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Le mie “Traviate”

Il 7 dicembre alla Scala ho visto la mia sessantaduesima Traviata contando singolarmente le repliche (a Spoleto ed in Giappone) dell’allestimento di quando (con tre cast nei ruoli principali) nel 2004 accompagnai nel Sol Levante il Teatro Lirico Sperimentale di cui ero vicepresidente.

Non esiste teorema in base al quale quante più Traviate si vedono dal vivo tanto più si ha titolo per giudicare un allestimento. Temo , però, che molti di coloro che hanno fischiato, la sera di Sant’Ambrogio alla Scala, l’allestimento del regista e scenografo Dmitri Tcherniakov, e della costumista Yelena Zaytseva (le proteste era principalmente nei loro confronti) abbiamo visto dal vivo solamente la produzione firmato da Liliana Cavani (con scene di Dante Ferretti) proposta quasi ogni anno alla Scala dal 1990 al 2008 ed abbiamo ricordi di quelli di Franco Zeffirelli e Luchino Visconti che lo hanno preceduto.

Tre allestimenti differenti (vagamente femminista quello della Cavani, molto politico di Visconti e piuttosto sensuale quello di Zeffirelli, che tra New York, Milano, Roma,Vienna e quant’altro ha firmato ben otto produzioni dell’opera, tutte differenti e, pur tuttavia, tutte con molti putti e tendaggi in comune). Ero in platea, fila K posto n.1.

Probabilmente nessuno ha visto l’allestimento entrato nel 2007 in repertorio al Teatro Reale di Stoccolma (e da allora ripreso ogni anno) con la regia di Kasper Bech Holten, la direzione musicale di Pier Giorgio Morandi l’interpretazione di Jonas Degerfeldt nel ruolo di Alfredo Germont. Allora Bech Holten era “un enfant prodige” scandinavo che a meno di 34 anni aveva già collezionato oltre 40 regie liriche e drammatiche che hanno avuto una notevole eco in Europa del Nord, in Gran Bretagna e negli Usa. La sua Traviata si svolge in una grande città europea o americana ai giorni nostri: sin dalla ouverture proiezioni elettroniche mostrano grattacieli.

L’ambiente dove si tiene la festa del primo atto è un “gentlemen’s club” di lusso dove si fornica e si sniffa. Violetta si prostituisce (la sua amica Flora è la tenutaria), Alfredo è il cliente di campagna che si innamora di lei. Nella seconda scena, non siamo in campagna ma in un albergo (stanza 709) ipertecnologico in cui troneggia un immenso letto disfatto; Violetta è in sottoveste, Alfredo in slip molto mini. La terza scena è una vera e propria orgia con simulazioni esplicite di una vasta gamma di posizioni erotiche. Violetta non muore nella propria casa ma per strada (tra gioielleria ed un negozio di pelletteria di lusso) dove si è ormai ridotta; Alfredo, alla sua morte per overdose (oltre che per tisi) si allontana scappando per non essere trovato sul luogo.

A confronto dell´edizione dei fratelli Hermann proposta una dozzina di anni fa a Londra e chiamata “porno-traviata”, nel titolo della recensione di un quotidiano di Milano, quando venne ripresa a Parma nel 2006, quella di Stoccolma è una Traviata hard-core. Efficacissima, però, sia nel rendere lo spirito dissacrante con cui Verdi, nel 1853, concepì l´opera sia nell’attirare pubblico giovane .

Molti però hanno visto lo spettacolo tutto al femminile (regia, scene, costumi, nonché luci e coreografia) che ha inaugurato la stagione del Comunale di Bologna nel 2005: il maestro concertatore era Daniele Gatti (lo stesso dell’inaugurazione 2013 della Scala).

L’opera viene letta come un flash-back di Alfredo Germont, tormentato dal rimorso. Giovane benestante di provincia, ingenuo e verosimilmente ancora vergine, Alfredo viene introdotto da un amico ai bordelli della grande città. Il resto è noto. Sin dalla prima scena siamo in un clima spettrale: un bordello (per tutte le tendenze) ricavato dove in precedenza c’era una palestra con piscina- una sorta di sauna erotica quali quelle di San Francisco, New York e Budapest.

Il secondo atto è ambientato in una grigia costa normanna al crepuscolo; si torna, poi, nel bordello della prima scena, ora addobbato in un rosso volutamente volgare per la festa organizzata da Flora (amica e collega di Violetta). Nel terzo atto, ormai spoglio ed in rovina, il bordello diventa la stanza da letto (e di morte) di Violetta. Il tema di fondo è l’aggressione, da parte di chi non vuole o non sa comprendere, nei confronti di chi cerca una vita migliore. Questa lettura de La Traviata era condotta con estremo rigore da Irina Brook e dalle sue collaboratici. Pure grazie alla scelta di interpreti che hanno le physique du rôle e sono in grado di recitar cantando con efficacia e perfetta dizione (raro per un cast in cui nessuno dei protagonisti è italiano). Non pochi abbonati la hanno presa come una provocazione.

Per Daniele Gatti allora si trattava di un debutto con la partitura. Alla guida dell’orchestra del Comunale di Bologna supportava l’azione scenica accentuandone il languore, e dilatandone, quindi, i tempi. Ciò consentiva di scoprire alcuni aspetti trascurati, quali le battute timbriche (molto innovative nel 1853) all’inizio del secondo atto.

In breve La Traviata è stata vista negli allestimenti più vari. Nel 1853, alla “prima” alla Fenice, la censura costrinse a spostare l’azione dall’epoca contemporanea (metà XIX secolo) ai tempi del Re Sole. Sino a dopo la seconda guerra mondiale, è stata letta come una storia d’amore tra crinoline, lustrini, fazzoletti di pizzo e mazzi di camelie. Visconti la ambientò in una Parigi di fine Ottocento in case d’appuntamento di lusso. Mussbach a Aix en Provence nel 2003 (l’allestimento si replica ancora a Berlino), Vick a Verona, Decker a Salisburgo (e altrove), Sivadier a Vienna, Carsen a Venezia ed altri la hanno trasportata ai tempi nostri.

E vi hanno spesso aggiunto eros e politica. Il primo era molto distante da Verdi: il melodramma italiano del Risorgimento non conosce eros (centrale all’opera romantica tedesca e francese); finisce con Le Compte Ory di Rossini e riappare, con una vera esplosione, in Manon Lescaut di Puccini; in Verdi ce ne è un ricordo in Falstaff (che compose a 80 anni) ed appena uno slancio carnale nel duetto del secondo atto di Un Ballo in Maschera. Verdi aveva un certo disprezzo per la politica anche se in alcune sue opere (Stiffelio e Luisa Miller, oltre a La Traviata) include accenni di critica sociale.

L’allestimento di Tcherniakov presenta La Traviata come una commovente, struggente storia d’amore tra due giovani in un ambiente borghese di qualsiasi Paese europeo ai giorni nostri. Un amore nato sotto maligna stella, per prendere a prestito un verso da un’altra opera verdiana, pieno di fisicità ma in cui domina il sentimento è, a mio avviso, una lettura che sarebbe piaciuta a Verdi e che il pubblico ha seguito con grande intensità e applausi a scena aperta a Diana Damrau (vere e proprie ovazioni dopo Addio del Passato), a Piotr Beczala e al resto della compagnia che sfoggiava un cameo di lusso, l’ormai non più giovane Mara Zampieri nel breve ruolo di Annina.

Lo spettacolo, che ha avuto un grande successo alla rappresentazione per i giovani proprio perché scava nell’amore tra giovani, si replica sino al 2 gennaio; l’emotività delle due differenti tifoserie probabilmente si calmerà e l’allestimento verrà ripreso nelle prossime stagioni. Inutile aggiungere che è piaciuto molto anche a me.

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