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Sul Corriere della Sera divampa un mirabolante dibattito sull’attualissimo Fini

Destra in subbuglio e destrosi rissosi tra presente e futuro. Se il Pdl fibrilla, a destra le tensioni non mancano e spesso riguardano il passato più che il futuro.

“Chi fu il primo capogruppo alla Camera di Futuro e libertà? Benedetto Della Vedova, un radicale, che adesso sta addirittura con Scelta civica. L’ideologo di Fli, ad un certo punto, divenne poi Fabio Granata, uno che a noi, dentro An, sembrava spesso essere uscito da una sezione di Rifondazione…”.

Ignazio La Russa, cofondatore di Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, ha commentato così l’intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera dall’ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Che, in una conversazione con Aldo Cazzullo, aveva “salvato” solo Ignazio della pattuglia di ex colonnelli. Ma l’ex ministro della difesa chiarisce oggi a Fabrizio Roncone i motivi della scelta di non seguirlo.

Scelta politica, non civica
Fu una decisione “politica”, ammette e attacca: “La verità è che io avrei potuto seguire Gianfranco se avesse rotto con Berlusconi su posizioni di destra, da destra, e non con quella tragica deriva centrista, che la sinistra addirittura salutava con tutti gli onori, in visibilio”. Ragion per cui conia la definizione di autodistruzione quando elenca il maggior rimpianto per il centrodestra italiano: “Fini poteva essere il leader di un grande centrodestra e, invece, ha deciso di autodistruggersi. Un tempo pensavo che i libri li avrebbero scritti su di lui, mai avrei immaginato che sarebbe finita così, e che a scrivere un libro su Fini fosse proprio Fini”.

Nessun rancore
L’antica amicizia fra i due per la verità non è stata comunque toccata dai fatti della cronaca politica, si apprende che si scambiano ancora gli auguri natalizi e che l’ex leader di Fli fece il suo personale in bocca al lupo a La Russa quando seppe dell’iniziativa di Fdi, ma aggiunge “c’è la cordialità di due ex grandi amici…”.

I nodi
Impossibile non far tornare la mente all’origine dei mali del centrodestra, con la mancata fusione tra Fi e An, le resistenze dei più destrosi o la naturalezza con cui alcuni ex An, come Maurizio Gasparri, confluirono nel nuovo contenitore. Fu tutta colpa di Fini? Secondo La Russa “lui era il capo ma anche noi, e dico noi tutti che gli stavamo accanto, quando portammo An dentro il Pdl, certo commettemmo due errori”. Il primo, non essere abbastanza scaltro “da farci dare sufficienti garanzie e fummo miopi nel prevedere le possibili conseguenze che ciò avrebbe comportato”. Certo, sottolinea, con il senno del poi, “forse avremmo dovuto batterci per chiedere che Fini guidasse il Pdl dalla segreteria, e che a Berlusconi, con il suo consenso, fosse destinata solo la poltrona di premier”.

Fasciocomunisti
Il resto, commenta un dirigente che viene dalla storia del Msi, è stato come una “palla di neve che si ingrossa man mano che rotola a valle, ma come si fa a consegnare il partito a uno come Bocchino?”. E ancora, i rapporti “scialbi tenuti con i grandi gruppi” industriali, le saghe familiari di certa destra che “sembra aver diritto a un vaucher a vita solo perché porta un dato cognome”. Insomma, gli ultimi due anni non potevano che andare così, pensa più d’uno che in quella partita fu coinvolto, che invita a rivedere i sondaggi del settembre 2010: quando, se si fosse dimesso da Presidente della Camera, Fini avrebbe potuto aspirare a qualcosa di più rispetto ai numeri ottenuti in seguito.

 

 

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