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La Repubblica di Napolitano

E’ possibile affermare che il nostro Belpaese vive in un limbo di anomalia costituzionale senza timore di essere etichettati come populisti poco ortodossi o, peggio ancora, aggressivi e demagogici? Mi prendo il rischio insito nella domanda nell’asserire senza indugi che ebbene si, lo è certamente.

Partendo dalla disgregazione progressiva dei partiti dovuta alla sostanziale ed incomprensibile rinuncia dei politici – soprattutto quelli di ultima generazione recentemente assunti agli scranni parlamentari – a sostenere prima di tutto il ruolo centrale della politica, in nome di una presunta necessaria stabilità negli ultimi due anni il Belpaese è stato governato (se è possibile usare ancora tale parola) da tecnocrati indicati direttamente dal Presidente della Repubblica, da alcuni burocrati provenienti da diversi ministeri ed enti pubblici, infine da alti funzionari della Banca d’Italia.

In altre parole, con una massiccia dose di interventismo personale che non ha precedenti nella storia repubblicana, il Presidente Napolitano ha affidato loro un compito specifico. La sua preoccupazione maggiore, parrebbe l’unica, è stata quella di garantire ‘sta famigerata stabilità prima di tutto nei confronti dell’Europa e dei mercati finanziari internazionali, di fatto emarginando così il ruolo del Parlamento ed i suoi rappresentanti. Un inciso, quanto successo in occasione della discussione sulla vicenda Cancellieri ne è una ulteriore dimostrazione: una mozione di sfiducia individuale nei confronti di un singolo membro dell’esecutivo, si è immediatamente palesata come un atto d’accusa e decadenza nei confronti dell’intero governo, peraltro pubblicamente affermato dallo stesso premier Letta, portando ulteriori non pochi sconquassi nel suo stesso partito.

Quindi, è di tutta evidenza che la creazione degli ultimi due governi, Monti e Letta, è frutto di una continua azione spedita del Presidente Napolitano, nondimeno che tale espressione diretta della sua volontà possa apparire costituzionalmente discutibile, di fatto avendo egli esteso i suoi poteri oltre i termini stabiliti dall’ordine repubblicano. Si potrebbe peraltro affermare che proprio in tale difformità tra situazione oggettiva e legge fondamentale dello Stato, la Costituzione repubblicana mostra tutti i limiti della sua veneranda età, ovvero la miglior giustificazione alle istanze di molti che, come il sottoscritto, ne auspicano la riforma.

Se da un parte la stabilità in Italia è vista dal Presidente come l’obiettivo primario, dall’altra è innegabile che tale aspirazione, seppur legittima e comprensibile, abbia però aggravato con il governo Monti la già pesante recessione. E Letta, purtroppo, con la sua tormentata ed insipida legge di stabilità, pare seguire lo stesso percorso del suo predecessore, lasciando nel contempo intravedere le stesse miserevoli conseguenze. Basta dare un’occhiata ai numeri per vedere lo scenario di un serio tracollo delle finanze dello Stato, con le entrate dalla tassazione diretta diminuite del 7% nei primi nove mesi dell’anno, un (vero) rapporto deficit/Pil maggiore del 3% ed un debito pubblico in continuo aumento.

Così proseguendo, è facilmente intuibile che il tutto è destinato a peggiorare e, francamente, c’è da sorridere pietosamente a sentire parlare di ripresa nel prossimo anno quando la stima riporta un ipotetico ed alquanto ottimista +0,3%: più corretto da parte del governo sarebbe dire che l’obiettivo di raggiungere una sorta di stagnazione nel 2014 dopo anni di grave recessione è quello che passa il convento e di meglio non si possa fare. Al contrario, sorge spontaneo il sospetto che non si voglia fare e venga invece servita al popolo italiano solo l’illusione che la stabilità possa da sola portare a benefici futuri per tutti e salvare il Belpaese dalla rovina. Tuttavia, le speranze assumono giorno dopo giorno – come pare sempre più evidente e come indicano i numeri – le vesti di un’allucinazione, seppur in buona fede, del Presidente Napolitano e dei suoi esecutivi trascorsi e presenti.

Quindi sarà almeno lecito chiedersi che se tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità e degli “allegri” impegni presi a suo tempo con l’Europa, chi poi si assumerà di fronte agli italiani la responsabilità del fallimento sempre più conclamato di una stabile e colposa azione improduttiva e dei danni irreparabili che il Belpaese subisce? Ahimè, è facile individuare la risposta nel caos istituzionale che stiamo vivendo: nessuno.

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