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Europa, ultimo atto prima del collasso

Adamo Smith affermava che il duplice evento della scoperta delle Americhe e della apertura della via marittima delle Indie, costituiva la più grande rivoluzione che vi fosse mai stata a partire dall’inizio della storia del mondo. Aveva visto giusto. Eppure la rivoluzione attualmente in corso nel mondo, quale si è sviluppata negli ultimi tre decenni e poco più, distacca alla grande quella antecedente, per innovatività, ampiezza dei risultati, velocità in cui gli stessi si producono.

Cosa è accaduto nel mondo a partire dal 1982, qualche anno in più, qualche anno in meno? Tutto è partito dalla informatica. Il distretto di Silicon Valley, cui si doveva l’innovazione, aveva elaborato sulla sua base il progetto di guerre stellari. Il Ministero USA della Difesa ne intuì la importanza strategica e le potenzialità. Avrebbe restituito agli USA il primato tecnologico, assoluto alla fine del conflitto, in seguito affievolitosi.

La Presidenza USA (Reagan) sostenne la proposta. In qualche decennio nulla sarebbe stato più come prima. Si farà cenno tra poco di alcuni tra i moltissimi sviluppi. Un esame analitico e completo porterebbe troppo lontano. Ma una loro manifestazione recente non potrebbe non essere segnalata. È significativa. Mentre miliardi di uomini vivono e si agitano sul pianeta, un piccolo nucleo di donne e di uomini convive da anni in una stazione orbitale. Vi si trattengono per periodi definiti, sempre più lunghi. Provengono dai più diversi Paesi. La convivenza è pacifica ed ordinata. Astronavi periodicamente vi recano cosmonauti che sostituiscono quelli che hanno completato le missioni ad essi specificamente affidate. Vi trasportano viveri. I terrestri hanno creato un satellite minuscolo. Un piccolo pianeta che orbita intorno alla terra e che con la terra mantiene contatti “umani”. In ciò la sua straordinarissima novità.

I fattori dello sviluppo, quindi della grandiosa rivoluzione in corso, formano serie distinte. I loro effetti si sono consolidati, incrociati, integrati come sempre accade quando più fattori operano in uno stesso ambito. In questo caso il loro numero è enorme e l’ambiente è quello del “globo” nella sua interezza.

Una prima serie causale è quella delle variazioni a livello di individui singoli e delle collettività cui gli stessi danno luogo. Tutti, dovunque si trovino, possono oggi avere facile accesso a qualsiasi tipo di informazione, comprese quelle di carattere culturale, scientifico, tecnico, politico, della convivenza sociale, e così via. Tutti possono esporre le proprie opinioni su qualsiasi tema e renderle disponibili a chiunque voglia conoscerle. Tutti possono comunicare con qualsiasi mezzo da un luogo all’altro del globo in tempo reale. In qualsiasi tipo di rapporto, scientifico, di lavoro o di altro tipo, la collaborazione organizzativa e nel lavoro ed il controllo possono aversi anche tra soggetti operanti in luoghi molto distanti. Ci si può recare liberamente quasi dappertutto. Le merci vengono trasferite in grandi volumi in luoghi lontani con mezzi e tecniche velocissimi. I costumi di vita e collettivi, in dipendenza da questa ed altre trasformazioni, si sono dovunque a loro volta radicalmente modificati, in larga parte omogeneizzati. Il che incide sui consumi, quindi sulle produzioni, sui servizi. Anche sul peso dell’umanità, sui singoli territori e sul globo.

Una distinta serie causale concerne le istituzioni. Una parte molto attiva ha svolto e svolge una istituzione le cui origini risalgono agli anni ’60 del secolo scorso. La sua importanza è andata continuamente crescendo. È autonoma protagonista degli attuali processi di trasformazione. Va sotto il nome di “finanza internazionale”. È un sistema che opera fuori dal controllo delle banche centrali. I soggetti che la compongono non sono tutti esattamente identificati. Vi partecipano, venendo denominati come “sovrani”, “fondi” istituiti da Stati, che non perseguono fini pubblici specifici. Anche gli strumenti di cui la finanza internazionale si avvale non sono tutti identificati. Sono riconducibili, sembra, alla denominazione omnicomprensiva di “derivati”. Alla finanza internazionale vengono attribuite le più varie responsabilità. La “finalità” specifica è il profitto. Quanto realizzato viene reinvestito. Concorrono alla finanza internazionale organismi illeciti, che operano nei settori della droga, della vendita di donne, bambini, organi umani ed altro, per investire gli ingenti ricavi e anche per ripulirli. Di recente ha acquistato una certa diffusione una novità rappresentata dalla moneta elettronica. Gli emittenti ed i gestori restano sconosciuti.

La finanza internazionale ha avuto probabilmente una parte non trascurabile, che peraltro si è riusciti a celare, nella redazione della nuova disciplina dell’UE e dell’euro. In particolare per quanto riguarda i principi della libertà di impresa, della eliminazione dei poteri autoritari degli Stati nella economia, nell’apertura dei mercati, nella riduzione dei dazi doganali, ed altro.

Un ruolo decisivo la finanza internazionale ha svolto nel porre a disposizione dei mercati gli ingenti volumi di risorse necessarie per gli imponenti investimenti che venivano realizzati.

A livello istituzionale grandi novità, alcune inattese, sono state la apertura al mercato(1978) di una prima fascia costiera della Cina, cui presto altre se ne sarebbero aggiunte. Fu una decisione di Deng, il leader cinese che era riuscito a concentrare, dopo Mao, l’intero potere nelle sue mani. Preesistevano segni di risveglio. Dai primi anni del 1980, come in anni ormai lontani vi era stata la “lunga marcia” verso il potere di Mao, cominciò in Cina la “grande marcia” nella direzione della crescita. Il Paese conta ora un miliardo e più di trecento milioni di persone, si è sviluppato ad un tasso medio del 9%, passando dalle condizioni di Stato con medio sviluppo (numero 98 in una classifica risalente al 1997, Rapporto sullo sviluppo umano, 1999) a quello di seconda economia del mondo.

Nel 1990 le due Germanie si riunificavano. Nel 1991 l’URSS implose. Nel 1986 venne stipulato l’AUE, cui avrebbe fatto seguito nel 1992 il TUE. Dell’Unione europea si è già trattato, ed ancora si tratterà. Fa parte del TUE anche una norma scarsamente citata, la cui influenza sui processi di trasformazione del mondo sarebbe stata importante, forse decisiva. Ci si riferisce all’art. 110 TUE che consacra l’intendimento dell’Unione di “contribuire allo sviluppo armonico del commercio mondiale, alla graduale soppressione della restrizione degli scambi internazionali ed alla riduzione delle barriere doganali”.

Il messaggio dell’Unione fu raccolto. Nel 1994 l’Uruguay Round, la complessa trattativa nella quale si concordarono tariffe doganali uniformi per la grande parte delle merci scambiate nel commercio mondiale, giunse a conclusione. Il 1.1.1995 fu creata la World Trade Organization (WTO).

Abbiamo citato la disponibilità di liquidità sufficiente per volumi di investimento di qualsiasi dimensione e l’affievolimento generalizzato delle barriere doganali.

Dobbiamo aggiungere la trasformazione in Stati indipendenti di anteriori componenti dell’URSS. Disponevano di grandi quantità di materiale nucleare residuato, oltre che di riserve di petrolio e di materie prime. Nello stesso tempo antecedenti colonie si trasformarono in Stati indipendenti, in Asia e in larga parte dell’Africa. Si realizzò presto che questi vasti territori possedevano enormi ricchezze, non solo di petrolio, ma anche di materie prime “rare”, la cui valorizzazione ed il conseguente elevatissimo prezzo, era frutto delle straordinarie innovazioni scientifiche. I nuovi Stati disponevano anche di vasti territori, utilizzabili per produzioni agricole di interesse di altri Paesi, in particolare la Cina. Va aggiunto che i nuovi Stati ed anche Cina ed India disponevano nell’immediato di serbatoi, che apparivano inesauribili, di mano d’opera a bassissimo costo. Si inserivano nel processo, come fattore non secondario, i ricchissimi Stati del Golfo, nei cui territori sono concentrate le maggiori risorse petrolifere. Nel passato avevano impiegato scarsamente le loro risorse in “loco”, per ragioni culturali ed anche per mancanza di mano d’opera. Nel nuovo clima mondiale, con radicali inversioni nei loro indirizzi, si sono impegnati in gigantesche operazioni di trasformazioni urbanistiche che hanno cambiato negli aspetti culturali e nelle forme di convivenza i rispettivi Paesi. È stato possibile avvalersi degli straordinari giacimenti di mano d’opera a buon mercato, esistenti nelle aree più distanti del globo, molte nell’estremo est asiatico.

Ogni effetto, prodotto da fattori anteriori, è causa immediata e necessaria di effetti ulteriori. Lo abbiamo sottolineato più volte. Queste indicazioni a grandissime linee sulla “grande rivoluzione” di cui il mondo nello stesso tempo è oggi protagonista e fruitore, comprende tre distinte serie di effetti. La prima è che si è radicalmente trasformata la geografia economica nel mondo. Il già citato “World in figures” dell’Economist, ed. 2013, pag. 30, elenca le 54 economie con il più elevato tasso di sviluppo nel decennio 2000-2010. Sono Stati, a cominciare dal primo (Equatorial Guinea, tasso del 17.0%) i cui nomi a molti risulteranno del tutto nuovi. Si è dato il tasso medio del primo. I nove successivi hanno medie del 9%, i primi sei superano il 10%, gli altri vanno dall’8% al 9%. Figurano nell’elenco Cina (6° posto) ed India (20°). Dell’Europa vi appare la sola Albania (tasso del 5.5%), uno dei pochi Paesi europei, che non fa parte dell’UE. Di americani ve ne sono tre, Panama, Perù e Repubblica domenicana. Tutti gli altri appartengono all’Africa e all’Asia.

Seconda serie di effetti indiretti. Della nuova tecnologia si sono avvalsi indirizzi terroristici (attentato alle Due Torri di New York e a siti governativi degli USA dell’11 settembre 2001) nonché movimenti di masse appartenenti a fedi non solo religiose, con iniziative che hanno sconvolto intere regioni (es. la c.d. primavera araba) e che a livello mondiale possono assumere carattere terroristico.

Terza serie di effetti indiretti. Come è accaduto per la geografia economica, così è stata modificata anche la geografia politica del mondo.

Implosa l’URSS, gli USA, che a partire dalla fine degli anni ’80 avevano riacquistato il primato nella innovazione e nella forza militare, si sono “dichiarati” potenza egemone nel mondo. Lo sono stati effettivamente in quella fase. Ne hanno abusato. Dimenticando quanto era avvenuto in Vietnam si sono impelagati in conflitti nella area asiatica orientale. Il prestigio ne è stato compromesso. Ma non è questo l’aspetto più rilevante. Il bilancio commerciale USA per decenni è stato costantemente in passivo. Il pareggio è stato conseguito vendendo dollari, il biglietto verde, acquistato e tesaurizzato in tutte le aree del mondo. Il dollaro è la moneta che le banche centrali hanno da lunghissimo tempo privilegiato nel costituire le loro riserve. Per decenni i maggiori detentori di dollari in riserva sono stati tre Paesi amici, Germania, Giappone ed Italia. Da qualche anno il maggior creditore degli USA è la Cina, il principale competitore. Le riserve cinesi nel 2011 ammontavano a 2.087.326 milioni di dollari (Report of President, 2013, pag. 451). I due Paesi, il creditore ed il debitore, sono legati. Il creditore ha interesse a non svalorizzare il credito. Il debitore deve cercare che nulla avvenga che induca il creditore a vendere. Si aggiunge ora che le medesime pressioni ideologiche e non, che hanno spinto l’Europa a legarsi al principio della stabilità del bilancio, hanno indotto gli USA, il cui rapporto debito/PIL a causa probabilmente delle esigenze della Difesa, tocca il 107.7% (Report cit., 2013, pag. 418) ad autovincolarsi al rispetto nel debito di un limite massimo. Per ragioni diverse, gli USA versano in difficoltà simili a quelle della zona euro. Accanto ad USA e Cina vi sono Stati di rispettabile grandezza e forza economica. Alcuni fanno capo agli USA, altri alla Cina.
L’assetto attuale non può considerarsi rassicurante nelle presenti condizioni del mondo.

Mettiamo gli uni accanto agli altri gli elementi raccolti. Liquidità disponibile, masse di lavoratori a basso costo, corsa all’accaparramento di materia prime, alcune preziose, e di terreni e produzioni agricole. Flussi imponenti di domanda, di merci e di liquidità, con i connessi interessi, si spostano veloci da un luogo all’altro, dall’uno ad un altro settore. Variazioni dei valori di cambio tra le principali monete si riflettono su settori commerciali e produttivi anche non contigui, né connessi. Nessuno può conoscere le mosse di tutti gli altri. Il ruolo attuale dell’Europa nel mondo, sono stati altri a scoprire, è parecchio lontano dalle sue tradizioni. L’Europa è il principale acquirente di beni e servizi dagli USA. È il mercato dove le multinazionali USA realizzano i maggiori profitti. È il principale investitore negli USA. È nello stesso tempo il secondo importatore dalla Cina preceduto solo dagli USA (Report del Presidente degli Stati Uniti al Congresso, anno 2012, pag. 131 e segg., e 2013, pag. 46). Se l’economia europea langue o, peggio, versa in fase di continua depressione, rallentano le economie statunitense e cinese. Da queste il contagio si allarga ad altri Paesi. L’Europa, per millenni esportatrice di civiltà, apprezzata quale migliore importatore di servizi e prodotti altrui!

Per comprare si deve produrre. Sulla capacità dell’Europa non possono esservi dubbi. Tanto per fare un esempio, l’Europa è il primo esportatore di prodotti manifatturieri nel mondo. C’è un dettaglio che rende ancora più interessanti queste riflessioni. Germania, Francia ed Italia sono i tre Paesi, che a partire da tempi molto diversi e con conformazioni diverse, avevano realizzato il modello dello Stato sociale nella misura più ampia o che allo stesso tempo nel quarantennio 1950-1991 avevano raggiunto la media più elevata nel tasso di sviluppo del PIL. La formula dello Stato sociale, senza che ce se ne accorgesse, ha capovolto la profezia marxiana della proletarizzazione della borghesia. L’ha sostituita con l’imborghesimento del proletariato. In un modello evoluto di Stato sociale i confini tra le due categorie si confondono. Le condizioni di benessere, ed i modi correlati di vita, come era nelle aspirazioni del proletariato, sono divenuti in larga misura quelli della media e piccola borghesia.

Può assumersi che al 1° novembre 1993, data dell’entrata in vigore del TUE, fossero ancora presenti nei tre maggiori Stati continentali (Francia, Germania, Italia) gli effetti della gloriosa cavalcata quarantennale dal 1950 al 1990. Il 70% circa della popolazione dei tre maggiori Paesi continentali europei condivideva a quel tempo, nella media, i modi di vita della media e piccola borghesia. Una percentuale corrispondente ad un numero di centri di spesa valutaria dai 130 ai 140 milioni. I centri di spesa ascrivibili alla media e piccola borghesia e a fasce assimilabili sono i naturali acquirenti di beni durevoli di uso individuale o familiare e di quelli di largo e generale consumo. In concreto di quelli alimentari e dei manifatturieri minori, cui bisogna aggiungere i servizi la cui fruizione è legata alla vita quotidiana. Se consideriamo ora i dati statistici relativi ai settori nei quali le importazioni da USA e da Cina negli anni 2009, 2010 e 2011 sono diminuite, constatiamo che la diminuzione si è verificata in una percentuale all’incirca identica per USA e Cina, nei comparti agricoli e delle manifatture (perdita di 21 punti per gli USA, dai 30 ai 31 punti per la Cina). Per gli USA bisognerebbe tenere conto anche della diminuzione dei profitti delle multinazionali USA operanti nel settore dei beni di largo e grande consumo. E poi, anche della diminuzione indotta in altri settori. Il depauperamento in Europa della fascia dei fruitori della formula dello Stato sociale si riverbera negativamente sulla economia di USA e di Cina. Chi lo avrebbe detto?

Seconda riflessione, in una direzione del tutto diversa. Il ruolo attribuito all’Europa nel concerto mondiale di maggiore acquirente è sconfortante. Nell’attuale situazione potrebbe tuttavia avere un risvolto positivo. La finanza internazionale, nel timore di un rallentamento generalizzato del commercio mondiale, potrebbe essere interessata a non indebolire ulteriormente l’Europa, la cui domanda non è non insignificante per le economie sia degli USA, che della Cina. Potrebbe essere a ciò attribuito l’allentamento delle pressioni dei mercati finanziari sui titoli, compresi quelli a lungo termine, di Stati membri in fasi in cui le risultanze economiche dei singoli Paesi giustificherebbero una tendenza opposta. È una mera ipotesi. Ma ci si riferisce ad un settore che per sua natura esclude che si possano raccogliere dati sicuri. Una ipotesi quindi che ex post potrebbe risultare corretta!

Su un medesimo obiettivo possono concentrarsi interessi in misura superiore a quanto l’obiettivo possa raccoglierne. La formazione di bolle e la loro esplosione sono fenomeni che non possono escludersi. Sono maturate nel mondo condizioni, ed anche un clima generale, che potrebbero assimilarsi, in più ampia proporzione, alla grande epopea americana della conquista del West. Ma esisteva allora un governo, quello Federale degli USA. Agli indesiderati si poteva precludere l’accesso. Ci sono ora forze non controllate che potrebbero improvvisamente agitare le acque. Ed un Governo centrale non c’è!
Il duopolio USA/Cina, su cui convergono BRICS ed altri Paesi, non sembra avere forza sufficiente per imporre, in caso di improvvise rotture, il ritorno all’ordine. C’è un anello che manca.

Cosa fare?

Non è facile a dirsi. Vi è un ostacolo che potrebbe considerarsi dirimente. Si aggiungono ostacoli connessi.
L’ostacolo dirimente è conseguenza diretta della inesistenza di un vertice politico. L’UE e l’eurozona costituiscono un organismo “robotizzato” complesso. I titolari degli organi, a tutti i livelli, compresi quelli più elevati, sono tenuti ad osservare e a far osservare le norme in vigore. L’avrebbero dovuto fare i titolari degli organi negli anni 1996-1999. Non lo fecero. Purtroppo lo fanno oggi. Vi sono costretti!
Per derobotizzare il sistema occorrerebbe un colpo di Stato, diretto alla creazione di un nuovo regime (democratico) o quanto meno per reintrodurre, sia pur tardivamente, quello soppresso nel 1999. Apppare difficile che avvenga.

Un ostacolo, se ne è fatto già cenno, potrebbe essere rappresentato dal coinvolgimento di attuali detentori della titolarità degli organi costituzionali dell’Unione ed in particolare degli Stati membri, nella adozione degli atti con i quali fu attuato il golpe del 1999 (ipotesi, dato il tempo trascorso, che potrebbe riguardare oggi un numero limitato di soggetti) ovvero nell’adozione e nella emanazione di atti applicativi o comunque derivati dal reg. 1466/97 e da quelli ad esso successivi, e/o che a tali abbiano dato seguito, mentre sarebbe stato loro dovere istituzionale impedirne l’adozione o rimuoverne gli effetti. È un gruppo probabilmente folto. La questione va considerata avendo riguardo non alla sola Unione, ma anche e forse soprattutto, ai singoli Paesi membri senza deroga.

Il passato coinvolgimento nell’adozione degli atti illegali e/o nella loro esecuzione di titolari attuali di organi costituzionali degli Stati membri che nella ipotesi già esaminata appariva un ostacolo, potrebbe alternativamente trasformarsi in fattore favorevole. Molti, specie qualcuno degli anni più recenti, sono stati influenzati dai precedenti, cui in buona fede potrebbero avere ritenuto di doversi attenere. Scoperta “la verità”, stimolati dalle loro attuali posizioni di autorità, potrebbero proporsi essi stessi come attori e protagonisti del processo di restaurazione innovativa.

Le condizioni disastrate della economia si sono riflesse sulla classe politica e nelle condotte comuni. La classe politica attuale risente della assenza di prospettive, effetto della robotizzazione. Ci sarà qualcuno pronto ad alzare la bandiera della “rivoluzione”, cioè di quanto si dovrebbe fare per spalancare le porte che si aprono sul futuro (la rinascita)? Si, è possibile. Nel 1945 UK, USA, URSS, continuavano ad essere governate dagli artefici della vittoria. Germania, Italia ed anche la Francia in qualche misura ebbero governanti nuovi. Alcuni di questi erano all’inizio sconosciuti. Avrebbero retto le responsabilità collettive con prestigio e successo. Sono le grandi emergenze storiche a creare i grandi personaggi, non l’inverso. Emerse le prospettive, un politico di antica esperienza, o giovane già affermato, od anche uno del tutto nuovo, potrebbe assumere il ruolo di protagonista.

È possibile derobotizzare legalmente il sistema?
La robotizzazione si lega alla peculiarità del singolo sistema. Per dipanare le componenti, bisogna individuare innanzitutto il principio primo ante robotizzazione e confrontarlo con quello del sistema robotizzato. Il principio primo va desunto dalla disciplina. Quale è la disciplina “legale” oggi in vigore? È quella del Trattato di Lisbona, stipulato il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009. È una fonte di rango massimo. Abroga, se anteriori, tutti gli atti con essa incompatibili, di rango pari o inferiore. Preclude l’osservanza, con effetto immediato, degli atti inferiori successivi, se incompatibili. Prevale su quelli successivi affetti da “inesistenza”. Nel Trattato di Lisbona gli artt. 102 A, 103, 104 c) del TUE sono riportati testualmente negli artt. 120, 121 e 126.
Non basta tuttavia che si individui con esattezza il diritto vigente. Occorre che sul punto si formi un fermo e diffuso convincimento generale.
Ne consegue che tanto per cominciare ogni operatore giuridico pubblico di qualsiasi livello, non deve farsi suggestionare da falsi idoli o da non dovuti rispetti. Le imposizioni, i suggerimenti od anche le semplici manifestazioni di opinioni che siano espressione di principi, od applicazione di norme e di atti che non siano riconducibili al TFUE (Lisbona), devono essere respinte con fermezza. Bisogna essere implacabili nell’esigere che qualsiasi atto od anche semplice manifestazione di opinione di titolari di funzioni nell’Unione o in singoli Stati membri che prenda iniziativa o faccia dichiarazioni sui Paesi diversi dal suo, specifichi in modo formale e preciso la norma del TFUE sulla quale ritiene di poter basare la sua condotta. Se la indicazione non risulta esatta va richiesto con fermezza il riconoscimento dell’errore, riservandosi di farne valere le responsabilità.
Dopo quindici anni di diffusa e dominante illegalità il primo passo, assolutamente necessario, deve essere diretto a ricondurre la generalità delle condotte al rispetto della legalità.

Come fare?

Ristabilire la democrazia e diffondere il convincimento della necessità del ritorno alla legalità sono passi necessari. Ma non può essere trascurato il fattore tempo. Servono decisioni, che se arrivano tardi, potrebbero non essere più sufficienti, forse nemmeno più idonee.
Tutti gli Stati a partire da quelli con deroga potrebbero essere interessati alla questione che si va ad esaminare. Lo sono principalmente i Paesi membri senza deroga, in numero di 17. Potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione. Nessuna norma del TFUE lo vieta. Gli Stati conservano piena la titolarità della loro sovranità. Ne possono far uso in piena libertà, sempre che non vi ostino disposizioni di diritto europeo. La moneta comune creata dai 17 Stati avrebbe titolo a circolare con valore legale all’interno dell’Unione alla stregua delle monete nazionali di singoli Paesi dell’Unione, quali ad esempio la sterlina inglese e la corona svedese. L’originario TUE ed i Trattati successivi non fanno distinzione tra l’una e l’altra moneta degli Stati senza deroga in base alle dimensioni ed alle peculiarità delle economie.

Vi sono però due difficoltà. L’una è rappresentata dalla urgenza. Se non si raggiunge un accordo in tempi brevi, si rischia di arrivare in ritardo. L’area dei Paesi che si avvicinano in modo preoccupante al punto di rottura si va allargando. Una implosione, singola o plurima, accrescerebbe le divisioni.
La seconda consiste nel mancato conseguimento della “coesione”. La Germania, il Paese con maggiore popolazione, con la più forte economia, non ha dovuto soggiacere a modifiche rilevanti della propria conformazione. È stata una delle tre economie chiamate a costituire il modello al quale, nella fase della omogeneizzazione le altre economie dovevano conformarsi. Ha subito danni consistenti della specie del “lucro cessante”. Gli altri Paesi danneggiati in misure generalmente minime per lucro cessante, hanno subito danni emergenti, in misura rilevante.
La diversità dei risultati ha in qualche misura deteriorato i rapporti. Alla soluzione ottimale si perverrà. Ma richiederà tempo.

Il risultato se conseguibile in astratto dai 17, potrebbe essere raggiunto in minor tempo e minore difficoltà da un piccolo gruppo.
Difficoltà ve ne sarebbero egualmente, ma di tipo diverso. I singoli Paesi euro, se decidessero di agire da soli, sarebbero esposti alle pressioni dei mercati, ed anche di qualche Paese estraneo all’Unione che aspirasse ad acquisirne il controllo economico e/o politico. La soglia minima, presupposta la creazione di un vertice politico comune, è rappresentata dal raggiungimento di un livello di PIL sufficiente per reagire in modo adeguato alle pressioni esterne. Lo si potrebbe ipoteticamente indicare in un livello da collocarsi tra il sesto ed il settimo posto nel mondo. Sono almeno tre i Paesi senza deroga per i quali la distanza dal punto di non ritorno si è accorciata in modo preoccupante. Ovviamente non si fanno nomi. Dell’Italia si può parlare. Il raggiungimento del punto di non ritorno richiederebbe ancora un buon tratto di cammino, almeno così si spera. Aggiungendo l’Italia ad altre tre ipotetiche economie dell’area euro si raggiungerebbero dimensioni che in una classifica mondiale collocherebbero le nuove entità intorno al decimo posto per popolazione e probabilmente intorno al quarto nel PIL. Se vi si aggiungesse la Francia, per popolazione potrebbe ipotizzarsi un posto tra il quinto ed il sesto, mentre per il PIL sarebbe quasi sicuro il secondo posto, inferiore solo agli USA.

Perché l’Italia e perché la Francia?
L’Italia è stata faro di civiltà per millenni. Dopo la stupefacente unificazione dell’Europa, realizzata dall’impero romano, prolungatasi per secoli, nel ‘400 e nel ’500 del primo millennio, pur divisa e soggetta in parte a poteri esterni, ha acquistato una posizione di preminenza con l’Umanesimo ed il Rinascimento, cui si aggiungeva un eccezionale livello di fioritura economica ed anche di potenze militare e politica in singole entità politiche regionali. In Europa, salvo episodi marginali dovuti alla fase autoritaria, l’Italia non ha mai preteso di prevalere con le armi su parti di Paesi confinanti.
La Francia è da più di un millennio il Paese europeo più noto nel mondo. Re Luigi era già conosciuto in Mongolia quando un francescano olandese, Rubruck, chiese di presentarsi a suo nome a Mangu Khan, erede di Gengis Khan, recandosi da lui nel lontano Caracorum nel 1253, qualche decennio prima del viaggio di Marco Polo. Era un semplice caso che il gioielliere di corte fosse un francese? E che il figlio del gioielliere facesse da interprete in un dibattito tra Rubruck, il locale capo religioso musulmano, ed il rappresentante delle fedi locali? La Francia fu tra i primi Paesi a ricevere informazioni sull’avvicinarsi del pericoloso Tamerlano. In un primo tempo alleato di fatto per aver vinto e fatto prigioniero il tremendo nemico dei crociati, l’ottomano Bayezid, ma poi? Al re di Francia Tamerlano inviò una sua ambascia. Anche Tamerlano aveva avvertito la necessità di conoscere un suo forte e probabile prossimo avversario prima di avventurarsi in Europa. Optò poi per la Cina. Prima di raggiungerla, morì. Pietro il Grande si recò in Francia di persona, per studiarne l’organizzazione amministrativa. Di lì nacque la burocrazia zarista, sfociata secoli dopo nel collettivismo. A sua volta, Maria Teresa d’Austria, ebbe cura di far studiare le grandi istituzioni del Regno di Francia, Accademie, teatri, musei e l’organizzazione amministrativa. Il modello sarebbe stato recepito dalla Amministrazione asburgica la cui efficienza sarebbe rimasta proverbiale anche nei Paesi occupati non germanici. La Francia, fino a Napoleone (un corso!) non ha occupato e detenuto con la violenza territori di Stati vicini. Fa eccezione il regno angioino nell’Italia meridionale. Ma che dire allora di Federico Barbarossa e del secolare dominio spagnolo nell’Italia meridionale e della presenza asburgica nell’Italia settentrionale? Il sogno europeistico di Napoleone fallì. Ma Napoleone fu presente alle più importanti discussioni per la formazione del Code Civil che, recepito dalla maggior parte dei Paesi europei, nella regolazione dei rapporti tra privati si sarebbe sostituito al “diritto comune”, erede di quello giustineo, erede a sua volta di quello romano e che aveva dominato per secoli in tutta l’Europa. La Francia è stata governata per parecchi decenni da stranieri. L’italiano Mazarino, ma anche due importanti regine, entrambe di casa Medici, Caterina e Maria! A tre grandi personaggi che ressero la Francia per lunghi periodi quali di fatto potenti primi ministri fu concessa la berretta cardinalizia, privilegio che nessun altro Stato europeo avrebbe potuto vantare. Furono Richelieu, Mazarino ed un terzo, De Fleury, inizialmente precettore, poi di fatto primo ministro di Luigi XV, ma che potrebbe essere stato non meno importante degli altri due, per il lungo periodo di pace che riuscì a garantire al Paese. Sconfitta nel 1870 la Francia, nella esposizione universale che seguì a breve, già primeggiava quale potenza civile, culturale, politica. Fino all’ultimo conflitto mondiale Parigi occupava nel mondo la posizione di prestigio che sarebbe stata poi di New York. Sono segni minimi, quelli elencati, ma sufficienti a testimoniare l’idoneità della Francia a rappresentare l’Europa. E come dimenticare l’apporto di Schumann, Monnet, Barre e Delors alla costruzione europea?

Passo dopo passo ci stiamo avvicinando al traguardo. Se si riuscisse partendo da un piccolo gruppo a creare un potere politico unico che gestisca una moneta comune, si aprirebbe un sentiero. Presto si aggiungerebbero altri, sino ad aggregare tutti. L’aggregazione iniziale in un piccolo gruppo renderebbe più facile la sperimentazione di forme organizzative, anticipatrici di quelle definitive.
Il passo successivo richiede il superamento di altre difficoltà. Abbiamo affermato, ma non ancora spiegato, se il TUE ed ora il TFUE (Lisbona) consentano che uno Stato senza deroga, che abbia superato a suo tempo lo scrutinio per l’ammissione all’euro, accertatane la maggiore convenienza nelle condizioni attuali, abbia il diritto di chiedere individualmente in qualsiasi momento e di ottenere il passaggio dalla disciplina di Paese senza deroga a quella di Paese con deroga.
La risposta è affermativa. L’ammissione all’euro si basa su una decisione volontaria. Si è acquisito un diritto al quale si può rinunciare. Non è prevista alcuna durata per la permanenza nel rango dei Paesi con deroga. Sono ammessi anche Paesi che non hanno i requisiti per accedere all’euro o che, avendoli, non ne hanno il desiderio. Non si vedrebbe come si potrebbe impedire a che del regime con deroga si giovino Paesi, che avendo partecipato con entusiasmo all’eurozona, abbiano dovuto constatare di non avere tratto il beneficio che l’Unione aveva garantito, una crescita dalle caratteristiche di cui all’art. 2 TUE.

Il passaggio al regime con deroga comporta che si risolvano problemi applicativi. Principale quello della determinazione del cambio tra la nuova moneta comune e l’euro. Sono problemi noti, che si pongono all’atto della ammissione di qualsiasi nuovo Stato nell’Unione Europea. La determinazione del valore di cambio di una moneta comune di più Stati esentati dall’euro, costituirebbe in più una appropriata sede per comporre amichevolmente la questione del risarcimento dei danni provocati dall’Unione a ciascuno dei Paesi esentati a seguito della imposizione illegale di una disciplina dell’euro diversa da quella pattuita all’atto della stipulazione del Trattato UE.
Un’altra difficoltà sembra più difficile da superare. La “Democrazia” richiede condizioni di parità tra tutti indistintamente i partecipi nell’influenza esercitabile sul potere politico, responsabile della moneta e della economia comuni. Nel momento del voto, paritario in tutti gli aspetti, tutti diventano partecipi di una entità, che è la stessa per tutti. In quel momento, anche negli orientamenti che ne proverranno e di cui si sarà destinatari, tutti implicitamente e necessariamente avranno abbandonato la specifica entità di cui facevano parte per entrare in quella comune, che è di tutti. Nell’esprimersi con un voto, che corrisponda in modo esatto e completo al principio democratico, non si è più partecipi della nazione originaria. Tutti concorrono al consolidamento della nuova nazione, quella europea. Alcune delle identità nazionali in Europa sono relativamente recenti. Sono frutto di lotte e sacrifici. Non è semplice dismetterle, sia pur per realizzare uno storico avanzamento. Altre identità presenti in Europa, egualmente frutto di lotte e di sacrificio, sono più apparenti che reali. L’esempio lasciatoci da Roma nella costruzione del suo impero è emblematico. Alcuni dei suoi più importanti imperatori non erano né romani, né italici. Il nuovo livello di identità non eliminava quello antecedente. Lo integrava.

Si conclude

Siamo arrivati alle conclusioni attraverso una serie di passaggi. Perché risultino più chiare, conviene riepilogarle.
Il sistema europeo è stato basato su pilastri esattamente definiti:
a) Gli Stati avrebbero conservato la loro identità e la loro sovranità.
b) L’Unione non avrebbe avuto un vertice politico.
c) Si creava un grande mercato unificato, basato sui principi della libertà di impresa, sulla libertà di circolazione di qualsiasi componente, di apertura al commercio mondiale ed anche ad ogni fonte stimolatrice.
d) L’Unione avrebbe perseguito quale obiettivo principale uno sviluppo armonioso ed equilibrato della attività economica, una crescita sostenibile, non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente e conforme anche ad altre caratteristiche, previste nell’art. 2 TUE.
e) Si sarebbe creata una nuova moneta (sarebbe stato lo “euro”), che avrebbe dovuto dare risultati equivalenti a quelli del “marco”, storica moneta della Germania. La nuova moneta, a differenza del marco, non sarebbe stata gestita da una autorità politica coadiuvata da una banca centrale autorevole. Si sarebbe dovuta “inventare” una disciplina giuridica appropriata che garantisse l’equivalenza tra la nuova moneta e l’originario marco. La disciplina adottata risulta dal combinato disposto degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE.
f) Gli Stati dell’Unione non sarebbero stati obbligati ad avvalersi della nuova moneta. Sarebbero stati divisi in due gruppi, quello degli Stati aderenti alla disciplina dell’euro e quello degli Stati che avrebbero conservato la loro moneta. Gli Stati della seconda specie sarebbero stati qualificati “Stati con deroga”. Sono specificati gli articoli del Trattato che ad essi non si sarebbero applicati. Gli Stati senza deroga sarebbero stati quelli che avrebbero utilizzato l’euro. Ad essi si sarebbero applicate tutte le norme di carattere generale contenute nel Trattato.
g) L’adesione all’euro sarebbe stata volontaria. L’euro sarebbe stato la moneta “comune” degli Stati che l’avessero accettata. Per essere ammessi all’euro gli Stati avrebbero dovuto soggiacere ad un percorso di “omogeneizzazione” e ad un esame finale, diretto a verificare e ad attestare il raggiunto grado di sufficiente omogeneizzazione.
h) Gli Stati euro hanno il diritto di chiedere e di ottenere il passaggio al regime di Stato con deroga, specie ove la domanda sia motivata con la profonda insoddisfazione per il modo in cui l’Unione è stata gestita e per i danni che ne sono derivati.
i) Lo scrutinio per l’ammissione all’euro si tenne il 3 maggio 1998. Furono ammessi undici Paesi. Il dodicesimo, assegnato alla disciplina con deroga, sarebbe stato ammesso l’anno successivo. Attualmente gli Stati dell’Unione sono 28. Quelli euro 17. Quelli con deroga 11.

Si conclude
Segue

A) SUL PIANO FORMALE SI È OSSERVATO.
a1) Il lancio dell’euro, moneta comune degli undici Paesi ammessi con il primo scrutinio, avrebbe dovuto avere luogo il 1.1.1999. A quella data si sarebbe applicata la disciplina “a regime”, quella degli artt. 102 A, 103 e 104 c) TUE.
a2) Il 1.1.1999 il lancio dell’euro, la moneta disciplinata dal TUE, non avvenne. La moneta regolata dal TUE, per la quale il governo tedesco si era fortemente battuto ed alla cui adozione aveva condizionato la propria adesione, non è mai nata.
a3) In data 1.1.1999, con il nome di euro, generando così la fallace impressione che si trattasse della moneta creata e disciplinata dal TUE, fu lanciata con immissione nei mercati quale moneta comune avente valore legale degli Stati senza deroga, una moneta soggetta ad una disciplina diversa.
a4) La disciplina della moneta immessa nei mercati il 1.1.1999 era contenuta in un “regolamento” (n. 1466/97), adottato con il procedimento disciplinato dagli artt. 103, n. 5 e 189 c) del TUE. Il procedimento non conferiva alcuna autorità a modificare il Trattato ed aveva un oggetto del tutto diverso. Il reg. 1466/97 nello stesso momento in cui si avvaleva dell’art. 103 TUE, in realtà lo violava, utilizzandolo per un oggetto e finalità diverse.
a5) La disciplina del regolamento 1466/97 è non tanto diversa, quanto opposta rispetto a quella degli artt. 102 A, 103, 104 c) TUE. Sostituisce un “obiettivo”, quello della “crescita” avente le caratteristiche e rispondente alle finalità di cui all’art. 2 TUE, con un “risultato”, il pareggio del bilancio da conseguirsi a medio termine con l’osservanza di uno specifico percorso.
a6) La modifica introdotta dal reg. 1466/97 rispetto al TUE (Maastricht), sul piano formale, è consistita nella abrogazione di un diritto-potere, quello degli Stati di concorrere alla crescita con la propria “politica economica”, concorrendo così anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo/obbligo, gravante sugli Stati, avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Gli elaboratori delle norme non si sono resi conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’aver messo a base del sistema, un “obbligo” al posto di un “potere”.
a7) Cancellando l’obiettivo della crescita, il reg. 1466/97 ha in realtà cancellato ogni attività politica nel sistema.
a8) Nell’Unione Europea non esiste un vertice politico, tanto meno un vertice politico con competenze generali. E, quanto agli Stati membri, cancellato l’apporto alla crescita con le loro distinte politiche economiche, nessun potere politico è stato ad essi attribuito, tanto meno nel settore prioritario della economia e della moneta.
a9) Si precisano alcune delle principali conseguenze della sostituzione nella base del pilastro principale del sistema, quello attinente alla economia ed alla moneta, di un “potere politico”, con un “obbligo/obbligo”.
a9.1) Il TUE preannunciava (più correttamente dovrebbe dirsi garantiva) agli Stati membri una crescita dalle caratteristiche dettate dall’art. 2 TUE. La funzione di produrre la crescita, nell’interesse proprio e dell’Unione, era attribuita agli Stati membri. Gli Stati membri avrebbero dovuto realizzarla con le proprie distinte politiche economiche, che l’UE si sarebbe limitata a coordinare con indirizzi di massima (artt. 102 A, 103 TUE). Unico strumento utilizzabile dagli Stati membri per produrre la crescita, sarebbe stato l’indebitamento entro i limiti stabiliti dall’art. 104 c) nella sua redazione finale, corrispondente alle più volte citate modifiche di cui al n. 2, lettere a) e b).

Il reg. 1466/97 ha abrogato, regolando in modo diverso l’intera materia, o comunque sostituendoli di fatto, gli artt. 102 A, 103 e 104 c) del TUE. Ha quindi cancellato la disciplina del TUE diretta a produrre crescita e non ha previsto alcun altro “potere” diretto a produrre crescita.
a9.2) Cancellando la capacità degli Stati membri senza deroga di compiere scelte autonome di politica economica finalizzata alla crescita, si è preclusa ai loro cittadini qualsiasi possibilità di influenzare le decisioni di politica economica, ai cui effetti vengono assoggettati. La democrazia è principio fondante dell’UE. Nessuno Stato può esservi ammesso se il suo ordinamento non sia conforme al principio democratico. La democrazia, presupposta la titolarità di un sistema completo di diritti di libertà e di una adeguata protezione sociale, consiste nel potere dei cittadini di influire con il voto, in modo diretto o indiretto, sulle decisioni di governo cui andranno soggetti. Alle materie economica e della moneta, nello stato attuale dei rapporti, va attribuito valore “prioritario”. Il reg. 1466/97, nell’intero ambito della politica economica e della gestione della moneta, ha soppresso il regime democratico.
a9.3) I Trattati di Amsterdam (artt. 98, 99, 104) e di Lisbona (art. 120, 121 e 126) hanno riprodotto testualmente gli artt. 102 A, 103, 104 c) del TUE. Sono rimasti a loro volta inapplicati. Al loro posto hanno avuto applicazione i regolamenti n. 1055/2005 e n. 1175/2011 e da ultimo il Fiscal Compact, tutti concepiti nel solco disegnato dal reg. 1466/97, aggravandone nello stesso tempo le rigidità.
a9.4) L’Unione è responsabile verso gli Stati dei danni ad essi provocati dalla applicazione del reg. 1466/97 e da qualsiasi atto attuativo dello stesso. I titolari degli organi dell’Unione ed i funzionari che hanno concorso ad adottarli e/o ad applicarli, o che, avendone il compito, non ne hanno impedito l’applicazione, sono responsabili verso l’Unione. La loro responsabilità può essere fatta valere direttamente anche dagli Stati e dai loro cittadini, singoli o associati.
a9.5) Quanto affermato sub d) per gli organi ed i loro titolari o dipendenti dell’UE, vale ad autonomo titolo per i titolari di organi costituzionali e/o amministrativi dei singoli Stati, che abbiano concorso alla adozione del reg. 1466/97 e/o di atti successivi che parimenti hanno provocato l’abrogazione e/o la disapplicazione dei poteri degli Stati di cui agli artt. 102 A, 103, 104 c) ed altri del TUE e di quelli corrispondenti dei Trattati successivi, o che abbiano partecipato alla adozione di atti che del regolamento e degli atti ad esso conformi, costituiscono esecuzione ed applicazione.
a9.6) Le magistrature costituzionali od ordinarie di ciascun Paese faranno valere le responsabilità di cui al punto antecedente, ricadenti nella loro giurisdizione.
a9.7) Il reg. 1466/97 avendo modificato/violato il TUE in carenza di potere [la procedura degli artt. 103, n. 5 e 189 c) TUE] e lo stesso vale per le norme dei Trattati di Amsterdam e Lisbona, corrispondenti a quelli citati dal TUE, è da ritenersi affetto non da illegittimità, ma da radicale ed assoluta nullità/inesistenza giuridica. La conclusione si estende anche agli atti applicativi e/o derivati del regolamento. Tutti i titolari degli organi dell’Unione e/o degli Stati membri, che abbiano partecipato alla adozione e/o alla applicazione del regolamento e/o di atti applicativi, sono da ritenersi responsabili per i danni provocati dalla nullità.
a9.8) Si giunge pertanto ad una medesima conclusione sia che si segua la pista della violazione dei principi democratici, sia che ci si basi sulla assoluta carenza di potere, per avere preteso di modificare il TUE (ed i Trattati successivi) senza aver fatto ricorso ad un Trattato, modificativo di quello antecedente.

B) Sul piano economico si è osservato
b1) Il reg. 1466/97 non ha prodotto crescita. Da statistiche insospettabili (Pocket World in Figures, 2013, pag. 30, ed. Economist) risulta che i tre maggiori Paesi continentali, Francia Germania, Italia, nella graduatoria dei peggiori risultati del mondo nel decennio 2000-2010, si sono classificati, l’Italia al terzo posto, la Germania al decimo, la Francia al quattordicesimo. Nella predetta classifica dei peggiori risultati nel mondo altri due Paesi. Nella graduatoria del decennio antecedente non figurava nessun Paese europeo. Si arguisce che la causa originaria della depressione deve essere stato un fattore “unico” per tutta l’area euro, deve essere stato interno all’area, deve essersi manifestato tra il 1999 ed il 2000. Unico fattore che corrisponde alle tre condizioni è il reg. 1466/97.
b2) Che il principio del pareggio del bilancio a medio termine avrebbe prodotto depressione era prevedibile per tre distinte considerazioni.
b3) Perché il regolamento ha soppresso il potere di indebitamento che, sia pure con la determinazione di limiti massimi, il TUE aveva garantito agli Stati membri quale unico e necessario strumento da utilizzarsi per conseguire il garantito risultato di crescita. Nell’abrogarlo, il regolamento non lo ha sostituito con un qualsiasi altro strumento o mezzo di equivalente natura o di pari effetto.
b4) Non vi sono esperienze che potrebbero essere addotte a sostegno della previsione di crescita, assunta a base dal regolamento. Esistono esempi di economie che hanno ottenuto risultati favorevoli con indirizzi di stabilità, ma si tratta esclusivamente di precedenti che riguardano monete la cui gestione era affidata ad un potere politico, coadiuvato da una banca centrale (come era stato per il vecchio marco). L’esperienza “euro” sarebbe stata invece la prima (e sicuramente anche l’unica) la cui gestione sarebbe stata regolata da norme rigide e non modificabili quali che fossero le variazioni dell’ambiente interno od esterno.
b5) Sarebbe bastata la valutazione dei risultati del periodo di omogeneizzazione, i sei anni dal 1992 al 1997, nei quali si erano applicati precetti egualmente costrittivi, ma meno rigidi di quelli del reg. 1466/97, che avevano provocato un rallentamento nel tasso di crescita dei singoli Paesi membri, agevolmente accertabile in base ad un raffronto con il periodo immediatamente anteriore alla stipula del TUE.

C) ALTRE CONSEGUENZE – I DANNI
Il sistema disciplinato dai regolamenti 1466/97, 1055/2005 e 1175/2011, eliminate le politiche economiche di ciascuno Stato, alle quali l’art. 103 TUE aveva affidato il compito di promuovere la crescita e non ha previsto un qualsiasi altro apporto politico (quindi libero) degli Stati membri in materia di sviluppo economico e di moneta. Il sistema è divenuto una entità interamente robotizzata. Le fattispecie normative regolanti in modo diretto o indiretto le condotte degli organi dell’Unione e degli Stati, hanno carattere interamente prescrittivo. I poteri e/o le facoltà disciplinate si inquadrano tutte nelle fattispecie composte dall’obbligo/potere od obbligo/facoltà. Fonte di qualsiasi condotta è sempre una “prescrizione”. Una volta che sia stato commesso un errore nella progettazione, gli organi dell’Unione e degli Stati membri non dispgongono di competenze per rimediarvi. Non possono nemmeno astenersi dall’eseguire le condotte quali disciplinate, ancorché produttive di effetti nocivi. Anzi hanno il dovere di concretizzarle. Il sistema “autoprotegge” la sua identità.

I danni diretti provocati anno per anno dal reg. 1466/97, dai regolamenti posteriori 1055/2005 e 1175/2011 e da ultimo dal c.d. Fiscal Compact, ne hanno provocati altri cumulativi, dipendenti sia dalla integrazione di quelli degli anni successivi con quelli di ciascuno degli anni anteriori, sia dalla possibile integrazione ad ogni livello delle varie serie causali. La situazione a fine 2013 è assolutamente diversa da quella a fine 1999. È impossibile il ripristino delle situazioni originarie.

Tra gli effetti frutto della cumulazione e/o della integrazione nelle e tra le serie causali, si segnalano, tra le più significative, la produzione e la dispersione all’interno di ciascuno Stato membro di macerie, rappresentate da fattori distrutti o resi del tutto o parzialmente inutilizzabili. Sono i disoccupati giovanili, gli allontanati dal lavoro, i cassaintegrati, le imprese che hanno chiuso i battenti, la distruzione e il deperimento di strutture fisiche quali istituti di istruzione e culturali, musei, biblioteche, ospedali, istituti di ricerca, il deperimento del patrimonio storico ed artistico, la disfunzione nei servizi pubblici di carattere tecnico, e più in generale nelle amministrazioni pubbliche. E così via.

Si aggiungono agli effetti relativi ad individui od istituzioni singole, quelli collettivi.
a) La confusione delle idee, l’approfondimento delle differenze, la reciproca mancanza di fiducia, le intolleranze, gli odi.
b) La assenza di condivisione sulla esistenza e sulla identificazione di una causa originaria unica e comune a tutti, crea spazi per speranze alle quali fanno seguito dolorose disillusioni. Quindi anche depressione.
c) Si determina il danno, tra tutti il peggiore, di un vuoto di potere. Diviene sempre più difficile prevedere come possa colmarsi. Molti illecitamente vi si espandono.
d) Dato il carattere robotizzato ed autoprotetto del sistema, per abbatterlo o semplicemente variarlo o adattarlo si richiederebbe un nuovo colpo di Stato. Ipotesi da evitare. Creare un nuovo regime, lo si vedrà, è operazione delicata e complessa. Non può essere affidata al caso. Si aggiungerebbe danno a danno. Potrebbero determinarsi condizioni non più reversibili.
e) Le idee frequentemente lanciate di federalismo fiscale, federalismo bancario, eurobond sono ingannevoli. Se attuati in assenza di un potere politico paritario, quindi democratico, i progetti si risolverebbero nella acquisizione di maggiori poteri da parte di qualcuno degli Stati maggiori a danno dei minori. Un risultato conseguito per vie traverse, nello stato attuale di confusione e di generale delusione non potrebbe che provocare maggiori danni.
f) L’analisi, in coerenza con quanto si andava accertando, ha dovuto orientarsi verso la ricerca di una via di uscita politica, che conduca a soluzioni accettabili in tempi ristretti. La rapidità è necessaria perché la situazione potrebbe precipitare. È emerso che ove il debito complessivo dello Stato superasse un determinato limite, potrebbe seguire una implosione.
g) Il limite che si ipotizza non avrebbe nulla a che fare sia con il valore di riferimento basato sul rapporto tra debito e PIL, sia con il principio della parità di bilancio. Il limite si collegherebbe al costo nell’anno del debito complessivo ed al suo rapporto con il tasso prevedibile di sviluppo del PIL negli anni immediatamente successivi. Il limite di rottura sarebbe raggiunto nel caso in cui l’effettivo costo totale del debito nell’anno, dedotto l’eventuale avanzo primario, non corrispondesse ad una percentuale del tasso di crescita del PIL che, a meno che non sopraggiungano fattori imprevisti, sia da ritenere del tutto improbabile, o addirittura impossibile. Se il fenomeno non venisse bloccato, a partire dal primo momento in cui se ne avvertissero i sintomi, la distanza dal punto di rottura si ridurrebbe anno per anno con velocità crescente. Sino all’implosione. Non è da escludere che una situazione di pericolo possa essere già presente in più di uno degli Stati membri.
h) Se esiste o meno un punto di non ritorno è una questione da considerare “centrale”. È da auspicarsi che formi oggetto di una riflessione approfondita ed ampia. Se l’ipotesi venisse confermata, le conseguenze sarebbero importanti.
i) La inapplicabilità della disciplina del bilancio in pareggio, sia che la si faccia derivare dalla soppressione del “regime democratico” o dalla totale carenza di potere, conseguente alla inesistenza giuridica dei regolamenti 1466/97, 1055/2005 e 1175/2011, conduce alla identica conclusione che le norme oggi in vigore sono quelle del Trattato di Lisbona, applicato dal 1° dicembre 2009, in quanto conformi all’originario TUE.
Gli Stati hanno quindi capacità di indebitarsi sino al 3% ad anno e fino al 60% nel totale, ed anche oltre ove il maggiore debito sia da attribuirsi a condizioni eccezionali e temporanee.
Qualora uno Stato, carente di risorse per effetto della lunga soggezione al principio del pareggio del bilancio, si trovi nella impossibilità di rilanciare l’economia ove non contragga un adeguato debito, il superamento del limite del 3% dovrebbe essere attribuito alla causa eccezionale, rappresentata dall’obbligo del pareggio del bilancio, causa temporanea perché destinata a scomparire non appena gli effetti depressivi, dopo essersi affievoliti, vengano a cessare.
l) Subentrerebbe tuttavia il “macigno” rappresentato da un temuto avvicinamento al punto di rottura. L’indebitamento sarebbe consigliabile in tal caso solo se l’investimento per il quale viene contratto sia in grado di provocare uno sviluppo del PIL che sia tale da poter dare il via ad una tendenza ad una riduzione progressiva del costo del debito.
Se ne mancassero i presupposti o le previsioni non si avverassero, l’utilizzo della capacità di indebitamento, garantito dalla applicazione dell’art. 104 c) letto in conformità ai criteri vincolanti contenuti nell’articolo, potrebbe tradursi in atroce beffa.

D) ROBOTIZZAZIONE – IL GRIMALDELLO
Si è detto che il sistema, quale realizzatosi per effetto della imposizione del principio della parità del bilancio, si è robotizzato e si autoprotegge. Ma il diavolo, come dice il proverbio, fa la pentola e dimentica spesso il coperchio. Si ritiene di avere individuato un grimaldello con il quale legittimamente far saltare la porta della gabbia. Dallo “opting out” inventato per trattenere l’UK nell’Unione si era pervenuti, nella trattativa sul testo del TUE, alla ripartizione degli Stati dell’Unione in due specie di pari dignità, quella dei Paesi senza deroga (sono i Paesi euro) e dei Paesi con deroga (i Paesi che si avvalgono di una propria moneta). Si è posta la questione interpretativa se uno Stato senza deroga possa ottenere il trasferimento all’altra specie, quella degli Stati con deroga. Al quesito si è data risposta affermativa. Se ne coglie subito la conseguenza. Un potere “politico” dello Stato esiste. Non è quello direttamente finalizzato alla crescita, ma è quello di riappropriarselo. Gli individui che compongono la collettività di ciascuno degli Stati membri possono (devono) fare pressione sul Governo, secondo lo specifico ordinamento costituzionale che deriva in modo diretto o indiretto dal loro voto, perché esiga l’assegnazione del Paese allo “status” di Paese con deroga. È il passo necessario per il riacquisto della potestà “democratica”. E per il suo conseguente esercizio.

E) LA RIAPPROPRIAZIONE DELLA POLITICITÀ
Il grimaldello è stato trovato. Possiamo usarlo? I poteri sono esercitabili utilmente solo se le condizioni obiettive, interne od esterne, lo consentano. Il limite di convenienza della dimensione di una economia agli effetti che si stanno esaminando è rappresentato dalla capacità di reagire adeguatamente agli impulsi ed alle pressioni esterne ed alla inversa capacità di esercitare pressioni per adeguare l’ambiente esterno alle proprie esigenze. Sono condizioni difficilmente realizzabili se lo Stato ha dimensioni ridotte, se la sua economia è povera o peggio stremata. I flussi variabili e potenti dell’ambiente esterno la travolgerebbero. Un altro Stato potrebbe acquisire il controllo economico ed anche politico di quello più debole.

Ciò che uno Stato da solo non sarebbe in grado di fare, potrebbe essere alla portata di Stati che decidano di realizzarlo come gruppo. Più Stati, concertandosi, potrebbero chiedere il passaggio alla disciplina con deroga. Potrebbero concordare di creare una moneta comune e di creare anche un potere politico egualmente comune per gestirla. La moneta circolerebbe nel mercato unico alla stregua di quella degli Stati con deroga.

Quale dovrebbe essere la dimensione minima ed insieme sufficiente delle economie raggruppate, per confrontarsi senza pericolo all’interno dell’Unione con le altre monete e soprattutto con i potenti flussi del mercato mondiale? Le decisioni da prendere sono di carattere politico. Nessuno può sostituirsi alle decisioni della collettività e dei governanti dei singoli Stati.

Qualche dato statistico può tuttavia essere utile. Si formulano due ipotesi. Non sono del tutto astratte:

Aggregando quattro Stati mediterranei, inclusa tra questi l’Italia, si raggiungerebbe una popolazione di 127 milioni e più di abitanti ed un PIL pari a 3.998 miliardi di dollari. L’aggregato si classificherebbe nel mondo come decimo per popolazione e quarto nel PIL (preceduto solo da USA, Cina e Giappone)

Ove si aggreghi al gruppo la Francia, si raggiungerebbero 189 milioni e più di abitanti e 6.558 miliardi di dollari nel PIL. L’aggregato si classificherebbe nel mondo al sesto posto per popolazione ed al secondo per PIL (preceduta solo dagli USA, e precedendo Cina, Giappone e Germania).
Risultati allettanti, specie l’ultimo!

Se si aggregassero tutti i Paesi euro, chiedendo insieme il passaggio alla condizione con deroga, il totale ammonterebbe a 328 milioni e più per popolazione e 12.076 miliardi di dollari nel PIL complessivo. Nella popolazione il gruppo si classificherebbe al terzo posto, dopo Cina ed India. Nel PIL la collocazione salirebbe al secondo posto, a distanza ravvicinata dagli USA.

F) L’EUROPA E IL MONDO
Una ultima considerazione, di carattere generale. Si collega alla “posizione” espressa all’inizio: l’Europa ed il mondo. Un errore, forse non del tutto scusabile, è stato commesso nel 1991. È stato ripetuto, in forma aggravata, nel 1999. Una terza volta, sarebbe imperdonabile. Potrebbe compromettere il futuro dell’Europa per un tempo lungo, lunghissimo forse.

Nel 1991 la creazione della grande area europea, dovuta all’AUE, era in fase di avanzata realizzazione. Il TUE, adottando il principio della apertura delle frontiere esterne, con riduzione generalizzata dei dazi doganali, dava impulso alla liberazione delle forze operanti al livello mondiale, la cui pressione era già avvertibile.

La conclusione dell’Uruguay Round e la creazione del WTO, eventi di cui l’Unione fu protagonista, completarono l’opera di scatenamento del turbinio economico mondiale dei successivi decenni. Ignara delle novità che concorreva a produrre, l’Unione, con il TUE, cominciò a muoversi in una direzione addirittura opposta. Si era assegnato come obiettivo la creazione di una moneta nella cui gestione il ruolo non sarebbe stato per intero del potere politico, quale praticato in tutti gli Stati del mondo. Dominante sarebbe stato un insieme di regole astratte, immutabili, quindi rigide.

Nel 1999, i dati statistici, se convenientemente esaurienti, avrebbero offerto una visione precisa e completa della nuova realtà. Lo scatenamento dei flussi mondiali, finanziari ed economici, aveva già raggiunto l’apice, superando per volume, velocità, variabilità qualsiasi previsione. L’Europa si mosse invece in direzione opposta. Assegnò la gestione dell’economia a norme astratte ad elevato impatto costrittivo, creatrici di rigidità!
Gli effetti depressivi di questi anni sono stati gravissimi. Abbracciano l’intera area euro, con riflessi in tutta l’Unione.

A livello globale, il ruolo documentalmente oggi riconosciuto all’Europa, è quello di principale acquirente di beni e servizi, in particolare dalle due principali economie del mondo, quella USA e quella cinese, con riflessi che si diffondono poi ad altre, di cui l’Europa è egualmente acquirente diretta. Se il fenomeno depressivo europeo continuasse o si aggravasse ne deriverebbe una alterazione nella “governance” politica ed economica nel mondo.

Di questo in effetti si tratta, della “governance” politica ed economica globale. Le principali forze operanti nel globo sono autonome, alcune anche singolarmente potentissime. Le loro attività, in aspetti essenziali, sfuggono alla vigilanza ed al controllo degli Stati, ivi compresi i maggiori, sia singolarmente che come sistema. Forze illecite, potenti per l’impiego della violenza, si inseriscono in quelle finanziarie e si infiltrano negli stessi gangli degli Stati. Il sistema di Stati, ognuno dei quali controlla una parte di territorio, che comprende l’intero spazio del globo, svolge la funzione di fronteggiare la forza dei flussi economici, caratterizzati dall’enorme volume, dalla estrema variabilità, quindi dalla imprevedibilità. La dimensione dei principali Stati è cresciuta. Anche quella di un buon numero di altri Stati è superiore rispetto al passato.

Il fulcro del sistema politico globale è nell’attualità rappresentato da un duopolio, USA e Cina. La dominanza economica si è gradualmente spostata dal nord-atlantico all’atlantico meridionale ed agli oceani indiano e pacifico. Nel duopolio politico il ruolo degli USA potrebbe affievolirsi. Si avverte l’assenza di un anello. L’anello che manca è l’Europa.

Il mondo è un contenitore chiuso. Ciò che accade in un luogo od in un settore si riflette sugli altri. Il ruolo economico dell’Europa, azzerato quello politico, si è ridotto a quello di “acquirente” principale. Di qui la insufficienza della “governance” politica mondiale, che si riflette sui rapporti economici. A livello mondiale non si può essere certi di una crescita, duratura, armoniosa, esente da turbolenze, che ci si proponeva di realizzare in Europa e che non è stata raggiunta. Si avvertono “crepe”. Le acque, da tranquille, mosse o molto mosse, potrebbero d’improvviso trasformarsi in maremoti anche per effetto di eventi ciclonici, di terremoti, tsunami.

Rafforzare la governance politica del mondo, quale contrappeso adeguato ad ogni pressione eccessiva dell’economia, è obiettivo urgente.

Nelle condizioni attuali la “politicità”, non solo nella gestione della moneta ma nell’intero sistema, non può essere considerata per l’Europa una “opzione”. È una “necessità”. Non bisogna però farsi illusioni. L’Europa non potrà riappropriarsi della propria missione nel mondo se non avrà a sua volta realizzato una conformazione e dimensioni adeguate al compito. La trasformazione in entità politica dell’intera Unione è la “soluzione”. Ma bisogna tener conto del fattore tempo. Lo si è detto più volte. Se i cittadini della Germania, con piena e sincera convinzione, accettassero di integrare la identità nazionale, con un’altra, di livello superiore, quella europea, il risultato sarebbe a portata di mano. All’unità politica aderirebbero subito tutti o quasi tutti i Paesi dell’area euro. Ed anche dell’Unione. Se i cittadini tedeschi non fossero maturi per questa decisione, un raggruppamento che comprendesse con gli altri maggiori Paesi continentali dell’Europa anche la Francia, che del gruppo potrebbe (dovrebbe) assumere la responsabilità esterna, si sarebbe già molto vicini all’obiettivo. Si lavora troppo con la fantasia, ipotizzando che l’Italia potrebbe essere l’iniziatrice della aggregazione alla quale la Francia potrebbe aggiungersi, per guidarla nelle successive fasi aggregative?

La “fantasia al potere!”. Non è stato questo lo slogan di varie generazioni? La “fantasia” è la fonte di tutte le scoperte scientifiche e delle innovazioni, dalle massime alle minori, e dei grandi eventi storici. La fantasia dà stimoli. I risultati si raggiungono se si rintracciano i giusti sentieri e li si percorrono. I percorsi non si inventano. Se l’obiettivo è nuovo, per individuarli si richiede studio ed approfondimenti.

Una indicazione pratica che potrebbe essermi consentita è che si cominci a riflettere e a discutere sulla organizzazione costituzionale della Europa unita. Nei primi anni quaranta si dibatteva in Italia su quali dovessero essere le istituzioni del post-fascismo. Il Federalist è il massimo esempio di testo politico che abbia analizzato le condizioni presenti e quelle future, per ricavarne indicazioni in merito alle tecniche da impiegarsi nel nuovo grande Stato federale, una istituzione di cui, anche per la dimensione, non esistevano precedenti.

Gli europei si presentarono all’appuntamento del 1991 totalmente impreparati su questi aspetti. La cui soluzione viceversa potrebbe rivelarsi meno difficile, di quanto si pensi. L’Europa, tutta l’Europa, è stata per millenni regno delle autonomie locali. Disegnata l’architettura centrale sarebbero da definirsi limiti quantitativi, entro i quali le forze locali, nel rispetto di principi generali, dovrebbero decidere in autonomia le forme ed i livelli delle proprie aggregazioni.

Che la fantasia cominci ad esercitarsi!

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