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20 anni di lobby in Italia. Dove abbiamo fallito?

L’ultimo numero di Panorama ospita un articolo di Alberto Cattaneo (lobbista, titolare di uno studio di lobbying omonimo assieme al socio, Paolo Zanetto) dal titolo interessante: “C’è una lobby che lavora per ostacolare noi lobbisti” (l’articolo può essere letto Qui). La tesi di Cattaneo, esposta nello spazio  di due colonne e qualche migliaio di battute, è semplice. La colpa del fatto che in Italia non c’è una legge sul lobbying è della politica. I lobbisti, diretti interessati, sarebbero compatti nel volerla la legge. Purtroppo hanno incontrato un ostacolo insormontabile: i politici. Per questo, conclude Cattaneo, ci meritiamo una legge paradossale: e cioè una legge “illiberale” nel senso che deve imporre in modo dittatoriale la trasparenza a tutti:  politici, istituzioni e lobbisti.

Come dicevo, una tesi semplice, anche troppo. Il motivo per cui questa legislatura, come quelle che l’hanno preceduta, ha fallito sul versante lobbying è molto più radicato e ha tante cause. Tanti piccoli fallimenti che, sommati assieme, hanno contribuito a impedire che una legge fosse approvata. C’è bisogno di elencarli? Elenchiamoli:

sicuramente ha fallito la politica, su questo ha ragione Cattaneo. Se per politica intendiamo però non la poca volontà di arrivare a concordare una legge. Quella è una conseguenza. La politica, impersonata dai rappresentanti eletti in parlamento, ha fallito nel momento in cui ha cavalcato l’idea di regolare il lobbying in maniera leggera. Quasi fosse una passeggiata. Tutte le volte che questo è accaduto, cioè sempre, il massimo che la politica ha ottenuto è qualche agenzia di stampa, una manciata di articoli sui quotidiani, a volte addirittura un passaggio in tv. La sceneggiata si è fermata immediatamente dopo. Nel momento in cui i testi hanno dovuto affrontare il primo scoglio, la calendarizzazione in commissione. Quello successivo, l’approdo in aula, è uno scoglio che nessuno si è mai posto il problema di affrontare. Semplicemente perché non c’è stato bisogno.

ha fallito anche la politica applicata, sì insomma la realpolitik, o se preferite quella maturata con Vedrò. Qualcuno dice – e io credo sia vero – che l’esperienza vedroide (di cui, sia chiaro, ho un giudizio eccellente) è finita nel momento in cui ha portato al governo le larghe intese. Realizzando quello che per qualche anno aveva fatto in mezzo alle montagne, tanto network e contenuti. Solo che il network è diventato governo, i contenuti…chi li ha visti? tra le tante cose di cui si è occupato Vedrò per esempio c’era un tavolo sul lobbying. Pretendere di considerarlo, come qualcuno fa, il faro del dibattito sul tema è eccessivo. Ma che fosse un pilastro del dibattito non ci piove. Eppure non ha prodotto nulla. Aria a parte, ovviamente.

hanno fallito anche i lobbisti però. E sì, perché sostenere che i lobbisti sono tutti a favore della trasparenza equivale a fare una forzatura grande come una casa. Ci sono lobbisti favorevoli a parole e fatti. E ci sono lobbisti favorevoli solamente a parole. Lo studio professionale di Cattaneo per esempio si è speso molto sul tema, e gli va riconosciuto. Ma ci sono tanti professionisti del lobbying che quando si è trattato di arrivare al dunque e sbilanciarsi a favore dell’obbligatorietà del registro (unico modo per avere trasparenza reale) si sono tirati indietro. Alcuni di loro, i più furbi, hanno continuato a prodigarsi a favore della trasparenza, ma sempre con qualche distinguo. Trasparenza sì, ma…

e i lobbisti hanno fallito di nuovo perché, oltre che sulla trasparenza, non sono affatto coesi nemmeno sul resto. Capisco che trattandosi di un mercato mobile e ancora piuttosto promettente faccia gola a molti. Ma in quanto a veleni, sotterfugi, “parrocchie” e “cordate” non teme nessuno. Chi fa parte di un’associazione non può far parte di un’altra. Chi è di una linea di pensiero non può che andare contro a chi è della linea opposta. Credo sia prassi di qualsiasi ambiente umano e lavorativo. Ma, insomma, pretendere, come alcuni vorrebbero (non Cattaneo nel suo articolo) che siano tutti d’amore e d’accordo è una fesseria.

hanno fallito le università. E quando mai ne hanno presa una da qualche anno a questa parte? Sì è vero ci sono alcuni corsi di insegnamento e c’è una discreta offerta formativa post-laurea. Ma è tutto molto disorganico e frammentato. Gli autori che pubblicano articoli o lavori di un certo peso si contano sulle dita di una mano e, purtroppo, come ho sperimentato personalmente, sono pure piuttosto gelosetti del loro piccolo orticello. E così non si è mai creato un circuito, un dibattito a più voci, uno scambio di opinioni franco e leale, che avrebbe giovato a tutti. Primi a giovarne sarebbero stati quelli che sono lì a zappare il loro orticello. E invece sono lì che non si muovono, tanta è la paura di perdere le loro conquiste, piccoli piccoli, sempre con il telefono in mano per chiamare il giornalista che ha “osato” intervistare o citare un altro nome che non sia il loro.

Devo dire che ha fallito anche la società civile, intesa come terzo settore o, se preferite, organizzazioni non governative. L’interesse al tema si è sviluppato a macchia di leopardo, solo di recente, e anche qui senza una presa di posizione chiara. Se escludiamo Transparency International, che della trasparenza fa ovviamente il proprio vessillo, non ci sono altri casi di associazioni no-profit che si sono battute per migliorare la trasparenza in generale (e quindi anche quella delle lobby). Non a caso sul versante dell’accesso agli atti, della accountability e, appunto, della trasparenza istituzionale siamo tra gli ultimi in Europa.

Infine, hanno fallito le istituzioni. A livello regionale quello che c’è è vecchio o ancora in rodaggio. Oppure non ha mai iniziato a funzionare. Dunque, encomiabili i tentativi, ma mediocri gli esiti. A livello nazionale avevamo un solo esempio, il Ministero delle politiche agricole, ma in quasi due anni di attività non ha prodotto nessun rapporto (i dati presenti sono solo una parte delle informazioni che sarebbe giusto avere), è rimasto privo di coordinamento e ha smesso di far parlare di se (non che fosse al centro dei riflettori, intendiamoci, ma almeno lo si poteva usare come best practice).

Insomma, le motivazioni dello stallo in cui ci troviamo sono tante. Molte più di quanto un binomio politica (cattiva) – lobbisti (buoni) potrebbe raccontare. Di positivo c’è il fatto che, tutto sommato, a starci dentro, sia per motivi professionali, di studio o di semplice curiosità, non ci si annoia.

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