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Monti, il tramonto di chi ha salvato l’Italia

Le clamorose dimissioni di Mario Monti da Scelta Civica, il partito che aveva fondato meno di un anno fa, è stato titolato dalla Repubblica “Il tramonto di Super Mario, che doveva salvare il Paese”.

C’è un errore: Mario Monti “ha” salvato il Paese, perché lo ha preso in mano nel novembre 2011 da Berlusconi in condizione pre-fallimentare, quando era imminente il rischio di non riuscire a collocare sul mercato i titoli di Stato, con i tassi del Btp a 10 anni al 7,3% e quelli dei Bot a 10 mesi quasi al 6% e lo ha consegnato nell’aprile scorso a Enrico Letta con i tassi del Btp al 4,3% e quelli dei Bot sotto l’1%. In un Paese che ogni giorno che Dio manda in terra deve trovare qualcuno che gli compri 1,2 miliardi di debito, non è cosa da poco.

Le “brutali” riforme di Monti (l’aggettivo è suo) hanno rimesso il Paese in carreggiata senza gli aiuti europei e senza l’intervento della Troika (Ue, Bce e Fondo monetario) che in Grecia dettano la politica economica e hanno imposto, tanto per dirne una, il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti pubblici, mentre da noi i dipendenti pubblici non sono stati licenziati pur avendo subito un pur doloroso blocco degli stipendi. E tra essere licenziati e continuare a lavorare a stipendio bloccato c’è una bella differenza.

Le riforme di Monti continuano a produrre effetti, soprattutto quella delle pensioni che comporterà risparmi crescenti nei prossimi anni, tanto è vero che Draghi ha detto che all’Italia basterebbe attivare il “pilota automatico” montiano per uscire dai guai. Questi sono i dati. Dopo di chè, per molti motivi Monti non è riuscito a capitalizzare nelle urne i suoi meriti di duro risanatore. Ha fatto certamente molti errori. Nell’ottobre 2012, quando stava meditando di “salire in politica”, gli fu suggerito di non imbarcare nel suo partito Fini e Casini che ne avrebbero inevitabilmente offuscato l’immagine di rinnovatore. Gli fu consigliato di avviare subito, concordandole con l’Europa e con la Merkel, la restituzione dei crediti vantati dalle imprese verso la Pa e la riduzione delle tasse, magari con un intervento una tantum sulle tredicesime. Non ha fatto né l’una né l’altra cosa. E questo gli è costato caro nelle urne, anche perché la nostra borghesia, perennemente oscillante tra reazione e anarchia, in parte ha continuato a votare Berlusconi e in parte si è riversata su Grillo.

Dopo la sconfitta elettorale, la vita di Scelta Civica è apparsa subito precaria, stiracchiata tra chi vagheggia la costruzione della sezione italiana del Ppe e aspira all’eredità berlusconiana, anche a costo di compromettersi con lui (come sembrano voler fare Casini, Mauro, Olivero e gli altri cattolici) e chi vuole restare fedele all’ispirazione riformista originaria e occhieggia al futuro Pd di Renzi. La tensione era troppo forte e quando Mauro ha incontrato a pranzo Berlusconi e Alfano e ha promosso la raccolta di firme a pieno sostegno della legge di Stabilità all’insaputa di Monti (che pure non sarebbe stato alieno dall’approdare nel Ppe, ma senza inciuci con il Cavaliere) la corda si è spezzata. Meglio così. La politica non può vivere di equivoci. E chi non la pensa più allo stesso modo ha il dovere di dividersi (e questo vale anche e soprattutto per il Pdl e il Pd). Gli esponenti della fu Scelta civica troveranno la loro strada. E Monti rientra nella riserva della Repubblica che ha contribuito a salvare.

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