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Grana da mezzo trilione per le banche italiane

Le banche italiane stanno bene, dicono e ripetono i nostri massimi esperti, a cominciare dal governatore di Bankitalia. Ed è vero, ma non è tutta la verità.

I nostri massimi esperti la direbbero tutta, la verità, se aggiungeressero alla loro affermazione un’altra semplice parolina: finora.

Già. Il problema è che le nostre banche hanno di fronte un annetto difficile visto che dovranno passare sotto la doppia forca caudina della recessione economica, ancora tutt’altro che risolta, e della nuova supervisione bancaria della Bce, che verrà condotta senza guardare in faccia nessuno, pena un miserevole flop. E di conseguenza senza alcun riguardo per i nostri campioni bancari nazionali. “L’esercizio sarà rigoroso”, ha assicurato il nostro Governatore centrale, Ignazio Visco, in un discorso del 7 ottobre scorso.

Tutti noi sapremo a breve con quali criteri la Bce inizierà la sua radiografia dei principali 130 istituti bancari europei con l’inizio del 2014. E vale la pena ricordare che lo scopo di tale sorveglianza, il primo reale banco di prova della nascente Unione bancaria, è restituire al mercato la fiducia in tali banche. Qualora una di loro venisse trovata carente di capitale, ha ricordato di recente il presidente della Bce, gli stati dovranno farsene carico.

Naturale perciò chiedersi quanto sarà salato il conto per l’Italia, fra stato e risparmiatori.

Nell’elaborazione del conto pesano un paio di variabili non trascurabili. La prima è la condizione di trattamento che verrà assegnato al rischio sovrano, ossia come verrà valutata, nell’ambito degli stress test sui bilanci bancari, l’esposizione in bond pubblici.

A tal proposito Visco ci spiega che “l’esame dovrà riguardare tutte le tipologie di rischio, tenendo conto delle regole prudenziali già definite”. e per quanto riguarda il rischio sovrano “non si può prescindere dal fatto che la sua attuale percezione da parte dei mercati risenta ancora di timori, che noi riteniamo infondati, sulla tenuta dell’euro”. Ma, sottolinea “sarebbe un errore basare su tale percezione, implicitamente condividendola, il giudizio sulla rischiosità delle esposizioni sovrane”.

Che vuole dire Visco?

In ballo c’è una questione molto delicata, ossia la classificazione, ai sensi delle norme regolamentari di Basilea, dei titoli di stato come risk free, che molti, a cominciare dal governatore della Bundesbank, vorrebbero riformulare.

Per noi italiani la questione non è di poco conto. Sul Sole 24 Ore vedo una tabella che prezza in oltre 90 miliardi di euro l’esposizione di Banca Intesa in bond dello stato italiano a fine 2012, mentre per Unicredit tale voce pesa appena 42 miliardi e rotti. Ma tutti noi sappiamo quanto le banche italiane si siano imbottite di titoli di stato nell’ultimo anno, come ricorda lo stesso Visco. Quindi sapere come la Bce valutare questi asset sarà determinante per calcolare l’effettiva capitalizzazione del sistema bancario e, di conseguenza, la sua solidità.

La seconda variabile, altrettanto destabilizzante, è l’ammontare delle sofferenze bancarie, ossia l’altra faccia della medaglia dell’indebitamento privato delle imprese italiane col sistema bancario.

A tal proposito Visco racconta che “nel secondo trimestre di quest’anno il tasso annuo di ingresso in sofferenza ha raggiunto il 2,9 per cento; il peggioramento ha riguardato esclusivamente le imprese. A giugno di quest’anno l’ammontare lordo delle partite deteriorate (che includono, oltre alle sofferenze, anche gli incagli, i crediti ristrutturati e quelli scaduti) ha toccato i 300 miliardi. Al netto delle rettifiche di valore già contabilizzate l’ammontare è più contenuto, circa 190 miliardi, di cui poco più di 70 si riferiscono a sofferenze e sono oggi ampiamente coperti, per il complesso del sistema, dalla presenza di garanzie reali e personali”.

Provo a ricapitolare: c’è una montagna da 300 miliardi di debiti deteriorati che, al netto delle rettifiche vale 190, di cui solo 70 sono sofferenze coperte da garanzie reali e personali.

Quindi, di nuovo, le banche stanno tutte bene. Finora.

Ma cosa succederebbe se sul sistema finanziario italiano scoppiasse una bomba da 70 miliardi? Che valore avrebbero garanzie “reali e personali” in uno scenario di crisi peggiore?

Per adesso accontentiamoci di sapere che “nel primo semestre 2013 le perdite su crediti hanno assorbito tre quarti della redditività operativa” e che “le difficoltà del sistema creditizio non sono destinate ad essere riassorbite rapidamente”. Ma poiché Visco fa il Governatore fa bene a ricordare che “sono sviluppi che possono incentivare a superare l’eccessiva dipendenza delle imprese dal credito bancario”.

Le crisi come occasioni di evoluzione, un vecchio refrain del nostro continente.

Visco, tuttavia, conclude la sua analisi con una asserzione decisa: “Le opinioni emerse più volte nel corso della crisi secondo cui il sistema bancario italiano avrebbe enormi necessità di ricapitalizzazione non sono fondate”. E cita uno studio del Fmi secondo il quale il sistema bancario italiano è uscito bene dalla crisi come dimostrano anche alcuni stress test preparati dal Fondo. “Anche grazie al rafforzamento patrimoniale realizzato nel corso degli ultimi anni – dice – il sistema nel suo complesso sarebbe in grado di fronteggiare uno scenario più avverso, in cui
la crescita del prodotto nel triennio 2013-15 fosse cumulativamente inferiore di oltre quattro punti percentuali rispetto allo scenario di base. Le esigenze di capitale a cui, in questo caso, alcuni intermediari dovrebbero fare fronte per riportarsi sui minimi regolamentari sarebbero contenute; a seconda della definizione di capitale utilizzata, nelle stime del Fondo monetario si collocherebbero, in totale, tra 6 e 14 miliardi, comunque meno dell’1 per cento del prodotto interno lordo”.

Le difficoltà, ammette Visco, riguardano “intermediari di media e piccola dimensione, particolarmente dipendenti dall’evoluzione macroeconomica, anche locale, o caratterizzati
da assetti di governance che rendono difficoltosa l’attuazione di misure volte a rafforzare il patrimonio; si tratta in maggioranza di banche popolari o nelle quali una Fondazione
detiene almeno il 20 per cento del capitale”.

Tanta assertività mi ha fatto venire voglia di andarmi a leggere per intero il rapporto a cui Visco fa riferimento, che poi è il Financial System Stability Assessment uscito nel settembre scorso.

Leggendolo scopro alcune cose. La prima è che gli asset totali del sistema bancario italiano, un sistema di 706 banche che detiene l’85% del totale degli asset finanziari del Paese, pesano il 220% del Pil, quindi più o meno 3,3 trilioni di euro, il 9% dei quali, quindi circa 300 miliardi, sono investiti in bond sovrani, in gran parte dello stato italiano. La cifra equivale più o meno al totale della liquidità che le banche hanno preso in prestito dal programma Ltro della Bce a far data dal marzo 2012 e che sono stati in gran parte investiti in titoli di stato

Quindi questa è la misura totale del macigno che potrebbe schiacciare le banche italiane qualora la Bce finisse col considerare i titoli di stato non più risk free. E spiega bene perché Visco abbia auspicato che non si dia seguito ai timori “confermandoli” sulla tenuta dell’euro mettendo in dubbio la solidità di questi asset.

Il Governatore fa il suo mestiere, bisogna capirlo.

E fa il suo mestiere pure quando ricorda l’ammontare massimo delle ricapitalizzazioni che le banche potrebbe dover sopportare.

Senonché, il Fondo ricorda pure che “la più pressante vulnerabilità delle banche italiane è rappresentata dalla debolezza del settore corporate, che risulta molto indebitato e generatore di NPL, non performing loans, (il 26% nel maggio 2013). Nel cofronto europeo le imprese italiane, a differenza delle famiglie, sono le più indebitate dopo quelle portoghesi e quelle spagnole, con una percentuali di debiti sul totale degli asset che sfiora il 35%.

Questo significa che il debito delle imprese italiane è estremamente sensibile al rischio dei tassi di interesse, che a sua volta è legato alla performances degli spread sui bond sovrani. Per dirla con semplicità, imprese e stato o si tengono insieme o cadono insieme.

Le banche sono il terzo vertice di questi triangolo finanziario, che genera rischi notevoli per il Paese. Il debito pubblico dello stato e il debito privato delle imprese, infatti, stanno insieme dentro la pancia delle stesse banche.

Ogni peggioramento di uno dei tre vertici porta con sé il peggioramento degli altri due.

Per questo il governatore fa il suo mestiere e glissa sul monito del Fmi, secondo il quale “il risultato degli stress test suggerisce che il sistema bancario italiano è capace di resistere a entrambi i due scenari, quello base e quello avverso e all’applicazione di Basilea III, ma la sue riserve di capitale sarebbero erose nel caso di crescita lenta ed esaurite in caso di scenario avverso”.

In particolare il Fmi calcola che alcune banche, fra cinque e dieci, dovrebbero recuperare fra 1,1 e 3,4 miliardi per ricapitalizzarsi ai sensi di Basilea III nell scenario base. Nello scenario di bassa crescita ci vorrebbero fra 5 e 10 miliardi. Nel caso di scenario avverso fra i 6 e i 14 miliardi.

Un mese dopo, però, nel suo Global stability report, sempre il Fmi torna sul caso italiano. Anche stavolta il Fmi mette l’accento sulla pesante esposizione delle banche nostrane nel settore corporate e calcola le perdite potenziali che il settore bancario potrebbe subire qualora non migliorino le condizioni economiche e finanziarie del Paese entro i prossimi due anni. Guardacaso la simulazione riguarda solo noi, la Spagna e il Portogallo.

Ebbene, nel caso italiano, il Fmi stima perdite potenziali per 125 miliardi sull’esposizione al settore corporate che eccedono di 53 miliardi le riserve per perdite su crediti, ossia il cuscinetto che il sistema bancario ha accantonato per coprire eventuali perdite sui prestiti. Quest’altra montagna di denaro, spiega il fondo, dovrebbe essere assorbita dai profitti senza erodere il capitale delle banche. Quindi le banche potrebbero reggere il peso del debito corporate. Ma è chiaro che se dovranno gestire al contempo il deflusso delle risorse investite sui bond sovrani, rischiano di trovarsi in grave difficoltà.

Sul tavolo balla, fra esposizione a rischio corporate ed esposizione sovrana, una grana da quasi mezzo trilione di euro.

Le banche stanno tutte bene, appunto.

Finora.

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