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Ecco rischi e priorità della politica energetica italiana

L’Italia è storicamente un grande importatore di energia. Le poche riserve di combustibili fossili e i limiti tecnologici allo sviluppo delle rinnovabili hanno infatti obbligato gli operatori nazionali a rivolgersi all’estero per soddisfare il crescente fabbisogno energetico che ha caratterizzato l’economia italiana tra il dopoguerra e gli anni Settanta. Dopo la traumatica esperienza dell’autarchia, l’accesso ai mercati internazionali ha così rappresentato un elemento essenziale dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Anche nei decenni successivi, caratterizzati da tassi di crescita dei consumi inferiori, il ricorso alle importazioni ha in ogni caso rappresentato l’unico modo per avere accesso a quantitativi sufficienti di energia a prezzi economicamente sostenibili. I consumi energetici sono così potuti crescere in modo quasi ininterrotto fino a metà degli anni Duemila.

UNA LENTA CONTRAZIONE
A partire dal 2005 si è invece avviato un processo di lenta contrazione strutturale del fabbisogno energetico nazionale, dovuto sia alla progressiva terziarizzazione delle attività produttive, caratterizzate da più bassi consumi, sia ai consistenti aumenti di efficienza negli usi finali, come trasporti e generazione elettrica.
In aggiunta a questo dato strutturale, la congiuntura economica negativa ha ulteriormente contribuito ad accelerare la contrazione dei consumi: tra il 2010 e il 2012, la riduzione è stata del 5,3%. Anche con la futura ripresa economica, tuttavia, la tendenza difficilmente si invertirà in modo significativo: gli obiettivi concordati in sede europea prevedono infatti un tetto massimo ai consumi italiani nel 2020 in linea coi consumi attuali.

ALTO LIVELLO DI DIPENDENZA
Se da un lato l’accesso ai mercati internazionali è stato indispensabile per l’industrializzazione e la crescita economica, dall’altro tuttavia il livello di dipendenza dalle importazioni si è stabilizzato interno all’80% del fabbisogno nazionale fin dagli anni Settanta. Si tratta di un livello molto elevato, circa 30 punti percentuali in più rispetto alla media europea, e rappresenta un fattore di vulnerabilità rilevante per il Paese.

I RISCHI ASSOCIATI
I rischi associati a una così alta dipendenza dalle importazioni sono essenzialmente due. Il primo è un rischio di prezzo: l’andamento delle quotazioni del greggio – che influenza anche le altre fonti – è intrinsecamente volatile, esponendo tutto il sistema economico a repentini disequilibri macroeconomici, dovuti essenzialmente alla bassa elasticità dei consumi energetici nel breve periodo. Il caso storico più noto è stato quello delle crisi petrolifere degli anni Settanta, che oltre a costringere milioni di italiani a ridurre l’uso dell’auto innescò soprattutto gravi crisi economiche e sociali.
Un secondo elemento di rischio è quello relativo alla possibile interruzione dei flussi di approvvigionamento. In questo caso, le conseguenze sono più immediate e direttamente collegate alla nozione di sicurezza in senso stretto. Un’interruzione completa dei flussi energetici ha infatti impatti gravi non solo sulle attività produttive, ma anche più in generale sulla stabilità sociale. Data la diffusa dipendenza dalle tecnologie informatiche, per esempio, un razionamento o un’interruzione dell’energia elettrica avrebbero conseguenze catastrofiche su quasi tutte le attività.
Il rischio di interruzione degli approvvigionamenti varia a seconda del tipo di fonte utilizzata e dei suoi usi finali.

IL PANIERE ENERGETICO
Per comprendere dunque il livello di vulnerabilità del sistema energetico nazionale occorre considerare quale sia il ruolo delle diverse fonti energetiche nel soddisfare la domanda nazionale.
Attualmente, il petrolio rappresenta ancora la fonte principale (36%), ma la sua quota è in continua contrazione fin dagli anni Settanta e il suo uso essenzialmente collegato al settore dei trasporti. Altre fonti rilevanti sono le rinnovabili (15%), carbone (9%) e importazioni elettriche (5%), tutte collegate quasi esclusivamente alla generazione elettrica.

IL GAS NATURALE
L’elemento centrale del paniere energetico nazionale è tuttavia il gas naturale (35%), la cui quota è cresciuta in modo costante nel tempo, grazie alla sua economicità e alla versatilità d’impiego. Il metano è infatti utilizzato sia per gli usi residenziali e le attività industriali, sia per la generazione elettrica. Quest’ultimo uso, in particolare, rappresenta l’elemento più delicato: circa metà della produzione elettrica nazionale avviene infatti in centrali termoelettriche alimentate a metano, senza le quali il sistema elettrico nazionale non potrebbe funzionare. Considerando che le importazioni di gas rappresentano circa il 90% dei consumi, è immediatamente intuibile quanto sia importante che i flussi provenienti dall’estero siano stabili nel tempo.
A differenza del petrolio, il gas naturale presenta rischi di interruzione dei flussi più marcati, dovuti alle modalità di trasporto e alla struttura dei mercati internazionali. Il greggio è infatti scambiato soprattutto via nave su un mercato globale relativamente liquido, dove l’interruzione delle esportazioni di un consumatore può essere compensata da altri, come accaduto in occasione del conflitto in Libia, quando gli operatori italiani sono potuti rivolgere ad altri fornitori.

IL NODO INFRASTRUTTURALE
Nel caso del gas naturale, le importazioni in Europa avvengono soprattutto via tubo (90%, nel caso italiano). Questa modalità di trasporto introduce un rilevante elemento di rigidità e quindi di rischio: generalmente, il Paese importatore può utilizzare l’infrastruttura per ricevere gas da un solo fornitore. Se quel flusso di esportazioni viene meno, il gasdotto non può essere utilizzato per importare da altri Paesi e quindi resta inutilizzato, come accaduto nel 2011 al Greenstream, il gasdotto che collega Libia e Italia.
I gasdotti rappresentano inoltre un obiettivo particolarmente adatto per attività terroristiche o di sabotaggio. La loro protezione è infatti resa difficile dalla loro estensione e dunque ogni problema di stabilità in un Paese produttore si trasforma in una potenziale minaccia all’integrità delle infrastrutture e all’affidabilità dei flussi. Inoltre, spesso i gasdotti internazionali attraversano uno o più Paesi di transito, moltiplicando i fattori di rischio.

IL PERICOLO NORDAFRICANO
Per quanto riguarda l’approvvigionamento italiano, le maggiori criticità si hanno nel caso delle forniture nordafricane. Il caso della Libia è quello più noto ma anche quello con l’impatto minore: a regime, infatti, i flussi di gas libico rappresentano un decimo dei consumi nazionali, una quota facilmente sostituibile. Una completa interruzione delle attività, come nel 2011, ha dunque conseguenze limitate.
Le importazioni provenienti dall’Algeria sono invece un elemento molto più importante per il sistema energetico nazionale, poiché coprono in media quasi un terzo del fabbisogno di gas naturale. I rischi di instabilità del Paese – sebbene inferiori a quelli del vicino libico – sono notevoli, come dimostrato dagli attacchi al sito petrolifero di In Amenas del gennaio 2013.
Inoltre, a differenza del gasdotto libico, quello algerino non si collega direttamente all’Italia, ma attraversa la Tunisia, esponendo i flussi diretti in Italia ai rischi derivanti dalla complessa transizione in atto nel Paese.
Nel complesso, l’instabilità politica in Nord Africa rappresenta la principale minaccia per la sicurezza energetica nazionale. Una destabilizzazione dell’Algeria o della Tunisia rappresenterebbe una grave minaccia, soprattutto qualora dovesse verificarsi nei mesi invernali, quando la domanda di gas naturale è ai massimi e il sistema non potrebbe privarsi – se non per qualche settimana – del gas algerino senza gravi conseguenze. Un’estensione dell’instabilità anche alla Libia sarebbe poi lo scenario più complesso, perché a quel punto il segmento meridionale della rete nazionale si troverebbe completamente privo di capacità di importazione.

IL PESO DELLA RUSSIA
Se il Nord Africa è la prima area di approvvigionamento di gas per l’Italia, il singolo più importante fornitore di gas è la Federazione Russa, da cui proviene stabilmente un terzo del fabbisogno nazionale. In questo caso i rischi sono molto più ridotti, grazie alla maggior stabilità politica del Paese e al completo controllo del territorio da parte delle sue forze di sicurezza.
Nondimeno, esistono alcuni profili di rischio associati anche a questa fonte e amplificati dal suo peso relativo. Il principale è quello connesso ai Paesi di transito, in particolare l’Ucraina, resasi protagonista nel tempo di numerosi contenziosi con Gazprom. Attraverso il Paese passano tutti i flussi di gas russo diretti in Italia e in passato si sono già verificate alcune estemporanee interruzioni (2006 e 2009). Il rischio che queste crisi si ripetano è tuttavia ridotto, a causa del crescente indebolimento della posizione ucraina, e in ogni caso si tratterebbe di episodi di breve durata e di bassissimo impatto per l’Italia, data la loro natura essenzialmente dimostrativa, più che altro funzionale alle negoziazioni tra le parti.
Un rischio più significativo è invece quello dell’insufficienza della capacità produttiva russa di far fronte alla domanda italiana, soprattutto durante i momenti di picco di domanda dovuto a fattori climatici (come accaduto nel febbraio 2012). Il principale mercato del gas russo resta la Russia e un aumento dei consumi interni rischia di assorbire la capacità produttiva di riserva, necessaria a far fronte ai picchi della domanda dei clienti europei. Restano infine dubbi diffusi sull’adeguatezza degli investimenti effettuati in nuova capacità produttiva per far fronte alla domanda futura, ma finora il comportamento dei principali operatori russi sembra essere in linea con i piani produttivi annunciati.

GLI ALTRI CANALI
I rischi associati agli altri canali di importazione sono invece molto ridotti, così come i possibili impatti. Nel caso dei flussi via gasdotto provenienti dal Nord Europa via Svizzera (circa il 10% dei consumi nazionali), l’unico rischio significativo sembra essere quello di guasti tecnici dovuti a frane nel tratto alpino svizzero, come nel 2010, quando le operazioni furono sospese per 5 mesi.
Nel caso delle forniture di gas naturale liquefatto e trasportato via metaniera (10% dei consumi), proveniente soprattutto dal Qatar, i rischi sono quelli più generali connessi alla situazione geopolitica del Golfo Persico. Il Qatar, peraltro, sembra essere dotato di una maggiore stabilità interna rispetto agli altri Paesi esportatori di energia dell’area.
Passando invece a considerare i possibili scenari futuri, occorre partire dall’evoluzione del paniere energetico nazionale. In un quadro di medio periodo – al 2020 – caratterizzato da consumi sostanzialmente stagnanti, il petrolio dovrebbe ridurre la propria incidenza al 30%, le rinnovabili aumentare fino al 20% e il gas naturale rimanere stabile ai livelli attuali, diventando la prima fonte e confermando la sua centralità nel sistema energetico nazionale.

L’UTILITÀ DELLE RINNOVABILI
Dal punto di vista del rischio, l’aumento della quota delle rinnovabili contribuirà a ridurre la dipendenza dalle importazioni, che dovrebbe così calare fino a circa 70%, riducendo la vulnerabilità del Paese sia alle fluttuazioni di prezzo sia alle interruzioni di flussi. Nondimeno, le rinnovabili rappresentano una risposta solamente parziale alla necessità di mitigazione del rischio, perché all’attuale livello tecnologico risultano ancora solo parzialmente affidabili, soprattutto nella generazione elettrica. La capacità di produzione da fotovoltaico ed eolico è infatti soggetta a fattori meteorologici incontrollabili e imprevedibili e richiede dunque capacità di riserva sempre pronta, rappresentata sostanzialmente dalle centrali a gas.
Considerando che il mercato del carbone è stabile, aperto e concorrenziale e che l’accesso alla produzione nucleare degli altri Paesi europei è esente da rischi, anche nel futuro le principali vulnerabilità del sistema energetico nazionale saranno quelle connesse all’approvvigionamento del gas naturale. In questa prospettiva, il rischio maggiore sembra essere anche in futuro quello dell’instabilità nell’area del Nord Africa, dove in particolare pesa la difficile transizione ai vertici del governo algerino.

IL PREZZO DEL PETROLIO
Esiste inoltre un ulteriore rischio di carattere più sistemico, legato alla possibilità che il prezzo del petrolio vari in misura sostanziale, stabilizzandosi a livelli troppo alti o troppo bassi rispetto a quello attuale (circa 100 dollari al barile). Un livello eccessivamente elevato del petrolio (oltre 150 dollari al barile) avrebbe un impatto recessivo su tutte le economie industrializzate, rischiando di compromettere anche la ripresa italiana.
Uno scenario potenzialmente ancora più destabilizzante è tuttavia quello di un prezzo del greggio molto inferiore all’attuale (50 dollari al barile). L’effetto sarebbe infatti quello di privare alcuni importanti Paesi produttori – non solo quelli del Nord Africa, ma anche i Paesi del Golfo e la stessa Federazione Russa – dei flussi di cassa minimi per mantenere l’attuale spesa pubblica, con gravi conseguenze in termini di stabilità politica.
L’effetto sarebbe doppiamente negativo: nei casi estremi, causando nell’immediato danneggiamenti delle infrastrutture di produzione e trasporto, come accaduto durante il conflitto libico. In un orizzonte temporale più lungo, riducendo gli investimenti in nuova capacità produttiva al di sotto dei livelli necessari a mantenere la produzione futura.

IL RUOLO DEI DECISORI POLITICI
Le possibili contromisure adottabili dai decisori politici si collocano su diversi piani. Innanzitutto, a livello nazionale esistono alcune linee ad’azione adottabili per ridurre la vulnerabilità del sistema energetico nazionale. La prima è favorire la diversificazione degli approvvigionamenti internazionali di gas attraverso la realizzazione di nuove infrastrutture di trasporto, sia via tubo sia via metaniera. La seconda misura è garantire che il previsto aumento della capacità di stoccaggio – ossia, delle riserve di gas disponibili in ogni momento – sia effettivamente realizzato in tempi brevi.

UNA STRATEGIA INTERNAZIONALE
A livello europeo, invece, occorrerebbe maggiore interconnessione tra le reti nazionali, ma attualmente le reali possibilità di azione sono limitate dalla scarsa volontà politica e solo pochi progetti saranno completati a breve. La dimensione europea è sempre più rilevante per le dinamiche di regolazione del mercato, ma resta ancora marginale per quanto concerne la sicurezza dell’approvvigionamento: a prescindere dalle considerazioni di valore, si tratta di una condizione con cui i decisori nazionali devono necessariamente confrontarsi.
La portata sistemica dei principali rischi per l’approvvigionamento italiano rende tuttavia insufficienti le risorse e le possibilità di azione dei soli decisori nazionali. Occorre dunque necessariamente rafforzare la collaborazione a livello internazionale, innanzitutto per garantire che le transizioni politiche nel Nord Africa non degenerino in assenza di controllo del territorio e in aumento delle minacce per l’integrità delle infrastrutture energetica, provenienti soprattutto da attività terroristiche. Si tratta di un compito difficile, che non può prescindere da una stretta cooperazione con i governi dei Paesi del Nord Africa, sia su un piano bilaterale, sia su un piano multilaterale.

LA DIMENSIONE MULTILATERALE
La dimensione multilaterale, possibilmente a livello globale, è poi imprescindibile per mitigare i rischi connessi all’eccessiva variazione delle quotazioni petrolifere. Il corretto funzionamento futuro del mercato mondiale del greggio richiede infatti il coinvolgimento non solo delle organizzazioni dei Paesi consumatori (IEA) e produttori (OPEC), ma anche quello dei nuovi grandi consumatori emergenti (Cina e India) e dei grandi produttori non allineati (Federazione Russa e Brasile).
Più ampio è il coinvolgimento dei principali Paesi, maggiori sono le possibilità di garantire la stabilità dei mercati. In questo modo è possibile non solo tutelare la stabilità politica dei Paesi esportatori, ma anche proteggere le prospettive di investimento degli operatori, unica garanzia di disponibilità di materie prime energetiche nel lungo periodo.

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