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I giudici hanno ammazzato l’acciaio italiano

In pochi anni l’Italia ha visto una forte contrazione del settore produttivo. Una desertificazione industriale che non si arresta ma anzi, viene alimentata dalla notizia che Riva Acciaio cesserà da oggi tutte le attività dell’azienda, tra cui quelle degli stabilimenti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco) e di servizi e trasporti (Riva Energia e Muzzana Trasporti).

A spiegarlo è stato stesso Gruppo Riva con una nota dove si legge che gli impianti non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento Ilva di Taranto.

UNA SCELTA OBBLIGATA
La decisione, secondo l’azienda, è stata necessaria poiché dopo il provvedimento di sequestro preventivo penale del GIP di Taranto, il gruppo ha subito il blocco delle attività bancarie, che impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività.

LA RABBIA DI FEDERACCIAI
Una situazione che, secondo il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi (nella foto), “rappresenta l’esito annunciato di un accanimento giudiziario senza precedenti, da me ripetutamente denunciato già in tempi non sospetti“, anche in un’intervista a Formiche.net, nella quale aveva criticato le scelte della magistratura.
Per Gozzi “la conseguenza di un braccio di ferro tra magistratura e Governo, con la magistratura che ha prevalso vanificando, di fatto, ben due leggi dello
Stato, la legge 231 e quella successiva sul commissariamento“.
Di fronte a ciò – sottolinea il presidente di Federacciai – “dobbiamo con ancor più urgenza e forza chiederci quali strumenti possiamo mettere in campo per garantire nel nostro Paese una reale libertà di impresa. Strumenti a cui Riva Acciaio non ha potuto fare ricorso“.

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