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I limiti della Russia, tra integrazione europea e propaganda putiniana

Nella battaglia per il soft power e per il con­trollo delle informazioni e delle opinioni, la Russia dispone di armi pesanti come Russia today (Rt), ma non riesce ad utilizzarle bene. Con il budget dell’emittente vicina al Cremli­no si potrebbe certo impostare una campa­gna di propaganda ben più efficace di quella attuale (sono pronto a scommettere che mol­te società occidentali sarebbero in grado di offrire maggiore valore aggiunto al regime, se venissero chiamate a gestirne i palinsesti). La propaganda putiniana è infatti bizzarra e poco funzionale rispetto agli stessi interessi del regime, tutta concentrata nel denigrare gli Stati Uniti e i suoi alleati più che nel promuovere i meriti della Russia.

LA PROPAGANDA PUTINIANA
Il primo mes­saggio che vuole fare passare è che la Russia è circondata da nemici, secondo la tradizio­nale logica dell’accerchiamento, funesta ma coerente con il progetto politico autorita­rio, che promette ai cittadini protezione dal mondo ostile circostante. Il secondo messag­gio (tipicamente veicolato da qualche profes­sore trotzkista di qualche dimenticata univer­sità Usa intervistato da Rt) è che in America si vivrebbe malissimo. Messaggio inefficace e poco credibile tra gli stessi russi, che sanno fin troppo bene che negli Stati Uniti si vive meglio che da loro.

LA QUESTIONE DEMOCRATICA
Quanto al problema della “democrazia” in Russia, questo è un non-problema, poiché non esiste qualcosa di simile alla democra­zia. Che non si esprime solo nei diritti po­litici, ma presuppone il diritto di proprietà, i diritti civili e quelli economici, e dunque la possibilità di finanziare partiti di opposi­zione reali (non avatar del governo) senza ve­dersi confiscare i patrimoni per frode fiscale o finire in galera con l’accusa di corruzione. Ne sa qualcosa il secondo uomo più ricco di Russia, Mikhail Prokhorov.
Durante l’ultima campagna elettorale, quando volle fondare un suo partito reclutando figure provinciali e municipali, prontamente il Cremlino pro­cedette ad arrestarle per corruzione e minac­ciare con dossier i suoi più stretti collabora­tori, facendogli il vuoto intorno. Ma questa assenza di democrazia non è un’esclusiva del potere putiniano. È piuttosto l’espressione di un tratto culturale congenito della nazione, che predilige l’autoritarismo e nella stragrande maggioranza non è pronta a lottare per la libertà, sicché quando gli oppositori dimostrano nella Piazza Rossa sono sempre lasciati soli, non innescando mai un movi­mento di massa.

I LIMITI DELL’AUTORITARISMO
Il principale limite internazionale dell’au­toritarismo putiniano è che non è possibile un vero dialogo con gli Stati Uniti, in quan­to potenza rappresentativa dell’Occidente. Se Clinton era distante e Bush jr oscillante, Obama appare invece incapace di compren­dere la psicologia degli interlocutori. Il fatto è che se Putin accettasse fino in fondo l’enga­gement rischierebbe di far crollare la retorica dell’accerchiamento e dell’ostilità occidenta­le, su cui si regge in parte il suo potere in­terno. Questi elementi di tensione non han­no mai costituito, tuttavia, un ostacolo per normali relazioni internazionali con gli Stati Uniti. Washington, si sa, non è particolar­mente schizzinosa in materia di democrazia interna dei suoi interlocutori: basti pensare alla lunga amicizia con l’Arabia Saudita.

COME SI ALIMENTA LA RUSSOFOBIA
È peraltro molto negativo il fatto che questi elementi di tensione vengano invocati per alimentare la russofobia, un sentimento in­giustificato, residuo obsoleto di un passato politico che non c’è, perché non c’è più una Russia aggressiva ed espansionistica. Lo stes­so popolo russo non merita gli incitamenti a infierire e isolare il loro Paese, che si leg­gono in certa stampa britannica ultimamen­te. Durante la Guerra fredda ho lavorato full time per distruggere l’Urss. Era per così dire il mio mestiere. Personalmente ero contra­rio alla coesistenza. Ero, insomma, un antisovietico di professione. Ma questo non mi fece e non mi fa perdere di vista il fatto che i russi sono il più grande popolo europeo, hanno contribuito molto all’ordine globale e potrebbero farlo ancora di più se fossero meglio integrati nell’Unione europea.

UNA DOPPIA FACCIA
Anche il loro governo, per quanto autoritario all’in­terno, normalmente si comporta in modo responsabile e moderato nelle relazioni in­ternazionali, evitando promesse o dichiara­zioni sconsiderate. Anche nel recente caso Snowden, tanto sbandierato come prova di una “nuova Guer­ra fredda”, Mosca non ha fatto nulla per avvantaggiarsi delle informazioni dell’ex consulente del Nsa. Sull’Iran la Russia si è dimostrata pronta alla cooperazione, votan­do a favore delle sanzioni a Teheran. Mosca inoltre coopera pienamente con il cartello di contrasto internazionale all’islamismo poli­tico, cui partecipano tutte le grandi potenze (la Gran Bretagna in misura minore).

L’UNIONE EURASIATICA
La Russia oggi ha un grande progetto: l’Unio­ne eurasiatica, attraverso l’Unione doganale con i vicini dello spazio ex-sovietico. Finora l’unione è stata perseguita con troppa fretta e con finalità di influenza politica, creando malumori nei vicini. A Mosca sanno però che le unioni doganali come il Nafta devono essere negoziate a livello di industrie e im­prese, non solo dei vertici politici. È ancora presto per una valutazione geopolitica, ma il progetto potrebbe contribuire al commercio globale se, come accaduto con il mercato co­mune europeo, sarà alla fine a somma positi­va, cioè se riuscirà a creare, su base regionale e concentrata, più scambi di quanti ne disto­glierà dal libero mercato mondiale.

IL RAPPORTO CON GLI USA
In passa­to questo spazio ex-sovietico è stato attraver­sato dalle “rivoluzioni colorate” che hanno avuto la simpatia e l’appoggio di Ong e think tank americani.
Non si può impedire la loro libertà di espressione sulle questioni globa­li, ma esse certo non rappresentano la linea ufficiale del governo statunitense. Questa di­stinzione va ribadita e Washington deve te­nersi rigorosamente fuori da ogni ipotesi di rivoluzione colorata in Russia. Non ne ha in­teresse reale, perché il rischio di disgregazio­ne è troppo grave (non dimentichiamo che Mosca condivide una lunghissima frontiera con la Cina), né il diritto morale, perché è lunga la lista dei Paesi più illiberali della Rus­sia in cui allora bisognerebbe intervenire.

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