e considerato estraneo alla scuderia dominante.

Un’acclamazione che forse non farà piacere neanche all’acclamato che avrebbe preferito un’incoronazione dal basso più che dalla nomenclatura del partito prima tanto criticata. Così vanno bene gli applausi e le strette di mano alle Feste Pd, presidiate palmo a palmo. Ma è anche dalle alleanze e dagli equilibri interni che passa la conquista del partito, Renzi l’ha capito. E ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, cambiando la sua etichetta. Non più “rottamatore” ma “riciclatore”, accollandosi delle critiche sicuramente poco gradite ma anche l’appoggio di tanti leader che contano per la sua corsa.

Chi prova a fermare la deriva Dc del Pd
L’ultimo di questi, Dario Franceschini, è stato sicuramente il colpo più duro per quanti stanno provando a fatica a raddrizzare il piano inclinato verso Renzi re di Largo Del Nazareno. Il sì al sindaco del ministro per i rapporti con il Parlamento mina quel trio che prima deteneva il controllo della “Ditta”, Franceschini-Letta-Bersani, l’unico che forse poteva dare filo da torcere a “Matteo”. Ma con il netto cambio di direzione di Franceschini e il tirarsi fuori dalla mischia di Letta, l’ex segretario dovrà volgere lo sguardo da un’altra parte. Magari verso il suo ex alleato del Pci e poi dei Ds Massimo D’Alema e il suo candidato Gianni Cuperlo. Le speranze della sinistra contro una deriva democristiana del Pd sembrano ora passare tutte da questo nome.

Gli altri nomi in campo sono quelli di Gianni Pittella che nonostante la simpatia renziana oggi in un’intervista al Tempo conferma la sua candidatura e auspica un confronto sulle idee, a partire dall’Europa. E Pippo Civati che non si arrende alle “larghe intese” che si stanno prefigurando nel futuro del Pd: “Mi pare un’ottima idea, che mi permetterò di contrastare, fino all’ultimo giorno. Con decisione, passione e orgoglio. Perché secondo me la sinistra italiana si merita altro e quantomeno questo: che ci sia una partita vera. Non l’eterno ritorno dell’uguale, che non se ne può più”.

 

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