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Vi spiego come le società quotate bluffano su retribuzioni e bonus

Pubblichiamo le considerazioni conclusive del rapporto di Frontis Governance sulle remunerazioni dei vertici delle società quotate in Borsa di cui Formiche.net ha dato conto in questo articolo riassuntivo.

Lo scarso allineamento tra l’ammontare dei compensi e le performance sembrerebbe dovuto a 3 fattori principali: 1) la previsione di bonus discrezionali; 2) la probabile definizione di obiettivi poco sfidanti e 3) lo scarso ricorso agli strumenti finanziari nei piani di incentivazione.

Le stock options, in particolare, sono previste solo nel 13% delle politiche retributive, nonostante possano rappresentare il massimo livello di allineamento degli interessi del management con il valore creato nel lungo periodo: l’incentivo matura solo se quest’ultimo è positivo. Dal confronto con le realtà estere emerge ancora più chiaramente la predilezione degli emittenti italiani verso i compensi monetari, che rappresentano l’unica forma di incentivazione nel 21% delle politiche retributive nel FTSE MIB, contro il 5% dei propri competitors europei. Grazie alla recente normativa che ha introdotto la consultazione assembleare sulle politiche retributive (seppure in larga parte non vincolante), la trasparenza sui compensi delle società italiane è aumentata notevolmente. Inoltre, la spinta verso un più serrato confronto con gli azionisti ha portato indubbi benefici già dopo il primo anno di applicazione (stagione assembleare 2012): è notevolmente migliorato il livello di disclosure relativo ai piani di incentivazione, i cui criteri di performance sono dettagliatamente riportati in oltre il 70% delle Relazioni esaminate, e diversi emittenti hanno sostanzialmente modificato alcuni aspetti delle politiche retributive, eliminando o definendo meglio le eventuali indennità di fine mandato e/o le componenti
discrezionali del variabile.

Certo permangono molti margini di miglioramento, sia riguardo alla trasparenza che alla struttura delle remunerazioni, ma è indubbio che sia stata intrapresa la strada corretta per ridurre l’enorme gap che separava i compensi dei massimi dirigenti delle quotate dagli interessi degli azionisti (e che è sfociato nel 2012 su scala mondiale, con un livello di dissenso così elevato da far definire quella stagione assembleare come la “primavera degli azionisti”). Le stesse risultanze assembleari del 2013 sono una conferma del circolo virtuoso innestato dal cosiddetto say-on-pay: i voti contrari sulle Remunerazioni, da parte degli azionisti indipendenti, sono mediamente calati del 17,3%, passando dal 36,5% nel 2012 al 30,2% nel 2013.

Escludendo gli azionisti di controllo e tutte le parti correlate, ancora 11 Relazioni sulle Remunerazioni sarebbero state bocciate nel 2013, ma anche qui si nota un graduale miglioramento rispetto alle 13 dell’anno precedente.

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