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Non è necessario un partito anti euro, ma…

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Sono grato a Formiche.net perché ha scelto d’essere uno dei pochi media a condurre un serio dibattito sull’euro senza gli atteggiamenti fideistici tipici della maggior parte delle testate. Proprio per questo motivo desidero puntualizzare l’analisi fatta da Edoardo Petti sui lavori che si sono svolti in occasione della presentazione del libro di Antonio Rinaldi sulla fine dell’euro (Europa Kaput, Piscopo Editore). Petti si domanda se fosse giunta l’ora di creare anche in Italia un partito anti euro, come accaduto in Germania e in altri paesi europei. La mia valutazione è che così accadrà se i partiti non prenderanno in seria considerazione nei loro programmi che va profondamente riformato il sistema euroeconomico-monetario europeo, perché diventa tale con la condizionalità fiscale che chiede la Bce per intervenire a favore dei debiti sovrani e delle banche, perdendo il contributo che può dare la dialettica naturale tra la politica monetaria e quella fiscale. I ritardi in questa direzione rischiano di causare in Europa una frattura anche più profonda e permanente di quella inflitta dalle due guerre mondiali.

Le accuse alla Germania
Nell’intervento di chiusura del Convegno, Giorgio La Malfa ha giustamente attirato l’attenzione sugli applausi, talvolta scroscianti, che hanno accompagnato ogni accusa rivolta alla Germania, che denotano il male che va facendo il mantenimento sia dell’attuale architettura istituzionale che della politica di austerità, che solo una visione miope ritiene che operi a favore dei tedeschi e di pochi altri paesi membri.

L’orizzonte delle elezioni europee
Agli inizi del prossimo anno ci saranno importanti elezioni europee, perché il nuovo Parlamento, non più i Governi, sceglierà il prossimo Presidente della Commissione e l’Unione si troverà a fronteggiare una situazione più difficile nel quadro geopolitico. Se i partiti attuali non riuscissero a portare al centro del dibattito elettorale il tema delle riforme europee, non meno importanti di quelle nazionali – anzi, forse, il loro presupposto – non solo si allontanerà il temuto emergere di una grossa componente antieuropea nel nuovo Parlamento, se non proprio una maggioranza, che sarebbe paradossale perché negherebbe democraticamente il suo stesso essere, ma si spianerebbe la strada all’emergere di un nuovo partito anche in Italia che raccolga queste istanze. E se non accadesse né l’una, né l’altra cosa, si rafforzerebbe nell’ambito dei partiti esistenti la componente che persegue l’obiettivo di distruggere anche ciò che di buono è stato fatto, ignorando che l’unione europea è l’unica risposta che possono dare i paesi che, per popolazione e reddito, non possono competere con i vecchi e i nuovi giganti geopolitici.

L’obiettivo da raggiungere
Se i partiti non saranno capaci di indicare e di portare avanti le linee di queste riforme, insistendo sulla posizione dei gruppi dirigenti che l’Europa è una cosa meravigliosa che deve essere protetta nelle sue attuali strutture e seguita pedissequamente nei suoi dettati di politica economica deflazionistica, e si limiteranno a porre al centro delle loro preoccupazioni la crescita, senza dire però come raggiungerla dato che l’austerità non è stata capace di farlo, allora sarà necessario che anche in Italia si dia vita a un partito che non si caratterizzi per l’obiettivo di uscire dall’euro o dalla stessa Unione perseguendo una visione disfattista, ma persegua un obiettivo di pace (che non è solo quella bellica) e di benessere (che non sia solo materiale, ma civile).

Come
Come raggiungere questo obiettivo, impedendo il collasso dell’Unione Europea?
Poiché da anni conduco questa battaglia sul piano delle riforme economiche, chiedendo (a) di dotare la BCE di più poteri, dando a essa obiettivi coerenti con l’oggetto dei Trattati; (b) di sistemare in modo non deflazionistico gli eccessi di indebitamento pubblico offrendo una garanzia comunitaria di loro rimborso; (c) di accettare il patto di bilancio in pareggio (fiscal compact) in contropartita del potere attribuito alla Commissione e al Parlamento di condurre politiche industriali e infrastrutturali nell’ambito del deficit fiscale del 3% previsto dal Trattato di Maastricht, sottopongo questa mia azione a un continuo riesame, che gli europeisti “ad oltranza” non si sognano di fare.

Il muro di gomma dei gruppi dirigenti italiani
Nel corso del convegno ho preso atto che la via economica della riforma europea da me proposto – e che continuo a considerare assolutamente necessaria – si scontra contro il muro di gomma dell’errata visione dei gruppi dirigenti italiani – e non solo di questi – che alla fine l’Europa progredirà e ci troveremo tutti meglio. I sintomi tecnici di una piccola ripresa produttiva induce oggi questi gruppi a sostenere che le politiche di austerità fiscale e, in parte, monetaria-creditizia cominciano a produrre i loro effetti e, quindi, dobbiamo continuare su questa strada. Ho forti dubbi che ciò possa avvenire e, quando percepiremo le conseguenze, l’Italia, come altri paesi europei, avranno sceso molti gradini sul piano del benessere sociale e della posizione internazionale, gradini che non potranno essere risaliti, insistendo che la colpa è delle mancate riforme nazionali e non di quelle che l’Europa non è capace neanche di delineare.

Tornare alle origini
Ho anche sostenuto che se si tornasse alle origini in cui i singoli settori (carbone e acciaio, energia atomica, agricoltura, tessile, siderurgia e altri) avevano ricevuto una considerazione unitaria e concordata a livello europeo, anche con fatica ed errori, ma in ogni caso benefica, mentre oggi i settori vengono lasciati a se stessi e si cannibalizzano tra loro all’interno dell’Europa ancor prima d’essere spazzati dalla concorrenza esterna, e si dedicassero invece meno energie fisiche e intellettuali alle macropolitiche monetarie e fiscali guadagneremmo un po’ di tempo e di consenso agli ideali di pace e di sviluppo comuni. Ho concluso affermando che la via economica è esposta a dubbi interpretativi e ideologie pericolose, mentre la via giuridica indicata da Guarino contiene elementi oggettivi propri del diritto. Poiché questa è la strada intrapresa dalla Germania ricorrendo alla sua Corte Costituzionale per contrastare la politica di intervento sui debiti sovrani della BCE (denominata OMT), la quale è stata recentemente sostenuta da un gruppo di 136 eminenti studiosi capeggiati dal collega Manfred Neumann, anche l’Italia deve intraprenderla.

I due capisaldi
Le linee indicate nello stesso Convegno da Giuseppe Guarino possono essere riassunte in due capisaldi: il primo è che il regolamento 1466/97 che ha aperto la strada alla politica di austerità – sostituendo l’obiettivo dello sviluppo con quello della stabilità e il metodo delle sanzioni con quello dei divieti – è illegittimo perché modifica con una decisione di ordine giuridico inferiore una decisione di ordine giuridico superiore, le norme dei Trattati e perché viola l’oggetto dell’accordo europeo che prometteva crescita e ha dato recessione. Una strada quindi che appare meno aleatoria e impervia della via economica finora perseguita.

Le mie analisi e le mie proposte, come quelle contenute nell’Appello per un nuovo Trattato europeo, divulgate da queste stesse colonne, sono a disposizione di tutti i partiti. Se sapranno accoglierle, non sarà necessario la nascita di un Partito ad hoc altrimenti, piaccia o non piaccia, è ciò che accadrà.

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