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Lampedusa, perché la Bossi-Fini è un falso problema

Nuova tragedia nel canale di Sicilia, dove si è rovesciato un barcone con 250 migranti. Già avvistate delle vittime, mentre si aggrava il bilancio dell’incidente della settimana scorsa a Lampedusa: sono 328 i corpi recuperati. Il nuovo episodio non fa che alimentare il dibattito sulla legge anti-immigrazione Bossi-Fini, considerata da alcuni troppo restrittiva, nonché la vera causa di questi incidenti.
C’è chi invece, come Natale Forlani, direttore generale dell’ufficio immigrazione del Ministero del lavoro, la pensa diversamente. “La Bossi-Fini – sostiene – non c’entra nulla con la tragedia di Lampedusa e non possiamo più permetterci l’ingresso di manodopera straniera”. Ecco perché in una conversazione con Kong News.

La tragedia di questi giorni a Lampedusa, l’ennesima, ha riacceso sull’onda dell’emotività, i riflettori sulle nostre politiche dell’immigrazione e rimesso in discussione la Bossi-Fini e il reato di clandestinità. La prima cosa che ti chiedo è se esiste un rapporto di causa-effetto tra le morti di Lampedusa e la Bossi-Fini o se siamo di fronte una bieca strumentalizzazione politica?
Non esiste alcuna correlazione tra quello che sta succedendo nel mediterraneo e la legge Bossi-Fini, nemmeno relativamente alle implicazioni riguardo alla gestione degli ingressi irregolari. I paesi dell’area sud del mediterraneo sono completamente destabilizzati, sono aumentate le aree coinvolte da esodi biblici di persone in fuga da guerre e carestie . Gli accordi diplomatici in essere con Tunisia, Egitto, Marocco, per il controllo dei flussi irregolari e la gestione dei rimpatri sono, di fatto, privi di efficacia. Non mi pare che il dibattito politico italiano abbia contezza della portata dei cambiamenti in atto. Al solito tendiamo a guardare al nostro ombelico. Peraltro i cambiamenti normativi che qualcuno auspica, come il superamento del reato di clandestinità, è stato introdotto nella legislazione con il pacchetto sicurezza Maroni del 2009 , e non con la Bossi-Fini.

Quali sono le vie principali di accesso nel nostro Paese dell’immigrazione clandestina e qual è il peso di coloro che arrivano per mare rispetto al totale degli arrivi?
Gli esodi prima ricordati, si riversano per la maggior parte nei paesi limitrofi, solo chi può pagare, e cioè una piccola parte, prende la via dell’Europa, non necessariamente i più disperati. I punti di imbarco, e i percorsi intrapresi per entrare in Europa si sono moltiplicati. Dopo la guerra civile in Libia, sono stati riaperti i corridoi di transito dei profughi provenienti dal sud Sahara, e dal Corno d’Africa che rifluiscono anche verso l’Egitto, nazione che rappresenta oltretutto un riferimento anche per i siriani in fuga. Nel complesso parliamo di oltre 3,5 milioni di profughi, dei quali solo 300mila sono approdati nella sponda nord del mediterraneo e in Europa. Una quota piccola rispetto al complesso dei flussi migratori. I 30mila approdati in Italia rappresentano meno di un terzo, rispetto ai permessi di soggiorno rilasciati dall’Italia per le ricongiunzioni familiari.

E’ chiaro a tutti, almeno spero, che non possiamo in nessun modo incentivare l’attività degli scafisti mercanti di uomini e donne e della mafia del Mare Nostrum, facendo credere che si possa arrivare “facilmente” in Italia e in Europa in modo clandestino sulle barche della morte. Qual è, però, l’alternativa che possiamo offrire per gestire nella legalità (e solidarietà) il flusso di migrazione clandestina che proviene dalla sponda nordafricana?
Non ci sono molte alternative al cercare di disincentivare, e contrattare l’organizzazione di questi traffici umani, con le azioni di pattugliamento e ricostruendo le intese con gli stati di provenienza. Purtroppo non potremo farlo da soli. La dimensione dei problemi richiede interventi che per autorevolezza e mezzi impiegati, devono essere assunti a livello internazionale, quello europeo in primis.

Il Presidente del Senato Pietro Grasso ha chiesto un’attenuazione della Bossi-Fini. A lui si sono aggiunti anche il Ministro degli Esteri Bonino oltre ad ambienti politici più vicini al centro sinistra mentre il Ministro Kyenge ha detto, perentoria, che la legge cambierà. Anche se bisognerebbe capire cosa vuol dire “attenuazione e cambiamento”, tuttavia, qual è il tuo giudizio sulla Bossi-Fini e se un miglioramento della legge deve esserci, verso quale direzione dovrebbe andare?
E’ opportuno essere più prudenti in materia, e non offrire alibi all’estero oltre l’immagine di un paese che si auto-attribuisce la colpa di ciò che sta succedendo. Coloro che richiedono riforme, hanno l’onere di chiarire quali innovazioni intendono apportare alla normativa, non limitandosi ad esprimere contrarietà. In generale la legislazione che regola i flussi d’ingresso per motivi di lavoro, è tarata per la gestione dei flussi d’ingresso finalizzati a rispondere a una domanda di lavoro che non veniva soddisfatta al nostro interno, ma che oggi è superata dai fatti.
Ormai abbiamo una disoccupazione interna che riguarda non solo gli italiani ma coinvolge oltre 400mila stranieri l’anno. Non possiamo più permetterci ingressi di manodopera qualificata, pena il complicare l’esistenza delle persone più deboli nel mercato del lavoro e di cittadini extracomunitari numerosi molti dei quali con familiari residenti in Italia. Sono cambiate le priorità, a maggior ragione se dobbiamo accogliere flussi non programmati di richiedenti asilo. Su questo terreno si può aggiornare la normativa, ma restano fermi i vincoli di ogni paese che accoglie queste persone, di procedere alla loro identificazione, di accoglierli dignitosamente e di verificare i requisiti per avere il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale, procedendo al rimpatrio degli irregolari.
Il problema non è il reato di clandestinità. E’ previsto nelle normative di paesi come la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, quasi tutti i paesi europei tendono a classificare l’ingresso irregolare nell’ambito penale. Ma c’è chi lo fa in modo efficiente e altri meno: tra quest’ultimi certamente l’Italia. Senza demagogia e colpi di testa, andrebbero valutati i motivi che rendono impraticabili, e costose, le procedure intervenendo in modo pragmatico.

La quasi totalità delle persone immigrate che giungono da noi, escluse coloro che chiedono legittimamente asilo politico per sfuggire da persecuzioni e guerre, lo fanno perché spinte da un bisogno di tipo occupazionale: vengono qui per chiedere di lavorare e sfuggire dalla miseria. Ma, in questi anni di crisi che hanno prodotto una forte disoccupazione anche tra molti cittadini immigrati, che opportunità possiamo offrire? Il Cnel ha previsto che da qui al 2050 una massa di persone, tra 1,5 e 2 milioni, migreranno dall’Africa.
Ogni comunità ha il dovere di rispondere anzitutto ai cittadini e alle persone, compresi gli immigrati regolarmente soggiornanti e le loro famiglie, che ne fanno parte. Certo i problemi demografici e economico sociali che sconvolgono la vita di intere aree del mondo devono essere affrontati con modalità e mezzi di rilevante portata. Ma nessun paese può farlo da solo.
Nello specifico dell’area mediterranea si possono certamente costruire le basi di una cooperazione, anche nel mercato del lavoro, che favorisca la formazione di manodopera qualificata offrendo occasioni di lavoro a persone che rientrino nel loro paese di origine, aiutando con le rimesse e con l’esperienza acquisita lo sviluppo locale.

E l’Unione Europea, che somiglia sempre di più a un’entità prevalentemente contabile, come potrebbe cooperare con noi per risolvere una questione comune? L’Italia per molti migranti è la porta d’Europa. Molti di loro passano da noi come tappa intermedia, ma la destinazione finale sono altri paesi del Continente europeo. Il trattato di Dublino, però, stabilisce che il primo paese d’ingresso ha l’onere dell’accoglienza. Come ne usciamo?
Credo che non sia aggirabile il vincolo posto a ogni paese membro della Ue di farsi carico dell’onere della prima accoglienza e dell’accertamento dei requisiti di permanenza nel territorio europeo. A valle di questo passaggio è già consentita la libera circolazione dei regolarmente soggiornanti. Semmai è possibile rafforzare gli ambiti di intervento coordinato laddove si manifestino delle criticità anomale, come nel caso del mediterraneo.

L’Europa ha già dato un buon esempio quando si è trattato di affrontare gli esodi provenienti dai paesi dell’est , progressivamente sostenuti con aiuti economici, integrati commercialmente, sino ad allargare l’area delle adesioni.
Pochi tendono a ricordare che è stato creato un mercato del lavoro europeo a libera circolazione che ha cambiato radicalmente anche le prospettive delle politiche migratorie dei paesi membri della Ue. il 40% della domanda di lavoro annualmente rivolta agli stranieri, in Italia, è soddisfatta da cittadini neo comunitari che non hanno bisogno del permesso di soggiorno. Vi sembra poca cosa?

Infine, la pantomima del Nobel per la Pace a Lampedusa come la vedi? Non è più utile pensare alle cose concrete?
La popolazione di Lampedusa merita un riconoscimento internazionale. Se possa esserlo il premio Nobel o, più concretamente, delle forme di aiuto sul campo destinate ad alleviare l’esposizione dell’isola, come io penso, lo si deve decidere.

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