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La scommessa di Nestlé per dare una scossa all’Europa in crisi

Un gesto di sfida a una crisi che appare priva di sbocchi. Un tentativo di navigare controcorrente rifiutando la rassegnazione al declino dell’Europa. È il senso dell’iniziativa “Nestlé needs YOUth”, con cui l’azienda multinazionale alimentare vuole offrire nel triennio 2014-2016 20mila opportunità di lavoro, per metà apprendistato e stage e per metà inserimenti professionali diretti, a giovani under 30 in tutto il Vecchio Continente, di cui 1.000 in Italia.

IL PROGETTO SPIEGATO DALLA MULTINAZIONALE

Un progetto che, ha spiegato Leo Wencel, vice-presidente esecutivo di Nestlé e responsabile del gruppo nel mercato europeo, si prefigge l’obiettivo di produrre “un circolo e un’onda virtuosi in grado di contagiare altre realtà produttive e coinvolgere oltre 60mila fornitori con un riverbero positivo nel tessuto economico-sociale, rovesciando le cifre che oggi parlano di un ragazzo su quattro privo di occupazione”. Numeri che raddoppiano in Paesi come la Grecia, anello fragile di un panorama percorso da fermenti nazionalistici e populisti da cui non casualmente è partito il programma, o in territori quali il nostro Mezzogiorno. È ai cittadini con un’età inferiore ai 30 anni delle aree più disagiate, ma anche alle persone residenti nei paesi più forti e attrezzati di fronte alla crisi, che l’azienda si rivolge. Mettendo a disposizione di tutte le persone interessate a inviare un curriculum aggiornato l’indirizzo di posta elettronica nestleneedsyouth@it.nestle.com.

LA VOCE DEL CNEL

L’iniziativa, presentata oggi nella sede del Consiglio nazionale dell’economia e lavoro, ha fornito lo spunto per riflettere sulle più gravi carenze della politica economica, fiscale e sociale del nostro paese e sui limiti cronici del tessuto produttivo italiano. È l’economista Alessandra Del Boca, presidente della Commissione informazione del CNEL, a rimarcare “il valore di un progetto concreto che affronta alla radice il tema irrisolto e ormai logoro della disoccupazione giovanile, frutto del fossato tra scuola-educazione e mercato del lavoro, di freni istituzionali che gravano sui centri per l’impiego attualmente in grado di trovare lavoro all’1,4 dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni, di piccole e medie aziende che fanno poca ricerca specie nel terziario avanzato, di un regime fiscale che penalizza ogni spazio di impresa, di una realtà previdenziale poco flessibile in uscita che ostacola l’assunzione di persone più giovani”.

I DETTAGLI DEL PROGETTO

A illustrare i contenuti di un programma che si inserisce nella cornice della Corporate social responsibility è Giacomo Piantoni, direttore risorse umane del Gruppo Nestlé in Italia, già forte di 5.400 lavoratori in 18 stabilimenti per un fatturato annuo di 2,2 miliardi di euro: “Oltre 1.000 persone verranno coinvolte in un percorso sviluppato lungo 4 direttrici. Avvicinare il mondo del lavoro ai ragazzi facendo conoscere loro la realtà e l’attività dell’impresa e creando partnership con università e centri di ricerca. Puntare su 600 tirocini formativi per alternare studio e lavoro, favorendo l’accoglienza nei paesi del Nord meno colpiti dalla crisi di ragazzi provenienti dall’Europa meridionale. Promuovere una strategia di 450 assunzioni nel business aziendale ricercando competenze nuove. Coinvolgere istituzioni pubbliche, organizzazioni sindacali e rete dei fornitori per ampliare le ricadute positive sul territorio.

IL GIUDIZIO DI ECONOMISTI E IMPRENDITORI

Perché l’iniziativa promossa da Nestlé non rimanga una goccia rara nell’oceano della stagnazione produttiva che colpisce 3 milioni di persone nel nostro paese, si pone l’urgenza di misure radicali e di ampio respiro. Tanto più in una realtà che, puntualizza il responsabile della Segretaria tecnica del Ministero del Lavoro e Welfare Daniele Fano, conosce la crisi del suo modello storico di sviluppo, imperniato sulle PMI un tempo floride e dinamiche e oggi esposte e vulnerabili anche per l’assenza dei grandi gruppi industriali, farmaceutici e chimici del passato. A prospettare le ricette possibili è l’economista Stefano Da Empoli, presidente dell’Istituto per la competitività: “Trovare le risorse economiche necessarie per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro giovanile. Realizzare politiche pubbliche di formazione e qualificazione professionale di ragazzi e adulti, oltre ad avvicinare giovani e lavoro fin dagli anni della scuola”.

Una visione recuperata con forte spirito liberale da Marco Oriolo, vice-presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria con delega all’economia, finanza e internazionalizzazione delle aziende. Rilevando “il fallimento di uno Stato che ha costruito una realtà in contraddizione con l’articolo 1 della propria Costituzione”, l’industriale spiega come può concretizzarsi la strategia capace di cambiare in profondità la realtà produttiva. Anziché ricorrere a provvedimenti tampone come gli incentivi alle assunzioni, “è meglio puntare su infrastrutture moderne, su flessibilità del lavoro in entrata e uscita. E soprattutto su una rivoluzione fiscale che riduca costo del lavoro e reddito di impresa, rispetto al regime di confisca oggi predominante: ogni 100 euro di utile appena 32 rimangono nelle mani del titolare dell’azienda, mentre 53 restano al suo collega tedesco”. Per rimuovere tale fattore di arretratezza, egli indica un taglio rigoroso e radicale sugli 800 miliardi di spesa pubblica: “Un intervento del 5 per cento libererebbe 40 miliardi di euro”. L’altro pilastro, spiega, è ricollegare scuola e lavoro fin dal tempo delle scuole superiori puntando sui comparti ad alta specializzazione, e promuovendo una coesistenza tra lavoro e studio che in Italia coinvolge il 3 per cento dei ragazzi a fronte del 20 per cento della Germania”.

L’ADESIONE DEI SINDACATI

La valutazione positiva del progetto lanciato dall’azienda alimentare si allarga al mondo sindacale. Fabrizio Scatà, segretario generale della FAI-CISL parla di un’iniziativa “che dà valore e significato alla missione imprenditoriale ed etico-sociale, fa crescere reddito occupazione e consumi, arricchisce l’organico dei dipendenti, colma il divario tra formazione e mercato del lavoro”. Per Stefania Crogi, leader della FLAI-CGIL, il punto apprezzabile del progetto è nella sua capacità di agganciare educazione e lavoro senza scorciatoie: “Ma anche per questo motivo è essenziale disciplinarlo in un accordo quadro con le organizzazioni confederali”. Il rappresentante della UILA-UIL Stefano Mantegazza mette in rilievo il respiro europeo di un’iniziativa “che prevede i prestiti d’onore per i figli dei dipendenti e riduce il fossato fra formazione e impresa, troppo a lungo liquidato come luogo di solo profitto”.

COME ROVESCIARE I PERCORSI SCOLASTICI

Tutti gli interventi, senza eccezione, valorizzano il legame tra formazione scolastica e capacità di inserimento nel mercato del lavoro. Come ha spiegato la dirigente del Ministero dell’istruzione Anna Laura Marini, i giovani italiani che completano l’esperienza educativa sono poco qualificati per svolgere in breve tempo un’attività professionale. E devono essere soprattutto gli istituti tecnici e professionali a costruire fin dal termine delle scuole medie percorsi di studio in cui rientri il punto di vista delle imprese, che valutino continuamente il rendimento degli studenti. Un orientamento destinato a sfatare e smantellare antichi e radicati luoghi comuni frutto delle culture politiche egemoni nel nostro paese. Per le quali scuola e impresa dovevano restare nettamente separate, e ogni rapporto veniva condannato come contaminazione capitalistica dell’autonomia del pensiero, come mercificazione del sapere, come asservimento della libertà educativa al denaro.

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