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Google tax, i liberisti asfaltano il liberista Renzi

Tassare maggiormente i giganti del web come Google e Facebook non convince i liberisti italiani, che criticano senza mezzi termini la proposta di due parlamentari renziani o filo-renziani del Pd, come Ernesto Carbone e Francesco Boccia.

L’EMENDAMENTO CRITICATO
La norma che il Pd punta a inserire nel ddl Stabilità è la cosiddetta Google Tax e riguarda tutto il commercio online e prevede di applicare le tasse italiane, come ad esempio l’Iva, alle multinazionali che operano in Italia. L’emendamento consentirebbe di fare immediatamente cassa (si parla di un gettito stimato in 1 miliardo di euro).

IMPOSSIBILE RIDURRE LA SPESA
Una mossa che non convince il mondo liberista, che in coro esprime il proprio disappunto, come aveva già fatto su questa testata l’analista Francesco Galietti. Piercamillo Falasca, direttore editoriale del mensile Strade, in un commento sul sito web della rivista accusa la politica italiana di essere “incapace di ridurre strutturalmente la spesa pubblica” e pertanto “alla ricerca disperata di nuovo gettito fiscale, tanto per coprire le voragini che il calo dei consumi apre nei conti dello Stato (compensato negli ultimi due anni – aggiunge – dai tanti prelievi patrimoniali) quanto per provare a ridurre la tassazione sul lavoro“. Lo stesso Falasca spiega però che l’ipotesi lanciata dai parlamentari del Pd non è isolata e che anzi “circola da tempo negli altri Paesi europei“: ci hanno già pensato il socialista François Hollande e persino il premier conservatore e liberale David Cameron. Ma mette in guardia dal furor tassatore: Mountain View, argomenta, rispetta le regole fiscali messe a disposizione, “sfruttando la propria globalità per ridurre al massimo l’imposizione subita a vantaggio dei propri azionisti, ma anche dei propri lavoratori e dei consumatori e dei clienti, che in definitiva godono gratuitamente o a prezzi molto modici di servizi sempre più efficienti“. E che l’Italia, se davvero vuole competere, dovrebbe pensare ad abbassare le tasse a livello dei Paesi virtuosi come l’Irlanda, non certo ad alzarle. Pena, ammonisce Falasca, un ulteriore “disimpegno dei capitali del mondo dal Vecchio Continente“.

INVESTIMENTI IN FUGA
Mira invece all’azione del governo la critica di Alberto Mingardi, direttore generale del think tank liberista Istituto Bruno Leoni, che sul Post si chiede: “Da anni si discute di come rafforzare l’economia “digitale” in Italia. Recentemente il governo ha presentato un documento, “Destinazione Italia”, che dovrebbe servire per tornare ad attrarre investimenti esteri. Come ci conciliano, l’una cosa e l’altra, con la “tassa su Google”?

A RISCHIO INFRAZIONE
Ancora più severo il commento di Massimiliano Trovato, esperto di regolamentazione e politiche pubbliche dell’economia digitale, che sul sito web dell’Istituto Bruno Leoni mette in discussione la legittimità stessa della norma. “È evidente a chiunque conosca i rudimenti del diritto comunitario – scrive – che si tratta di un provvedimento illegittimo, palesemente in contrasto con i princìpi del mercato unico e della libera circolazione dei servizi e tale da esporre l’Italia a una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea. In questo senso, sarebbe legittimo chiedersi se l’iniziativa sia figlia di grossolana ignoranza o del desiderio di veicolare un messaggio, in spregio alle regole“.

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