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Legge di stabilità, ecco come si poteva fare di più

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Angelo De Mattia, uscito sul quotidiano MF/Milano Finanza

È una proposta di legge di Stabilità che potrebbe definirsi del «né, né»: non cala la mannaia ma neppure si dà serio impulso alla crescita, nonostante che il ministro Saccomanni parli di una legge che porta l’Italia fuori dalla recessione. Non si percepisce l’auspicato cambio di passo.

Dunque, una normativa di aurea mediocritas? Poiché questa è un’espressione senz’altro positiva, è difficile con essa qualificare la legge in questione. Rispetta il primum non nocere, cioè non aumentare le tasse? Le somme si potranno tirare solo alla fine. Il progetto si caratterizza, innanzitutto, per quel che è stato evitato, come accadeva quando la Dc faceva circolare voci in fase di preparazione delle finanziarie, su provvedimenti sgraditi ai cittadini ma, poi, in sede di approvazione, queste misure scomparivano, dando agli elettori l’illusione di avere conseguito un successo.

In questo caso, il disegno di legge di Stabilità non contiene il pesante intervento sulla sanità e l’aumento della tassazione delle rendite finanziare al 22%: una parte della popolazione, a seconda dei diversificati interessi, può dunque ritenere questo un buon risultato, anche se, nel campo finanziario, si aumenta la patrimonialina, passando dall’1,5 al 2 per mille l’imposta di bollo sulle comunicazioni periodiche su prodotti finanziari e depositi bancari e postali.

Poi, la predetta proposta dell’esecutivo si segnala per i rinvii, presuntivamente a breve, che riguardano il gettito che potrà derivare dalla tassazione della rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, che potrà tradursi in pratica tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo; ma un rinvio riguarda anche la decisione sul rientro dei capitali irregolarmente allocati all’estero.

Quanto al primo punto non si capisce perché non si possano fissare nella legge di Stabilità i presupposti dell’operazione (magari con una norma di delega) per poi passare rapidamente all’attuazione della rivalutazione e della tassazione, una volta completato lo studio sul quantum e acquisito il parere della Bce.

Invece, nel caso del rientro dei capitali, non è chiaro come si voglia superare il problema degli eventuali riflessi penali dell’illecita esportazione: sarebbe singolare che, dopo che stanno nascendo aspri e non sempre motivati contrasti su amnistia e indulto, ora si pensasse di varare l’ennesimo condono.

Detto ciò, è però sul lato della crescita che si presentano le insufficienze. La riduzione del cuneo fiscale per 10,6 miliardi nel triennio, quando si era parlato di 5 miliardi solo nel 2014, si tradurrà in un aumento mensile della busta paga di 10-11 euro netti: non si vede quale impulso alla domanda ne potrà derivare, tenuto conto anche dell’intervenuto aumento dell’Iva. Assai limitato è altresì il beneficio per le imprese.

È vero: si afferma che i tagli alla spesa per 3,5 miliardi superano l’aumento delle imposte per 1,9 miliardi, che per la prima volta una legge di questo tipo non istituisce nuove tasse, che la pressione fiscale dovrebbe calare di un punto, che la Trise – comprensiva dell’imposta sui rifiuti (Tari) e di quella sui servizi (Tasi) – non è una riproposizione aritmetica dell’Imu e della Tares sulle prime case non di lusso, ma quest’ultimo aspetto è tutto ancora da verificare.

Posto che queste innovazioni andranno valutate nel dettaglio e poi ratificate dal Parlamento, ai fini della pressione fiscale, come accennato, si dovrà considerare, per il risultato finale, le misure che verranno adottate a livello decentrato, prima di poter parlare di riduzione, e poi occorrerà esaminare l’impatto complessivo, fiscale (si tenga anche conto della riduzione delle detrazioni Irpef) e contributivo, che ne deriverà.

A quest’ultimo proposito, dopo avere deciso di sterilizzare le pensioni a partire da 3 mila euro mensili (che non aumenteranno in relazione al costo della vita), si ritorna a istituire il contributo di solidarietà a carico di quelle superiori a 100 mila euro annui prevedendo che l’introito venga destinato alle rispettive gestioni previdenziali e immaginando così di evitare la sanzione di illegittimità della Consulta: una pia illusione, se verrà adita nuovamente la Corte, dal momento che è rilevante non la destinazione del contributo, ma il suo prelievo.

Un intervento adeguato in tema di spending review non c’è nel disegno di legge, tutto essendo rinviato a questa figura salvifica del commissario che sarà incarnata da Carlo Cottarelli prossimo ad arrivare a Roma in un ruolo taumaturgico. Né vi sono tracce di avvio di riforme di struttura, in specie nella Pubblica amministrazione.

Si sarebbe potuto fare di più, senza dubbio. È evidente lo iato tra le promesse di svolta e le realizzazioni di questo momento. Gli avanzamenti sono, insomma, assai timidi e sono bilanciati da ciò che non si è fatto o si è fatto solo parzialmente.

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