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Una nuova puntata della diatriba sugli OGM

La realtà è sicuramente più complessa di come riusciamo a descriverla. Quando poi si intreccia con interessi economici e con ideologie riuscire a dipanare la matassa sembra difficile, se non impossibile. Così spesso ognuno rimane sulle sue posizioni, sempre e comunque.

Temo che questo sia il caso del controverso articolo di Gilles-Eric Seralini pubblicato nel 2012 su Food and Chemical Toxicology. Nell’articolo si afferma che una dieta a base di un ceppo di mais OGM prodotto dalla Monsanto (multinazionale americana) e portatore di un gene che conferisce resistenza all’erbicida Roundup (sempre Monsanto) aumenta significativamente l’incidenza di tumori in un ceppo di ratti da laboratorio. Ratti selezionati per sviluppare spontaneamente tumori con alta frequenza anche quando non vengono trattati con nessun agente chimico.

Come si può immaginare questo articolo ha immediatamente ottenuto una notevole risonanza mediatica e probabilmente ha influenzato la decisione del nostro Parlamento di proibire gli OGM secondo il Principio di Precauzione. Un articolo che rafforza le posizioni degli ambientalisti contro gli OGM. E i difensori di questa tecnologia sono stati subito bollati come scienziati pagati dalla Monsanto.

La quasi totalità della comunità scientifica ha sollevato critiche metodologiche importanti al lavoro di Seralini. La principale è che il campione di animali analizzati (10 per ogni tipo di trattamento inclusi i controlli) era troppo basso per essere statisticamente significativo visto che comunque i tumori si sviluppano anche nei controlli. Questo anche se il lavoro è costato la cifra iperbolica di 3.2 milioni di euro. Meglio di un finanziamento europeo alla ricerca (ERC), superiore di almeno 10 volte ai normali finanziamenti per la ricerca di cui godono i ricercatori, n-volte superiore ai finanziamenti MIUR. Un costo proporzionale solo all’impatto politico, non certo a quello scientifico.

Questa settimana, dopo mesi di discussioni, lettere prese di posizione della comunità scientifica, la rivista ha deciso di ritrattare l’articolo dopo aver precedentemente chiesto agli autori di ritiralo spontaneamente e ricevendo, come logico attendersi, una risposta negativa.

I gruppi ambientalisti o comunque anti-OGM hanno criticato la scelta, sostenendo che è dovuta alle pressioni della Monsanto. E a sostegno della loro ipotesi, osservano che un nuovo redattore della rivista, Richard Goodman, professore all’Università del Nebraska e strenuo sostenitore degli OGM, era precedentemente dipendente della Monsanto. Quindi alla fine ognuno rimarrà sulle sue posizioni. Anzi la decisione della rivista di ritirare l’articolo verrà vista sicuramente vista dagli anti-OGM come un una prova dell’asservimento delle riviste e del mondo scientifico in generale agli interessi delle multinazionali.

Questa vicenda, come e forse più di altre, solleva una serie di problemi.

1- In primo luogo il processo di revisione. L’obiezione sollevata da molti secondo la quale i dati non erano abbastanza robusti statisticamente mi sembra molto forte e se io avessi fatto da revisore avrei chiesto di aumentare la casistica con buona pace degli animalisti. Così il problema principale è che l’articolo sia stato inizialmente accettato senza che soddisfacesse i requisiti necessari (Un complottista potrebbe chiedersi perché).

2- Ora la rivista sostiene di averlo ritirato anche se non esiste nessuna evidenza di una contraffazione dei dati e che il percorso di revisione è stato imparziale. Questa è una cosa che non si fa: se non esiste una prova di un falso, di una truffa, quando un lavoro viene accettato rimane li per essere confutato da altri scienziati. Ci sono centinaia di casi ogni anno. Non si ripara ad un errore con un altro. Solo che qui c’è di mezzo la politica.

Anche se non ho mai lavorato con le piante (e non sono mai stato pagato dalla Monsanto) sono convinto che gli OGM rappresentino un notevole passo avanti nel processo di domesticazione delle piante perché il cambiamento che si introduce nel loro genoma è specifico e perfettamente controllabile, come i suoi effetti. Non così con i metodi tradizionali “naturali” di cui nessuno si preoccupa.

Tuttavia, il fatto che l’articolo sia stato ritirato dalla rivista mi disturba quasi quanto il fatto che sia stato pubblicato. Preferivo che si favorisse una ricerca indipendente da contrapporre. Che si spingesse per migliorare il processo di revisione dei lavori come sta accadendo in molte riviste di più alto prestigio. Una grande pubblicità per una rivista con un modesto 3.0 di Impact Factor guardato con sospetto anche dalla Agenzia di valutazione dell’Università e ricerca italiana (ANVUR).

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