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Basta balle, Telecom era da tempo spagnola. L’analisi di Giacalone

Telecom è passata nelle mani degli spagnoli di Telefonica. Una cessione che ha aperto un dibattito sull’importanza di tutelare l’italianità di asset strategici per il Paese, come le telecomunicazioni.
Da dove nasce il fallimento della prima compagnia telefonica d’Italia? Da molto lontano secondo il consulente, scrittore ed editorialista Davide Giacalone (nella foto), già consigliere del ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni Oscar Mammì e oggi firma dei quotidiani Tempo Libero, che in una conversazione con Formiche.net individua responsabili e ragioni di un declino annunciato.

Giacalone, cosa accade a Telecom?
Assolutamente nulla. Non comprendo il clamore di queste ore e le conseguenti invocazioni della difesa dell’italianità di un’azienda che non è più italiana da diverso tempo.

Si spieghi meglio.
Telecom è straniera dal 1999, quando fu scalata da Roberto Colaninno con una società con sede in Lussemburgo. Poi nel 2007 sono subentrati gli spagnoli di Telefonica, che da allora sono partner della compagnia. Quindi bisogna dire con onestà che il tema è un altro.

Quale?
Che le posizioni e le regole, se ci sono – e in Italia ci sono, malgrado quello che dicono in molti – vanno sostenute e rispettate sempre e non invocate a seconda dei casi particolari. Non credo sia un problema di golden share. Piuttosto non è possibile che, se i proprietari sono italiani, allora si possano aggirare le norme, come fu fatto nel 1999 attraverso un’operazione con una holding lussemburghese, mentre se sono spagnoli o di altri Paesi tutto andrà a scatafascio. Decidano: analfabeti o ipocriti. Tra l’altro è utile ricordare che gli spagnoli, oltre che soci, sono per metà nostri “connazionali”, vista la comune appartenenza all’Unione europea. Difendere oggi Telecom non ha senso, bisognava farlo prima.

Non si ha però l’impressione che, pur essendo tutti sotto il tetto comunitario, gli altri Paesi difendano con forza i loro asset più pregiati?
Vero, alcuni Paesi difendono i loro interessi con le unghie e con i denti, ma lo fanno in un contesto di maggiore trasparenza.

Un’opacità, quella italiana, che molti osservatori imputano al capitalismo di relazione. Il caso Telecom è emblematico della fine di quel modello?
La compagnia è stata spolpata con complicità politiche e di coop rosse. E retta nel frattempo da una finanza ottusa. Ma non credo sia affatto un fenomeno concluso. Quello a cui assistiamo è solo il caso di alcune persone che facevano parte di quel salotto e che ora sono senza quattrini. Ma a loro ne sono subentrate altre. La sostanza non cambia, il gioco è lo stesso. E porterà altri guai.

A cosa si riferisce?
Telefonica e Telecom Italia sono le due società di telecomunicazioni più indebitate d’Europa. Certo, da una parte i debiti di queste società paradossalmente sono per il momento la loro maggiore difesa da un’acquisizione. Ma è anche vero che il titolo Telecom è fortemente sottovalutato, le sue azioni sono ormai a un prezzo bassissimo. E non passerà molto prima che qualcuno con un po’ di liquidità decida di comprare la compagnia in un colpo solo e ad un costo da saldo.

Molti invocano la strategicità della rete. Quali strumenti allora per tutelarne la proprietà italiana?
Anche in questo non condivido ciò che leggo e sento in queste ore. Chi nutre angoscia per il destino della rete, ritiene forse che si tratti di uno strumento per pescare. Siamo di fronte a un problema di regolatore e non di proprietà. Temo che molti fra coloro che sollevano questi timori, si siano accorti che rinunciare alla rete e ai suoi ricavi da affitto significhi piuttosto perdere una vacca da mungere, come avvenuto in passato.

C’è chi invoca il pericolo spionaggio per cittadini, istituzioni e imprese.
In caso di emergenza nazionale, come può essere una guerra, è chiaro che non si possa condividere la rete con chicchessia, nemmeno con un privato. Ma questo già lo sancisce la legge e speriamo di non doverlo mai mettere in pratica. Chi agita queste paure è rimasto probabilmente alla visione del film “Le vite degli altri”, dove cambiando gli spinotti si ascoltavano le telefonate dei cittadini nella Germania est. I tempi sono cambiati e ci sono molti strumenti per difendersi da ciò. E poi, per dirla tutta con una battuta, visti i precedenti non mi pare che la nostra privacy fosse eccezionalmente tutelata quando Telecom era italiana.

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