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Temi e difficoltà dell’accordo sul nucleare iraniano

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali.

Barack Obama e Hassan Rouhani. Per la prima volta in oltre trent’anni, sembra questa la coppia vincente in grado di battere l’ostilità di Washington e Teheran per raggiungere un accordo, quello sul nucleare iraniano, che darebbe respiro all’economia iraniana e farebbe incassare agli statunitensi un significativo successo sul piano della non-proliferazione e della stabilità regionale.

La chiave per una soluzione della disputa sta nei dettagli di un accordo che dovrebbe permettere a Obama di affermare credibilmente di avere allontanato il rischio di un Iran nucleare e agli iraniani di salvare la faccia, concedendo loro una limitata – e internazionalmente vigilata – capacità di arricchimento dell’uranio. Al centro della disputa vi è proprio quest’ultimo procedimento, necessario tanto alla produzione di energia elettrica quanto a quella di materiale per testate.

Russia, Israele e Arabia Saudita
La via verso un accordo è tuttavia irta di ostacoli non solo sul piano tecnico, ma anche e soprattutto su quello politico. Anche se nessuno si dice favorevole a un nuovo confronto militare nel Golfo, le valutazioni di interesse nazionale dei vari attori coinvolti sono tali che un accordo non soddisferà tutti. A temerne gli effetti sono soprattutto tre attori chiave: Russia, Israele e Arabia Saudita.

Per Mosca si tratta di un calcolo strategico, dal momento che lo status quo la favorisce. L’Iran resta lontano dall’oltrepassare la soglia nucleare (i russi ritengono che il programma nucleare iraniano non sia un rischio imminente), restando impermeabile all’influenza Usa.

Israele, che in teoria dovrebbe essere il maggiore beneficiario della risoluzione della disputa dal momento che considera un Iran nucleare un’inaccettabile minaccia alla sua sicurezza, teme che Obama si accontenti di un accordo al ribasso privo di sufficienti garanzie che l’Iran non riprenda la via nucleare. Tel Aviv teme soprattutto che a un accordo segua un rapprochement tra Washington e Teheran che possa concedere all’Iran un credito sufficiente per sostenere un’agenda contraria agli interessi di Israele nella regione, in special modo nei Territori occupati palestinesi.

L’Arabia Saudita ha lavorato intensamente all’isolamento dell’Iran negli ultimi anni, sostenendo dietro le quinte una politica aggressiva basata su sanzioni e minaccia di intervento militare Usa, tentando al contempo di accreditarsi come campione della causa palestinese e di assicurarsi governi allineati nei paesi arabi sconvolti dalle rivoluzioni, in primis Egitto e Siria.

Bastoni tra le ruote
La Russia ha poco spazio – operativo e politico – per mettere i bastoni tra le ruote a Iran e Usa se questi ultimi vorranno davvero raggiungere un accordo. Mosca potrebbe in ogni caso rassegnarsi a un mutato quadro strategico in cui Washington e Teheran facciano fronte comune alla minaccia qaedista, una priorità assoluta per i russi visto che l’islamismo è una delle anime del separatismo delle repubbliche russe nord-caucasiche.

Israele e Arabia Saudita hanno maggiori capacità di ostacolare un accordo a loro non gradito. Nelle sue recenti dichiarazioni, l’ex ambasciatore saudita a Washington, Bandar bin Sultan, ha ammonito contro il rischio di una frattura tra Stati Uniti e Arabia Saudita. A causarla sarebbe non solo l’indecisione Usa sulla Siria e sulla questione palestinese, ma soprattutto il possibile riavvicinamento all’Iran. L’invito ai referenti americani di Riyadh sembra chiaro: opporsi a ogni intesa da cui Teheran esca rafforzato.

Israele gode di enorme credito al Congresso Usa – l’organo che ha il potere di revocare la maggior parte delle sanzioni Usa – e può inoltre contare su un partito repubblicano incline a negare a Obama un successo quale potrebbe essere (e sicuramente sarebbe così rappresentato) un accordo con l’Iran. In entrambi i casi, i sostenitori dell’alleanza Usa-Israele e Usa-Arabia Saudita faranno pressioni sul presidente statunitense perché richieda all’Iran concessioni tali che a Rouhani risulterebbe impossibile fare accettare alla leadership clericale iraniana.

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Riccardo Alcaro è responsabile di ricerca dello IAI.

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