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Qualche considerazione sull’articolo di Hersh

Il 10 dicembre Repubblica ha pubblicato un articolo scritto da Seymour Hersh che aveva come tema la ricostruzione di alcuni retroscena sull’attacco chimico avvenuto il 21 agosto nel quartiere di Goutha, zona est di Damasco, e che ha dato inizio alla “questione armi chimiche” siriane.

L’articolo – dal titolo “Whose Sarin?” – è stato pubblicato in versione originale nel sito della London Review of Books, dopo che sia il Washington Post che il New Yorker lo avevano scartato. Il motivo del rifiuto è che le fonti dell’articolo – che mette in dubbio la veridicità della ricostruzione dei fatti fornita dall’amministrazione Obama e poi confermata sia dalle Nazioni Unite, che da molte associazioni non governative – non erano sufficientemente affidabili e la loro «solidità non è all’altezza degli standard del giornale», come ha dichiarato il WaPo; mentre il New Yorker, che aveva già pubblicato pezzi di Hersh, ha semplicemente detto – secondo il racconto dello stesso Hersh – di non “essere interessato”.

Le cose sono tante, dunque proviamo ad andare con ordine.

Chi è Hersh

Seymour Hersh è un giornalista molto famoso, vincitore del Pulitzer nel 1970 per uno scoop sulla strage di My Lai (fattaccio legato a un massacro di civili inermi, opera della compagnia di soldati americani “Charlie”, durante la guerra del Vietnam). Successivamente, però, la sua credibilità è diventata discutibile. Per dirne una, nel 1974 il New York Times pubblicò un suo articolo in cui si accusava l’ambasciatore americano in Cile di aver collaborato con la Cia al colpo di stato di Pinochet (1973): niente di vero, tant’è che nel 1981 il Nyt dovette smentire in prima pagina – 25 mila battute di smentita, «la più lunga della storia». Un’altra volta accusò Israele di un ricatto nucleare verso gli Stati Uniti, anche questo finito male, per colpa di una fonte che per stessa ammissione (successiva) di Hersh «mente ogni volta che respira». In mezzo un libro sui Kennedy che Gale Collins (capo degli editorialisti del Times) definì «una tragedia giornalistica», e una serie di articoli avvalorati da fonti rigorosamente anonime, che spesso hanno creato polemica. Christian Rocca, direttore di IL magazine del Sole 24 Ore, delle falle nel metodo giornalistico di quella che nel corso del tempo è diventato il riferimento iconoclastico della controinformazione, ne ha parlato più volte da diversi anni.

L’articolo

Le tesi sostenute nell’articolo, riguardano il fatto che il governo degli Stati Uniti avrebbe mentito sulle ricostruzioni dei fatti di Goutha, fornendo alcune informazioni ma segretandone altre – fare “cherry picking” come si dice in gergo – che arrivavano a incolpare Assad, mentre invece i responsabili sarebbero stati i ribelli. Secondo Hersh, infatti, un gruppo di guerriglieri islamisti – le brigate di al-Nusra, riconosciute da tempo vicino ad al-Qaeda – sarebbe stato in grado di produrre artigianalmente il gas sarin, con cui poi avrebbe armato e lanciato i missili. Gli ordigni sarebbero stati simili (anche questi prodotti artigianali) ai “Volcano” dell’esercito siriano, individuati come i responsabili delle esplosioni. A supporto della sua tesi, Hersh sostiene anche che l’intelligence americana dispone di un sistema di monitoraggio in Siria, in grado di individuare tutti gli spostamenti delle testate caricate ad armi chimiche, e nel caso del 21 agosto, tale sistema non avrebbe rilevato nessun avvertimento.

Le tematiche sollevate, sono note, e riguardano discussioni ormai datate e superate, e che ormai accedono ad un certo genere di retorica: per capirci, lo stesso Hersh definisce la situazione «come prima della guerra in Iraq». Il superamento delle tesi dell’articolo, viene soprattutto dopo che un team indipendente, incaricato dalle Nazioni Unite, ha consegnato al Segretario generale Ban Ki-Moon il rapporto definitivo, dove si individua che si è trattato di una attacco terra-terra, condotto con missili uguali a quelli in possesso dell’esercito siriano.

Diverse sono dunque le contestazioni e le polemiche intorno al pezzo.

I missili

Daniele Raineri del Foglio, ha contattato il giornalista britannico Elliot Higgins, che il New Yorker ha definito «il migliore esperto sulle munizioni usate nel conflitto siriano» e che scrive per Foreign Policy, dove ha pubblicato un pezzo di smentita all’articolo di Hersh: è anche il curatore del blog Brown Moses – praticamente un’istituzione sul conflitto siriano. Higgins ha commentato a Raineri: «Hersh appare ignaro di tutte le prove che confermano che quel tipo di razzo è in dotazione al governo siriano. Abbiamo video messi online dalle Forze di difesa nazionale del governo siriano in cui sparano quei razzi, video del dicembre 2012 in cui i razzi sono lanciati dalla base governativa di Mezzeh e altre prove». Hersh infatti, come si diceva, aveva sollevato – supportato dalle teorie di un professore di tecnologia e sicurezza nazionale del MIT, Theodore Postol – la questione che i missili serbatoio utilizzati per la dispersione del sarin in realtà non erano i “Volcano”, ma missili fabbricati artigianalmente (quindi dalle brigate al-Nusra, come sottotitolo), mantenendo una forma del tutto simile.

La gittata

Un’altra questione riguarda la gittata dei missili – questione che per altro avvalora, secondo Hersch, l’impossibilità che siano stati lanciato dai miliziani filo-governativi – che sarebbe stata superiore a quella della potenzialità dei “Volcano”. Hersh sostiene che la base più vicina si trovasse a 9 km da Goutha. Anche in questo casto però, Higgins ha spiegato al Foglio che «sappiamo anche che il governo siriano stava conducendo una campagna militare nel quartiere a nord dell’area colpita il 21 agosto, il che corrisponde alla gittata dei razzi, anche se supponessimo fosse soltanto di 2-2,5 km». La campagna era nota con il nome di “operazione Qaboun” – dai quartieri di Qaboun e Jobar, zona settentrionale di Damasco – e in questa mappa richiamata da Higgins e pubblicata su Storyful, è dimostrabile che tutti i luoghi degli attacchi si trovavano entro 2,5 chilometri da Qaboun. Inoltre, Higgins ha scritto di avere parlato con Richard Lloyd, un collega del professor Postol, che gli ha confermato che lavorando sulla sezione anteriore del missile, l’ogiva, è possibile aumentare di oltre un chilometro la sua gittata, arrivando così potenzialmente a superare la distanza dei due chilometri.

Higgins ha anche chiesto l’opinione dell’esperto di armi chimiche Dan Kaszeta, sulla possibilità di fabbricare il sarin in casa: Kaszeta ha espresso perplessità, in quanto oltre ai costi, per la produzione del gas nervino servono risorse qualifica e attrezzature adeguate – e niente di questo, è stato documentato in possesso dei ribelli.

L‘amministrazione Obama ha mentito?

Un altro aspetto fondamentale delle tesi di Hersh, sta nel fatto che secondo quanto a lui rivelato – da fonti dei servizi segreti, anonime anche stavolta – l’intelligence statunitense (e pure quella israeliana) – molto attiva in Siria, fin dall’inizio del conflitto – non era a conoscenza degli attacchi prima del 21 agosto. Circostanza che avvalorerebbe la tesi che sia avvenuto per mano dei ribelli, secondo Hersh. Tutto ruota intorno al sistema di monitoraggio che gli americani avevano programmato per le armi chimiche siriane: questo, non sarebbe scattato in allarme, perché non comprendeva gli eventuali pezzi artigianali – fatti dai ribelli, altro sottotitolo. Per giunta, gli americani avrebbero mentito nelle ricostruzioni temporali, fingendo di avere ricevuto dati in “real time“, mentre invece si trattava di dati ricevuti dopo gli attacchi.

Questo è un altro aspetto discutibile: è semmai nota, una ricostruzione opposta. Sembrerebbe infatti, che i dati raccolti dall’intelligence, avevano permesso già dal 18 agosto, di intercettare i movimenti dell’unità speciale armi chimiche dell’esercito siriano, a cui era stata affidata la consegna di avviare la miscelazione e provvedere all’armamento dei missili. I report non furono tradotti in inglese, e così la Casa Bianca restò all’oscuro di tutto, fino al 21 agosto, ad attacchi avvenuti.

Su questo, il Post riporta un’articolo di Joanna Paraszczuk e Scott Lucas pubblicate lunedì 9 dicembre sul sito di EAWorlsView («un progetto a metà tra accademia e giornalismo sviluppato dall’università inglese di Birmingham» citando lo stesso Post). Secondo i due, la teoria di Hersh fa acqua anche perché si basa sull’assunto che, alla data del 21 agosto, il sistema di monitoraggio fosse operativo al cento per cento – cosa per loro non vera.

Per chiudere

Il portavoce della National Intelligence, ha dichiarato a The Hill che l’articolo di Hersh si basa su una ricostruzione «tutta falsa».

Sarebbe in effetti da capire, come mai tutta la serie di prove circostanziali che dimostrano che l’uso delle armi chimiche sia stata opera di Assad, dovrebbe essere tralasciata. Soprattutto in relazione al fatto, che sembrerebbe cervellotica e incoerente la situazioni secondo cui la Casa Bianca avrebbe coperto, occultato, filtrato, informazioni in merito ai veri – presunti da Hersh – responsabili, e cioè i ribelli. Tanto più che tale circostanza avrebbe permesso a Obama di non esporsi in modo diretto con tutto il mondo, sulla necessità dell’intervento armato in Siria, verso quell’Assad che aveva commesso crimini di guerra e violato accordi militari internazionali. Situazione che, per altro, ha portato Obama in un difficile cul de sac di politica internazionale, dal quale è uscito ammaccato, accettando la soluzione russa.

C’è di più: perché semmai, per dire, il punto sul quale attaccare la posizione del presidente americano, è il fallimento dell‘intelligence, che aveva registrato i movimenti delle armi chimiche, ma senza tradurre – per ragioni non conosciute, sembra semplici problemi di comunicazione interna tra i vari reparti – le intercettazioni. Errore che ha portato gli Stati Uniti a non essere in grado di elaborare una strategia preventiva, che avrebbe potuto impedire l’attacco.

 

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