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Antipasto di fiducia tra Letta e Renzi

Nello stesso momento in cui ha annunciato per le “prossime settimane” la stipula e la conseguente esposizione di “un patto di governo 2014” il presidente del Consiglio Enrico Letta ha ridimensionato il significato del “nuovo inizio” da lui attribuito alla fiducia parlamentare chiesta alle Camere. Una fiducia perciò tradottasi automaticamente in una semplice, ulteriore certificazione del cambio di maggioranza verificatosi al Senato con l’approvazione della legge ex finanziaria senza i voti, per appello nominale, della rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi. Che è passata all’opposizione in coincidenza non certamente casuale con la decadenza del suo leader da parlamentare, dopo la condanna definitiva per frode fiscale e l’applicazione di una legge alquanto controversa per i suoi effetti retroattivi.

GOVERNO LENZI?
Con “un patto di governo” ancora da definire, anticipato solo per sommi capi sulla falsariga dell’originario percorso riformatore di 18 mesi, il deputato renziano Paolo Gentiloni si è forse fatto prendere troppo la mano intravedendo nel discorso del presidente del Consiglio un “governo Lenzi”. Che, secondo lui, è destinato a prendere il posto del “governo Alfetta”, troppo condizionato evidentemente dal centrodestra rappresentato dal vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Angelino Alfano. 

RENZI E IL GOVERNO ALFETTA
In questo presunto “governo Alfetta” il sindaco di Firenze Matteo Renzi già prima di vincere le primarie per la segreteria del Pd si era proposto spavaldamente di ridurre il peso appunto di Alfano, opponendo i suoi “300 deputati ai 30” della formazione di centrodestra nata dalla scissione del movimento berlusconiano.
Esortazioni a moderare certi entusiasmi e a considerare più realisticamente i rapporti politici di forza tra alleati di governo, in modo da non fare deragliare verso la crisi una maggioranza priva di alternative nella tormentata legislatura prodotta dalle elezioni di fine febbraio, sono probabilmente e direttamente arrivate a Renzi anche dal presidente della Repubblica. Il quale lo ha ricevuto al Quirinale, guarda caso, dopo avere pubblicamente deplorato le fibrillazioni “dannatamente elettorali” ed avvertito che le urne sono “lontane”, e “non dietro l’angolo”.

I RAPPORTI CHIUSI CON IL M5S
Per quanto solo di pre-patto, o antipasto, in attesa del patto vero per il 2014, la nuova fiducia parlamentare ha tuttavia fornito al presidente del Consiglio un’occasione preziosa per chiudere con un’altra mandata i rapporti con i grillini. Che erano stati invece all’inizio della legislatura gli interlocutori privilegiati di tanta parte del Pd allora guidato da Pier Luigi Bersani, deciso a tentare con il loro aiuto la formazione di un velleitario governo “di cambiamento e combattimento”. Velleitario perché minoritario, e perciò impedito dal capo dello Stato.

LA BAGARRE IN AULA
Anche se la rinata Forza Italia, particolarmente con la dichiarazione di voto del capogruppo Renato Brunetta alla Camera, ha cercato di proporsi come la forza di maggiore contrasto al governo, è stato dunque con i grillini che Enrico Letta ha voluto scontrarsi, accettando e rilanciando una sfida al limite dello scontro fisico, visti gli improperi e le minacce ribaditegli dai parlamentari delle cinque stelle. Una sfida sul terreno della difesa delle istituzioni e della convivenza civile, su cui il presidente del Consiglio ha dato l’impressione di sperare di ritrovare prima o poi anche la nuova opposizione di Berlusconi.

IL RISCHIO PER FORZA ITALIA
In Forza Italia si commetterebbe, in effetti, un errore gravissimo se, pur di “asfaltare” il nuovo partito di Alfano in concorrenza con le previsioni espresse anche esplicitamente da Renzi, si spingesse oltre un certo limite la convergenza con i grillini nell’inseguimento delle elezioni anticipate.

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