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Siria, la guerra di Obama comincia sui media

La missione del presidente Barack Obama non è semplice: deve convincere il Congresso americano della necessità di intervenire militarmente in Siria per punire il regime di Bashar al-Assad per il presunto uso di armi chimiche.

La proposta attualmente prevede una durata limitata dell’intervento in sessanta giorni (con la possibilità di prorogarli a novanta) e l’interdizione delle truppe di terra per operazioni di combattimento.

Secondo il Washington Post, i numeri non ci sono e i deputati che voteranno “no” alla richiesta di Obama sono la maggioranza. Il tempo per convincere gli indecisi e i contrari non è molto: il Senato voterà la proposta questo mercoledì e forse venerdì lo farà sul testo definitivo. La Camera invece, si esprimerà la settimana prossima.

Per Obama i numeri non tornano
Obama deve anche scuotere l’opinione pubblica, che si interroga sulla necessità dell’azione e sui costi che essa potrebbe avere per le finanze americane. Per questo, secondo l’ultimo sondaggio di Pew, il 48% dei cittadini che sostengono il partito Democratico del Presidente è contro l’intervento in Siria.

A poco è servito il lavoro fatto fino ad ora per convincere i repubblicani a sostenere la proposta di intervento militare. Secondo il Washington Post, i calcoli della settimana scorsa non favoriscono Obama. Circa 227 membri della Camera di rappresentanti hanno deciso che voteranno “no” e solo 25 sono sicuri di votare sì. Il numero di oppositori cresce mentre quello a favore diminuisce.

La campagna mediatica
Per questo motivo Obama comincerà oggi una campagna mediatica: si tratta di sei interviste a diverse emittenti televisive, che saranno trasmesse prima del discorso di domani dalla sala Ovale. Questa sera il presidente sarà su Fox, Cnn, Pbs, Cbs, Nbc e Abc. Una copertura mediatica così ampia di un evento politico non si era verificata da novembre scorso, durante la campagna elettorale per le presidenziali.

Ieri sera il presidente è arrivato a sorpresa ad una cena con i senatori repubblicani nella residenza del vice-presidente Joe Biden, ai quali per mezz’ora ha spiegato i suoi motivi per cui gli Stati Uniti dovrebbero attaccare la Siria.

Il discorso di Assad
Non è un caso che le interviste di Obama siano trasmesse oggi, perché anche questa sera la Cbs trasmetterà l’intervista a Bashar al-Assad in cui il presidente siriano afferma che non esistono prove che possano incriminare il regime per l’attacco con armi chimiche dello scorso 21 agosto. Charlie Rose, il giornalista che ha intervistato Assad a Damasco, ha anticipato che il presidente ha negato “di avere qualunque cosa a che vedere con questo attacco”, sottolineando come non abbia “utilizzato armi chimiche contro il” suo “popolo”.

La strategia diplomatica di Kerry
Per il Segretario di Stato John Kerry, invece, le prove ci sono e parlano da sole. Per questo a Londra ha incontrato il suo omologo britannico William Hague, e per tutto il fine settimana si è confrontato con il governo francese sulla determinazione a sanzionare il regime siriano. Kerry ha incontrato a Parigi anche i suoi omologhi dei Paesi arabi e il segretario generale della Lega araba, Nabil al Arabi.

Il presidente François Hollande ha detto invece che parlerà solo dopo il voto del Congresso americano e la diffusione del rapporto degli ispettori delle Nazioni Unite.

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