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Ecco come i liberisti (e non solo) fustigano Boccia sulla Google Tax

Ferve la polemica sulla Google tax, dopo l’approvazione da parte della commissione Bilancio della Camera di un emendamento che prevede che i giganti del Web, da Mountain View ad Amazon, dovranno avere partita Iva italiana, pagando in questo modo le tasse in Italia in proporzione al fatturato generato nel Paese.

UN PROVVEDIMENTO UNICO
Con questo provvedimento la Penisola fa da apripista e, prima nazione nell’Unione europea, introduce l’imposta su cui a Bruxelles si discute da diversi mesi. I timori però sono molteplici. Il primo, forse il più immediato, è che possa andare in contrasto con le normative europee sul mercato unico. Inoltre c’è chi ritiene che in un Paese già affetto da un gap tecnologico e competitivo rispetto al resto delle economie avanzate, questa misura possa rallentare ancora di più la digitalizzazione dell’Italia e gli investimenti esteri sul territorio.

CRITICHE DIFFUSE
È assolutamente bipartisan il coro delle critiche che si leva nel mondo politico, ma anche in quello di esperti e osservatori – anche oltre confine – che commentano negativamente la nuova tassa introdotta con l’emendamento proposto da Edoardo Fanucci (Pd), ma già richiamato dai deputati democratici Ernesto Carbone e Francesco Boccia, uomo-simbolo di questa crociata contro il colossi della Rete, che dice di voler azzerare la subalternità italiana nei confronti delle multinazionali americane.

LA RABBIA DEGLI USA
Tra i primi a indispettirsi come prevedibile sono stati proprio gli statunitensi, che temono un effetto emulazione della misura, con effetti pesanti sui giganti del web, quasi tutti provenienti dalla Silicon Valley.
La rivista Forbes definisce “illegale la Google Tax, mentre la Camera di commercio americana in Italia ha dichiarato che tale provvedimento è nettamente in contrasto con quanto Letta è andato a raccontare solo poche settimane fa in Usa, cioè che l’Italia vuole favorire gli investimenti stranieri sul proprio territorio, annunciando che prenderà provvedimenti per far emergere l’irregolarità del balzello che nuoce all’immagine del Paese.

LO SDEGNO DEI LIBERISTI
Ma anche in Italia è largo il fronte di chi boccia senza mezzi termini la tassa, soprattutto nel mondo liberista. Su Twitter sono il docente bocconiano Carlo Alberto Carnevale-Maffè (“La webtax non è un infortunio del PD. È frutto di analisi economica carente e ideologica” del politico pugliese), il ricercatore e redattore de LaVoce.info Riccardo Puglisi (“Non mi è del tutto chiaro che cosa hanno prodotto i 4 anni di ricerca a LSE di Boccia“) e il professore di Economia industriale dell’Università degli Studi di Bari Ernesto Somma (“destinazioneitalia bye bye“) a ritenere un errore il provvedimento. Opinioni che si sommano a quella di Strade, che sul sito web della testata, in un commento a firma di Lucio Scudiero, evidenzia il contrasto tra la norma e le leggi comunitarie e a quella del think tank liberista Istituto Bruno Leoni, che sul suo blog, in un post di Piercamillo Falasca, definisce “non conveniente per l’Italia” il balzello “anti Google”.

GLI APPUNTI DI WIRED
A scagliarsi contro la web tax è anche Wired, rivista di tecnologia che la definisce “surreale”, rimarcando che “sembra di essere tornati indietro di secoli, dove veniva creato una sorta di protezionismo forzato”. Questa mossa, spiega, “potrebbe essere solamente un boomerang perché “l’azienda italiana che acquista servizi da un’impresa di un altro Paese UE è già tenuta alla “integrazione della fattura” proprio ai fini IVA”. Quindi, di che andiamo a parlare?” si chiede Wired.
Che conclude aggiungendo che “il mercato dell’economia digitale non ha limiti. Perché lasciare una nazione, tra le più analfabetizzate in materia web da una possibilità di sviluppo così grande? …Diventeremmo lo zimbello dell’intera Unione Europea“.

LE PREVISIONI DI GRILLO
Critiche anche dal Movimento 5 stelle, per sua natura attento a questo tematiche, che in post pubblicato sul blog di Beppe Grillo sostiene che “la “web tax” produrrà svantaggi e nessun beneficio per l’economia italiana, le imprese, i consumatori e finanche le casse dell’erario“. Aggiungendo che “è corretto pagare le tasse del bene/servizio nel paese dove lo produco” e che il provvedimento genererà “come effetto la marginalizzazione dell’Italia dall’economia digitale“.

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