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Due considerazioni sul concetto di morte

Ci sono argomenti che risultano poco interessanti. Mi riferisco, come avevo avuto modo già in passato, alla morte. Sì, la morte ci spaventa è qualche cosa da cui vogliamo disperatamente fuggire, lo si fa in svariati modi: c’è chi ricorre alla chirurgia estetica, nella vana convinzione che una ruga in meno allontani l’asticella del tempo dal punto zero, c’è chi vive all’estremo delle proprie possibilità dicendosi che almeno quel poco che “avrebbe” vissuto, è stato intenso, e c’è chi vive tranquillamente, ogni giorno, la vita nel suo costante oscillare tra dolce e amaro.

Attorno al concetto di morte si è sviluppato anche un business. Nessuno ne parla, ma è così. Dalle mie parti si dice che sono due i settori economici che non conoscono “mai” crisi: i ristoranti, perché bisogna mangiare, e le pompe funebri, perché prima o poi si deve morire. Ma c’è qualche ragione in più per cui è importante affrontare la questione della morte, invece di scappare via terrorizzati. La morte è parte della vita, è l’unica certezza che ci possiamo raccontare, l’unica verità che c’è: prima o poi, capita a tutti. Ma c’è modo e modo di passare a miglior vita. In condizioni normali, la morte sopraggiunge a tarda età, senza troppo clamore. Molto spesso, però, la morte è improvvisa e violenta. A volte è un processo lungo, doloroso per chi vive questa condizione e per chi è legato affettivamente a questa persona. Il diritto alla vita, non è sperabile dal diritto alla morte, al decidere se voglio o meno porre fine alle mie sofferenze.

Ogni scelta presa, riguardo al momento della morte, è da rispettare. Per questo ora mi trovo a scrivere queste righe, forse poco interessanti. Ma c’è stata una polemica su Matteo Renzi, perché ha appoggiato la creazione di un “cimitero di mai nati”, polemiche passate e presenti su casi di eutanasia e di suicidio assistito, per arrivare alla danza macabra attorno al corpo esamine del nazista Priebke.

Ecco, occorre fermarsi un attimo e distinguere i vari piani del pensiero e dell’azione: Priebke era un nazista, un assassino e la storia ce lo ha comunicato. Ha partecipato ad azioni di violenza inaudita e di vergogna, ha vissuto a lungo, ben 100 anni. Non so se interpretare questo fatto come un patto col diavolo ben riuscito o una punizione divina atta a far rivivere l’orrore delle proprie azioni a lungo, fatto sta che Priebke è morto e la sua famiglia voleva un funerale e un luogo in cui ricordalo. La danza macabra attorno alla sua bara non è stata affatto una bella danza: Priebke è morto, la sua esistenza conclusa, pentimenti o no, la sua avventura è conclusa. C’è però quel qualche cosa che non dovremmo mai dimenticare su di noi, non sui vari Priebke. Loro saranno stati anche disumani, ma della nostra umanità che cosa ne facciamo? La sua famiglia non ha colpa della sua malvagità, la sua famiglia ha diritto, come la famiglia di tutti gli altri a vivere il dolore per la propria perdita e avere un luogo in cui inginocchiarsi, se lo reputano necessario e pregare. Forse lui ne ha più bisogno che di molti altri, ha tanto da farsi perdonare.

Lo stesso discorso vale per il cimitero dei bambini mai nati. Sono un sostenitore del diritto della donna a decidere del come e se portare avanti una gravidanza. Sono convinto che la legge sull’aborto sia una cosa positiva, che sia da implementare e che non debba essere ridimensionata. Sono convinto, inoltre, che la morte di un figlio in grembo sia un tale disgrazia che la persona coinvolta avrà sicuramente un dolore morale enorme. Come osiamo giudicare il dolore di una madre che perde il proprio figlio o che rinuncia ad averlo? Non siamo lei, non abbiamo la prospettiva del sapere cosa può significare una simile decisione. Trovo quindi che, se c’è un rispetto dovuto al non giudicare chi decide di abortire, ci debba essere anche un rispetto per chi per motivi naturali o per scelta, decide di seppellire il proprio “mai nato” nella convinzione che esso sia di più del mero agglomerato di cellule e atomi. Possiamo non condividerlo, ma che male ci sarebbe nel permettere a queste persone di inginocchiarsi, e piangere se questo può essere per loro d’aiuto?

Ultima considerazione che vorrei fare, è sul diritto di chi sta male di scegliere di non vivere. Ci vuole un coraggio non comune per decidere di porre fine alla propria vita: il suicidio è un gesto estremo che solitamente è compiuto da chi, pur in salute, trova l’esistenza insopportabile a tal punto da preferire distruggersi all’andare avanti. Ma ci sono anche coloro che, non per loro scelta, ma a causa di malattie gravi, debilitanti, dolorose è reso alla stregua di un vegetale. E se questa persona aveva espresso il desiderio di non vivere in tale condizione, chi siamo per negargli tale diritto? E se anche questa persona fosse energica e capace di decidere, consapevole che la propria esistenza è destinata ad essere piena di sofferenza, e decidesse di porre fine in anticipo alla propria esistenza, come ha deciso di fare Piera, come osiamo giudicare?

L’arroganza più grande è sostituirsi a Dio nel prendere le decisioni sulle vite degli altri, non il prendere una decisione sulla propria vita. Per questo sono contrario alla pena di morte, sopra ogni cosa, e non a chi decide di porre fine alla propria esistenza.

La morte fa paura, ma a volte è vissuta come una liberazione. I simboli della morte sono temuti, odiati eppure spesso diventano simulacri e altari per la nostra consolazione e per il nostro quieto vivere. Le motivazioni dietro a tanti comportamenti così differenti, sono troppe da poter elencare o conoscere.

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