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Le tre lezioni del fallimento di Monti

Caro direttore,

la fine politica di Mario Monti è davvero un dispiacere. Fino ad oggi non ne ho scritto per aspettarne la sua conclusione.

Ho apprezzato la serietà, il rigore, la competenza del Monti governativo che ricordiamo ha evitato il fallimento al Paese realizzando riforme – come quella delle pensioni – che i partiti non avevano il coraggio di fare. Poi è stato risucchiato dal sistema.

Prima la palude parlamentare che non ha saputo evitare e che ha smontato le riforme proposte dal suo Governo pezzo a pezzo scaricando sul Professore il livore dell’opinione pubblica per la tassazione, poi con una candidatura sbilenca con la sua lista troppo improntata sulla mitizzazione della società civile, alla rincorsa di Grillo, e troppo poco sui principi liberali e di competitività nel campo del centrodestra, una comunicazione sbagliata volta ad umanizzarlo invece di continuare a farlo apparire inflessibile e thatcheriano. Infine l’incapacità di governare i fenomeni politici interni figlie della sua inesperienza/incapacità politica della sua compagine parlamentare fidandosi delle persone sbagliate che già lo avevano indebolito nella campagna elettorale.

Astraendo si possono trarre tre lezioni: pur se vieni calato dall’alto, ma senza aver mai fatto politica la palude della partitocrazia italiana e la sua coagulazione d’interessi costituiti ti indebolisce prima, ti ingolosisce poi e ti ammazza alla fine.

La seconda, scontata e già conosciuta, è che le nuove forze politiche si costruiscono dal basso, su principi di cultura politica netti e regole condivise senza mettere insieme pezzi alla rinfusa altrimenti non funzionano, nonostante le leadership.

L’ultima è che il terzismo non è più nella mente degli italiani e che bisogna scegliere un capo nel quale competere.

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