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Vi spiego che cosa farebbe un top manager per risanare l’Italia

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il cameo di Riccardo Ruggeri apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Da tempo sostengo una teoria che sintetizzerei così: “Quando uno Stato, nel mezzo a una crisi violenta come l’attuale, che dura da oltre 6 anni, ma ne potrebbe durare 20, come è successo in Giappone dal ’92, scopre di essere un’organizzazione tecnicamente fallita, deve prendere atto che le modalità per un risanamento sono le stesse di quelle adottate per le aziende private nelle medesime condizioni”.

STATO VS AZIENDA

Quali le differenze gestionali fra Stato e Azienda? Cominciamo dalla mission. Chiara la differenza, l’Azienda privata deve: produrre reddito nel medio-lungo periodo. Se non lo fa, il suo destino è segnato. All’impresa pubblica di solito si attribuisce una mission più “elevata”: la soddisfazione dei cittadini nell’utilizzo dei servizi pubblici. Questa dovrebbe essere valutata in termini di qualità/prezzo, ma oggi è degradata a quantità/qualità.

SIMILITUDINI

Pur avendo mission diverse, le gestioni operative delle imprese private e pubbliche sono molto più simili di come si pensi. Per esempio, se si guarda agli indici gestionali dei bilanci o dei report di gestione, sia l’una che l’altra formalizzano almeno un conto economico, una situazione patrimoniale, una finanziaria, più altri prospetti, che, al di là delle diverse metodologie, indicano chiaramente lo stato di salute dell’impresa. Infatti, se viene rilevata una perdita economica, o se la situazione finanziaria precipita, alla fine il risultato è lo stesso: in entrambi i casi tutti gli stockholder perdono il valore delle loro contribuzioni.

Anche il management, che è certamente un fattore decisivo per il successo dell’impresa, a parità di capacità, ha uguali possibilità di successo nell’impresa pubblica o privata. Certo, in un’impresa privata il management è facilitato nella gestione dalla possibilità di fare confronti (benchmark), attraverso i prodotti offerti, i processi operativi e soprattutto attraverso gli indici gestionali fra l’impresa leader e le altre. Ma anche il management di Stato, o di un’impresa pubblica di servizi, ha a disposizione identici strumenti di confronto e di gestione efficiente, e le aree di intervento sono le stesse.

MANAGER IN TEMPI DI CRISI

Cosa fa un manager di un’impresa privata in tempi di crisi? Ipotizziamo una consistente caduta strutturale del fatturato (- 30% o più). I rapporti fra il fatturato, i cosiddetti costi variabili e fissi, gli oneri finanziari, devono essere drasticamente rivisti in modo da raggiungere velocemente un altro “profilo”, cioè una nuova struttura di conto economico. Quindi a una riduzione del fatturato e dei margini dovrà corrispondere una analoga riduzione di tutti i costi operativi, dalle strutture ai costi di produzione, al capitale circolante, per poter ripristinare produttività e una equilibrata gestione di cassa.

FATTORE CHIAVE: CONCORRENZA

In realtà, il manager privato, nel suo processo decisionale, ha un grande “alleato”: la concorrenza. Anche se sembra un controsenso, la concorrenza è veramente il fattore chiave che aiuta una sana gestione, è pungolo e motore per decisioni rapide e incisive, anche perché la concorrenza ammazza le imprese che non prendono decisione veloci e corrette. Nel settore pubblico le modalità decisionali sono le stesse, spesso però è diversa la consapevolezza degli azionisti.

DECISIONI DA PRENDERE

Assumiamo che la stasi dell’economia in generale, e del Pil nazionale in particolare, produca una riduzione dei flussi di cassa in entrata, quindi vi sia la necessità di riequilibrare i flussi in uscita (occorre tener conto che la contabilità dello Stato e degli Enti pubblici si fa “per cassa” e non per competenza, e questo provoca un’ottica distorta fra decisioni prese in un determinato momento e gli effetti di cassa che si verificano in momenti successivi). Le decisioni da prendere riguardano sempre e comunque, dove tagliare, in che proporzioni, con quali modalità. Se guardiamo all’Azienda Italia, i suoi governanti, seguendo i loro credo politici, proporranno visioni e direttive in relazione al rapporto debito/Pil, allo situazione sociale, alle aspettative della popolazione, etc. Le decisioni prese possono attenere alla sfera della “cassa subito” (quindi tasse) o del risparmio subito (quindi tagli), dei risparmi di spesa a tempo nei diversi settori pubblici (Sanità, Trasporti, Educazione, Sicurezza, etc.), oppure possono anche puntare a cambiare la destinazione di alcune spese da correnti a investimenti di medio-lungo termine, nella Ricerca, nelle Infrastrutture, etc.

MEDICINA IDENTICA…

Essendo identico il contesto di riferimento, non si capisce perché non sia possibile fare una grande ristrutturazione dell’apparato pubblico, che ha assunto ormai una dimensione pachidermica, sullo stile di quelle fatte nelle grandi aziende private. Letta ha affidato questo compito al Commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli. Che obiettivi gli ha dato? Immagino non certo i numeri comparsi sui giornali, 30 miliardi in 3 anni sono noccioline, quando dal 2014 ce ne vogliono 45 all’anno solo per il fiscal compact. Chiediamoci, gli avrà dato i necessari poteri “politici”, oppure vuole fare a lui lo “scherzetto” che Monti ha fatto a Bondi? Avrà chiaro, il Presidente Letta, (vale anche per il giovane Renzi che presto lo sostituirà) che non esistono sprechi non legati alle persone? Lo sa che i cittadini non possono più accettare che mentre nel “privato” centinaia di migliaia di lavoratori sono stati licenziati o sono da anni in cassa integrazione, il “pubblico” rifiuta di prendere atto dei suoi “esuberi” (parola impronunciabile) derivanti da ruoli inutili e procedure barocche? Ha il coraggio di adottare anche nel “pubblico” mobilità e cassa? Avrà capito Letta che in termini di obiettivi-ruoli-poteri, e nella libertà di fare management, nessuna differenza ci deve essere fra Cottarelli e, per esempio, Marchionne? Lo status di “fallito”, sia pubblico che privato, richiede identiche medicine e medici (siamo in guerra ci vogliono chirurghi) con identici protocolli, capacità, determinazione. In caso contrario è pura fuffa comunicazionale.

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