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Su cosa Monti non sbaglia

Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma.

Niente sembra così instabile come la legge di stabilità da poco approvata. Ormai l’attaccano tutti, e i sindacati annunciano di marciarvi contro. Al punto tale che Enrico Letta, uomo mite, ha risposto con un temerario “bisogna saper dire di no” rivolto all’intero e vasto arco politico e sociale in fermento.

Ma che sia una manovra non esattamente rivoluzionaria né incisiva come avrebbe richiesto la situazione del Paese, lo vede chiunque. E il rischio, oltretutto, è che possa perfino peggiorare all’esame del Parlamento, dov’è triste prassi che ogni partito cerchi di infilare qualche costoso emendamento a beneficio del proprio elettorato, e chi se ne importa dell’interesse generale e nazionale. La crisi vale sempre e solo per “gli altri”.

Non è, allora, senza significato che Mario Monti, l’ex presidente del Consiglio a cui l’immaginario collettivo e gli italiani in carne e ossa associano una politica di austerità e sacrifici, abbia rovesciato il tavolo del suo stesso partito, dimettendosi da presidente di Scelta Civica. E soprattutto condendo la sua decisione con una salata polemica. Il Professore s’è l’è presa con la politica economica del governo, “succube del Pdl”, e anche con quanti, dal “suo” ministro Mario Mauro al “suo” alleato Pierferdinando Casini, stanno tramando nell’ombra per far rinascere una specie di Democrazia cristiana nel terzo millennio. Al costo – ha accusato il Monti furioso – di non pretendere dal centro-destra, cioè dall’interlocutore naturale di questa nuova Dc, di lasciare Silvio Berlusconi al suo amaro destino. Anzi, cercando di salvarlo al momento, in arrivo, di votare pro o contro la sua decadenza dal Senato della Repubblica.

Ira e ripicche personali a parte, sulla questione politica di fondo, che è l’evocato centro di gravità permanente, Monti non sbaglia. Le grandi manovre per rifare, come lo chiamano, un “Partito popolare europeo” in Italia sulle rovine del Pdl e del Pd, sono partite da tempo. I nostalgici di quel che da vent’anni non abbiamo più, cioè un partito che una volta sta di qua e un’altra di là ma sempre col vincitore delle elezioni, rivendicano senza nasconderlo il vecchio/nuovo tentativo in corso. Da una parte essi attendono che la componente centrista nel Pd, pur minoritaria, levi le tende dopo l’arrivo dell’invincibile Matteo Renzi alla segreteria. Quasi paradossale, se si pensa che il sindaco di Firenze è un anti-comunista nato, ed è pure cattolico praticante, non un bolscevico mascherato. Ma il suo bisogno di accreditarsi come leader di sinistra per fare del Pd un partito compiutamente social-democratico, rende già sospettoso l’esercito degli ex democristiani in agguato. Dunque, gli ambiziosi “popolari” avranno nel Pd un bacino in cui pescare.

L’altro e ben più esteso lago si sta formando nel Pdl, dove l’acclarata divisione fra “diversamente berlusconiani”, cioè i governativi di Angelino Alfano, e i “lealisti” al Capo qualunque cosa succeda, lascia ampi margini per operazione stile “caccia al moderato”. Casini, d’altronde, proprio da lì, dal centro-destra viene (e prima ancora fu bravo allievo della scuola democristiana). Poi s’è schierato contro quel mondo berlusconiano per dissenso politico e personale.

Ma la domanda è: con questi chiari di luna, davvero si può immaginare che un Ppe in versione italica farà il pieno fra i delusi del Pd e del Pdl per candidarsi a governare la nazione? Con quali voti, innanzitutto, e con quale programma? Rigore o manovrine, della serie che purtroppo già stiamo sperimentando? Radicale riforma dello Stato e dello Stato sociale o buffetti alle Province neppure ancora abolite, sempre per restare all’indeciso presente? Legge elettorale per consentire a chi vince di prendere decisioni per cinque anni o per disfare l’esecutivo ogni nove mesi, come accadeva nella prima Repubblica che i centristi d’ogni dove rimpiangono di un amore spento e consumato?

Non è più il tempo né delle etichette insignificanti (destra, sinistra, centro), né dei giochini di posizione. La stessa prospettiva di uno scontro atomico per palazzo Chigi fra il democristiano Enrico Letta e il socialdemocratico Matteo Renzi infiamma solo i frequentatori del Palazzo. I cittadini esigono scelte, tagli dei cunei fiscali e dell’asfissiante burocrazia, una giustizia rapida ed efficace, sicurezza e accoglienza all’insegna del buonsenso. Esigono che i politici la smettano coi girotondi in cui solo loro si divertono. E che sappiano essere anche impopolari, se questo è il bene del Paese e dei nostri figli.

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