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Perché Usa e Cina non si faranno mai la guerra

L’annuncio di Pechino il 23 novembre della creazione di un’ADIZ (Air Defense Identification Zone) ha risvegliato “venti di guerra” sul sistema Asia-Pacifico, che va ormai esteso all’Oceano Indiano e alla contesa fascia del confine fra la Cina e l’India. In tali regioni esistono i maggiori contenziosi territoriali del mondo, resi pericolosi da una rinascita del nazionalismo in tutti i Paesi. La Cina rivendica la completa sovranità e il diritto di sfruttamento economico sulle risorse sottomarine e il patrimonio ittico dei Mari Cinesi Meridionale e Orientale. Gli altri Stati rivieraschi non ne vogliono sapere. Il contenzioso non è di sostanza. Ha valenza simbolica, quindi per la politica interna dei vari paesi interessati. Suscita emozioni che rendono incontrollabile l’escalation d’incidenti.

CINA SENZA ALLEATI
Nessuno ha interesse a iniziare deliberatamente un conflitto. Pechino sa benissimo che gli USA interverrebbero, sebbene a malincuore. Il disastro che ne conseguirebbe sarebbe ben superiore a qualsiasi beneficio. Nessuno è disposto a rischiare un Armageddon. Gli USA, che dispongono di potenti alleati, alla fine prevarrebbero. La Cina è handicappata dalla geografia. Le vie di comunicazione marittima, vitali per la sua economia – da quando l’integrazione nell’economia mondiale l’ha trasformata da continente autonomo in isola – sono controllate sia verso l’Oceano Indiano sia verso il Pacifico dalle potenti Marine degli USA e da quelle alleate. La Cina non ha alleati, eccetto il Pakistan e la Corea del Nord. Le servirebbero poco. Sarebbe meglio per Pechino perderli invece di trovarli.

UNA GUERRA DISASTROSA
Taluni, facendo riferimento a quanto avvenne fra Sparta e Atene e fra la Gran Bretagna e la Germania guglielmina, sono persuasi dell’inevitabilità di un conflitto fra Washington e Pechino. Le potenze in declino relativo – come ricorda Tucidide, descrivendo magistralmente le cause delle guerre del Peloponneso – sono sempre sospettose e timorose della crescita della potenza di quelle emergenti. Prima di perdere la loro superiorità sono portate a far scoppiare un conflitto. Altri la pensano in modo diverso. Una guerra fra gli USA e la Cina, quali che ne siano gli esiti, sarebbe disastrosa per entrambi. Per di più USA e Cina sono economicamente interdipendenti. Non significa nulla. Anche fra la Germania e la Gran Bretagna esisteva nel 1914 una forte interdipendenza. Tra gli USA e la Cina di fatto esiste, sotto il profilo economico e finanziario, un legame simile a quello esistente in campo nucleare fra Washington e Mosca durante la guerra fredda. Esso era costituito dalla MAD o Mutual Assured Destruction, base della dissuasione reciproca e una delle principali ragioni per la quale la guerra fredda non era divenuta “calda”.

QUESTIONE DI CREDIBILITÀ
La dissuasione non dipende solo dalle capacità materiali di arrecare all’avversario danni inaccettabili anche dopo averne incassato un attacco preventivo. Dipende dalla credibilità politica di impiegare tutta la potenza di cui si dispone per proteggere un alleato. Essa è essenziale in ogni sistema di “dissuasione estesa”.

IL “BALLETTO” DI BIDEN
Riassicurazione degli alleati e tentativo di non aggravare i contrasti fra Washington e Pechino, hanno costretto il vicepresidente americano Joe Biden – durante il suo recente viaggio in Giappone, Corea del Sud e Cina – ad una specie di “balletto”, cioè a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. La credibilità degli USA è stata posta in gioco, non tanto a Pechino, ma a Tokyo e a Seul. È un fatto pericoloso. La forza americana nel sistema Asia-Pacifico dipende non solo dalla 7^ Flotta, ma dal fatto che gli alleati non abbiano dubbi sull’affidabilità USA.

LA RETORICA DEL PIVOT TO ASIA
Non basta la retorica del Pivot on Asia o che Obama si dichiari “primo presidente americano del Pacifico”. Qualora tale fiducia venisse erosa, i Paesi ora alleati formalmente o di fatto con gli USA soprattutto nel Sudest Asiatico cercherebbero un appeasement con la Cina, con la quale hanno vantaggiose relazioni commerciali e di cui un tempo erano vassalli. Altri, come il Giappone e la Corea del Sud, si doterebbero di un deterrente nucleare in proprio. È una prospettiva certamente temuta da Pechino. È all’origine della persuasione di molti esperti strategici cinesi che la presenza USA sia nell’interesse cinese, con il suo ruolo stabilizzante. Tale concetto è alla base della politica del cosiddetto peaceful development, punto centrale della politica estera e di sicurezza cinese dal 1995. Per esso, la Cina dovrebbe continuare ad essere una potenza dello status quo, almeno fino a quando riuscirà a risolvere i suoi pesanti problemi interni e a rafforzarsi per poter sfidare gli USA e i loro alleati con qualche probabilità di successo. Ci vorranno decenni. Nel frattempo, la Cina, con il suo incombente declino demografico, rischia di divenire vecchia prima di essere ricca e potente.

IL NAZIONALISMO CINESE
La scuola opposta, quella nazionalista, facente capo alla fazione del Partito a cui sembra appartenere l’attuale presidente Xi Jinping, all’Università di Pechino e alle Forze Armate ritiene che la Cina possa ormai modificare a proprio vantaggio l’attuale status quo. Durante il recente incontro con Obama, Xi Jinping ha affermato che l’Oceano Pacifico è sufficientemente grande per consentire la convivenza di due superpotenze. Faceva di certo riferimento alle tesi elaborate all’Università di Pechino secondo cui un accordo fra USA e Cina (la c.d. “Chimerica”) dovrebbe essere fonData sull’egemonia degli USA sull’ “emisfero orientale” e della Cina su quello “occidentale”, separati da un meridiano ad un migliaio di km ad Ovest delle Hawaii. Per gli USA significherebbe abbandonare al loro destino gl alleati asiatici.

LA STRATEGIA DI WASHINGTON
Washington non accetterà mai tale soluzione. Anzi cerca di rafforzare i legami anche economici con essi. L’iniziativa in corso al riguardo è la TPP – TransPacific Partnership – accordo economico fra una quindicina di Stati delle due Americhe e dell’Asia Orientale, il quale esclude la Cina. Il suo scopo non è solo di rafforzare l’economia americana, ma anche di diminuire la dipendenza economica degli alleati asiatici degli USA dalla Cina. In questo contesto di reciproca competizione e sospetto, vanno esaminati i risultati del viaggio asiatico di Biden e il problema della ADIZ.

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