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Obama pensa alla Siria e dimentica la minaccia cinese. Il pensiero di Bremmer

Gli Stati Uniti stanno vivendo una fase mai sperimentata prima, la perdita dell’influenza globale. Niente catastrofismi, resteranno comunque la più importante nazione al mondo. Il rischio che ha di fronte Washington, secondo Ian Bremmer, presidente del centro studi Eurasia Group, esperto di relazioni internazionali e docente alla Columbia University, non è un collasso come quello dell’impero romano, ma piuttosto una diluizione della sua influenza all’estero e un indebolimento della sua forza all’interno dei suoi confini. Da parte di chi? Della Cina.

L’ascesa cinese

“La grande e unica sfida all’autorità degli Usa – ha spiegato su Themarknews.com – è il potenziamento della Cina come colosso politico-economico. Pechino sta per diventare la seconda economia mondiale, avendo recentemente scalzato il Giappone da quella posizione. E’ già leader nel commercio mondiale. Nel 2006, gli Stati Uniti erano il principale partner economico di 127 Paesi, la Cina di 70. Ma, nel 2012, i numeri si sono rovesciati: Pechino si è garantita 124 Stati, mentre Washington solo 76. E i Paesi che sono ora meno dipendenti dagli Stati Uniti si sentiranno più svincolati probabilmente anche a livello politico-internazionale”.

Il focus di Obama sul Medio Oriente

L’amministrazione Obama si è vantata molto della strategia “Pivot to Asia”, secondo cui gli Stati Uniti starebbero focalizzando la loro politica estera per rafforzarsi nella sfera d’influenza cinese. Una linea che, secondo Bremmer, sembra però essere stata tralasciata in agenda. “Non ho sentito John Kerry menzionare questo obiettivo dalla sua nomina a segretario di Stato. D’altro canto, l’attenzione di Washington è stata concentrata tutta in Medio Oriente, e in particolar modo in Siria, Egitto e Israele/Palestina (con la discussione sulla minaccia nucleare iraniana destinata ad infiammarsi ulteriormente)”, prosegue.

Il crollo della credibilità internazionale Usa con il Datagate

Per controbilanciare l’ascesa economica cinese, secondo l’esperto gli Usa devono creare nuove alleanze per stimolare le liberalizzazioni. Bisogna quindi costruire una coalizione di “economic willing”.
Peccato che le rivelazioni della talpa Edward Snowden “abbiano minato la fiducia negli Usa che è necessaria per coordinare una coalizione di questo tipo. Non solo, lo scandalo Datagate ha anche vanificato gli sforzi americani di fare pressione morale sulla Cina, stoppando la pratica di ignorare le regole che disciplinano il commercio internazionale e che la maggior parte delle democrazie industriali seguono”.

La frattura economica sociale

Ma la debolezza statunitense si ripercuote anche a livello interno, “con indebitamento statale e gap sociale crescenti” che rendono l’America non più la superpotenza mondiale ma solo “un altro Paese”.

I punti di forza Usa: indipendenza energetica e innovazione
Ma, commenta Bremmer, non bisogna tralasciare fattori importanti. “Se le sfide sono reali, gli Usa sono ancora l’unica vera superpotenza mondiale. Basta guardare alla rivoluzione energetica americana. Sfruttando il suo shale gas, gli Usa possono definirsi per la prima volta esportatori netti di petrolio. E il Paese è ancora il più innovatore al mondo. Le più importanti tecnologie che hanno cambiato l’economia mondiale sono state sviluppate all’interno dei suoi confini. Se c’è un Paese che ha le carte in regola per adattarsi ai cambiamenti e difendere i suoi interessi nonostante l’indebolimento della sua supremazia economica e politica, questo è gli Stati Uniti”, conclude Bremmer.

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