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I 5 gruppi in cui il Congresso americano si divide sulla Siria

Il Congresso degli Stati Uniti sarà chiamato a decidere nei prossimi giorni se autorizzare o meno un intervento militare in Siria, come richiesto dal presidente Barack Obama.
L’Amministrazione Usa ritiene di avere prove inequivocabili dell’uso di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad, ma nel Paese e nel ceto politico stenta a crescere il consenso verso un nuovo conflitto dopo l’ultimo decennio di guerre in Iraq, Afhganistan e Libia.

Tuttavia il Commander in Chief – che in un recente incontro con i leader di Capitol Hill si è detto “fiducioso” in un voto favorevole all’attacco – ritiene che il Parlamento non potrà che dargli il supporto necessario per difendere i “valori”, la “sicurezza” e la “credibilità” dell’America.

Intanto il segretario di Stato John Kerry, quello alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo degli Stati maggiori unificati delle Forze armate degli Usa, Martin Dempsey, hanno iniziato un delicato lavoro di mediazione volto ad assicurare al presidente Obama i 535 voti necessari a vedere accolta la sua strategia, dai contorni ancora poco chiari, ma che nelle intenzioni prevede un attacco-lampo di natura punitiva e deterrente e non il dispiegamento di truppe di terra, come nei più recenti conflitti.

Ma alla vigila del voto, il Congresso appare inequivocabilmente diviso in quelli che il Washington Post ha identificato sinora in 5 gruppi.

1) Intervento immediato, con o senza il Congresso
Questo gruppo include diversi senatori democratici (Bob Mendez, Carl Levin, Bill Nelson) repubblicani (Johnny Isakson, Peter King) e diversi deputati, tra cui la leader della minoranza democratica alla Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi e il “whip” della minoranza democratica alla Camera dei rappresentanti, Steny Hoyer.
Crede che in Siria si sia consumata una gravissima violazione dei diritti umani e che Obama debba intervenire in fretta, senza aspettare il non necessario voto del Congresso, al quale si è affidato “abdicando alla sua responsabilità” e “minando l’autorità dei futuri presidenti“.

2) Attacco massiccio, prolungato e da terra
Questo piccolo gruppo, composto in prevalenza da repubblicani, vorrebbe che Obama intervenisse in modo molto più forte di quanto annunciato, sul modello dei conflitti in Iraq e Afghanistan. È guidato dai senatori John McCain e Lindsey O. Graham. Ritiene che un attacco troppo leggero non servirebbe a nulla, mentre deporre Assad rimane l’obiettivo primario per fermare le violenze in Siria e porre fine alla guerra civile.

3) Lieti di discutere la questione in attesa di decidere
È il gruppo più numeroso, composto da indecisi o da chi ancora non ha mostrato pubblicamente il proprio orientamento anche in previsione delle delicate elezioni di mid-term. In larga parte non vedono di cattivo occhio un intervento militare, senza però averne chiari tempi e modi. Tra loro il senatore democratico Christopher Coons e quello repubblicano Trey Radel.

4) Gli scettici
Del gruppo – composto sia da democratici sia repubblicani – fa parte chi ritiene che Obama non abbia contemplato fino in fondo le conseguenze di un intervento, che potrebbe infiammare ancora di più la regione, innescando processi incontrollabili. Il riferimento è a un probabile coinvolgimento dell’Iran e di Israele nel conflitto. I nomi più in vista sono quelli del senatore repubblicano Marco Rubio e di quello democratico Joe Manchin III.

5) Assolutamente contrari
Questo gruppo è il frutto di un’improbabile alleanza tra il fronte isolazionista libertario, vicino al Tea Party, attento alla spesa pubblica e contrario a finanziarie una guerra di Obama e di “colombe” liberali, che portano ad esempio le conseguenze disastrose del conflitto in Iraq.

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