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Perché il sussidio statale (diretto o indiretto) nuoce gravemente alla libertà editoriale

Finanziamenti statali ai quotidiani politici, di cooperative giornalistiche o fondazioni culturali. Robuste agevolazioni fiscali per l’acquisto di carta e le tariffe telefoniche e postali. Pubblicità istituzionale di regioni ed enti locali. È giusto prevedere un flusso così rilevante di risorse pubbliche che ogni anno, in forma diretta o indiretta, vanno ad alimentare la carta stampata creando una condizione di vantaggio rispetto al mondo dell’informazione on line? E quali sono le strade per colmare tale squilibrio a favore di un mercato editoriale aperto? Formiche.net lo ha chiesto a Vitalba Azzollini, giurista attiva presso la Divisione Corporate Governance della CONSOB ed esperta del legame tra stampa, pluralismo e concorrenza*.

Le sovvenzioni pubbliche ai giornali hanno promosso l’arricchimento del panorama dell’informazione oppure ostacolato la competizione fra operatori realmente meritevoli? 

Erano stati concepiti per garantire la libertà di informazione costituzionalmente prevista, favorire la circolazione di idee e la formazione di opinioni consapevoli nei lettori, agevolare l’accesso al mercato della più ampia varietà di testate. Ma nei fatti non hanno realizzato tale scopo. Grazie alle leggi e all’assenza di controlli efficaci sull’uso e la destinazione dei fondi, nel tempo si sono affastellati nuovi beneficiari dei sussidi privi dei requisiti di qualità e di un vero bacino di lettori. Una grave distorsione che ha prodotto forme di cronico assistenzialismo nel settore della stampa. Le sovvenzioni statali all’editoria si sono così risolte nell’impoverimento del panorama giornalistico. Penalizzando, da un lato, gli operatori che creavano un buon prodotto ma erano privi di finanziamenti. Favorendo, dall’altro, soggetti che non dovendo misurarsi sul piano della concorrenza non erano stimolati a esprimere contenuti di qualità e a suscitare un effettivo interesse nella collettività.

Quali tipi di elargizione statale hanno creato più danni al mercato dell’informazione e all’autentico pluralismo delle voci?

Non si può affermare con certezza. Ricordo però che l’Autorità garante per le comunicazioni nella Relazione Annuale per il 2011 rileva come i giornali che ricevono un maggiore ammontare di sussidi statali diretti, vale a dire quelli “politici”, siano i meno letti dal pubblico. Riguardo ai contributi indiretti, l’AgCom osserva che le tariffe agevolate postali non hanno rappresentato una misura efficace per lo sviluppo delle vendite in abbonamento, tuttora molto ridotte in Italia. E la pubblicità istituzionale degli enti locali, anziché essere rivista e modernizzata, è stata mantenuta inalterata con le spese rilevanti che comporta.

Non vi è una correlazione tra ammontare di sovvenzioni statali e penetrazione della stampa tra il pubblico, come rivela l’esperienza della Finlandia, il Paese che spende di più in contributi?

Gli studi internazionali escludono tale legame. Perché a fronte dell’esperienza finlandese vi sono realtà come gli Stati Uniti e la Germania che spendono pochissimo in finanziamento ai giornali e presentano tassi elevati di lettori. La diffusione della stampa non dipende tanto dalla politica statale nell’editoria, ma dal merito del prodotto giornalistico oltre che dai fattori culturali di ogni nazione.

La riforma dell’editoria del 2012 si è rivelata in grado di razionalizzare le norme, contenere la spesa pubblica, rendere rigidi e selettivi i criteri di accesso ai contributi?

È riuscita a restringere la platea dei beneficiari delle sovvenzioni statali. Tuttavia, finché i sussidi verranno erogati a imprese editoriali, la deformazione del mercato dell’informazione continuerà a esistere.

L’editoria on line può sviluppare un’effettiva concorrenza fondata sulle capacità di chi vi opera. È favorevole o contraria a forme di agevolazioni pubbliche verso le testate telematiche? 

Il Web ha rovesciato la prospettiva rispetto al giornalismo tradizionale: consente la libera accessibilità da parte del pubblico e degli operatori, ed è caratterizzato dalla mancanza di costi di stampa e distribuzione. Tali condizioni di partenza permettono a chiunque abbia contenuti da esprimere di affermarsi anche in mancanza di sovvenzioni. Un intervento pubblico nel settore mediante sussidi rischia di falsare i naturali meccanismi di mercato, alla stregua di quanto avvenuto per la carta stampata.

Non vi è dunque spazio per un’azione pubblica volta a garantire un effettivo pluralismo informativo?

Ritengo che anche nel terreno editoriale dovrebbero sopravvivere le imprese capaci di realizzare profitti, conquistare e fidelizzare clienti, razionalizzare le risorse e ottimizzare il rapporto costi-ricavi. Penso tuttavia che le risorse statali oggi destinate ai finanziamenti della stampa potrebbero venire liberate e impiegate per l’arricchimento informativo della comunità. Tramite iniziative culturali che facciano conoscere merito e qualità di chi si è affermato sul mercato senza bisogno dell’assistenza pubblica.

*Le opinioni sono espresse a titolo strettamente personale

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