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Lobby in foto: sorridi

Il tema dei watchdog, i “cani da guardia” della società civile che tengono sotto controllo le istituzioni  è noto. Nascono per sopperire alle carenze delle amministrazioni nel garantire la trasparenza e il rispetto dei diritti. E, naturalmente, sono molto diffuse anche nel campo delle lobby.  Maplight, che negli Stati Uniti mostra la correlazione tra i finanziamenti ricevuti dai congressisti e le preferenze di voto espresse nella legislatura; Lobbyplag è stato creato da un gruppo di hackers tedeschi per denunciare gli europarlamentari che hanno difeso gli interessi delle imprese ICT nel dibattito sulla normativa Data Protection;, I paid a Bribe è il sito indiano sul quale i cittadini possono segnalare episodi di corruzione di pubblici ufficiali.

L’ultima novità è spagnola. Si chiama Quién Manda che – tradotto – vuol dire più o meno “Chi è il tuo capo?”. L’iniziativa si piazza a metà tra la celeberrima rassegna fotografica di Dagospia “Cafonal” (impossibile non aver indugiato almeno una volta le foto dei vip – o presunti tali – ripresi mentre mangiano o fanno smorfie, o fanno i ruffiani) e Openpolis (altra celebre associazione, tutta italiana, che si occupa di monitoraggio dell’attività della politica). Il sito, in sostanza, pubblica foto che riprendono le relazioni tra politica e lobbisti.

Sono proprio le foto a farla da protagonista. Per questo TechPresident ha paragonato Quién Manda al Pinterest (il social network delle foto, oggi soppiantato da Instagram) delle lobby. L’associazione che patrocina l’iniziativa – Civio – dice di essersi ispirata a iniziative simili (per esempio Who Runs Hong Kong, Little Sis e Poderopedia), ma di aver puntato tutto sull’elemento visivo. Al punto che, nel giro di poche settimane, promettono da civio, gli utenti potranno postare foto autonomamente.

L’idea è simpatica e, per ora, sembra riscuotere interesse. I problemi verranno più avanti. Per esempio quando si dovrà garantire la veridicità di tutte le fotografie postate. Oppure quando si dovrà evitare di trasformarla nell’ennesimo social network o, peggio, nell’ennesima iniziativa anonima, morta pochi mesi dopo essere nata.

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