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Job Act, che cosa penso dell’ultima genialata di Renzi e dei suoi pischelli

I ‘’pischelli’’ della segreteria del Pd stanno vivendo – come tanti loro coetanei – un’adolescenza ritardata. Così non riescono ancora a distinguere quando finiscono, per loro, le attività ludiche (che tanto servono a formare la personalità dei ragazzini) e dove comincia la politica. Succede, quindi, che nelle riunioni mattutine non sia ben chiara la differenza tra una discussione politica ed un gioco di società.

I CASI TADDEI E SERRACCHIANI

Raccontano che Filippo Taddeiil civatiano (sic!) nominato responsabile economico ancorché in difficoltà con i concorsi universitari – si presenti alle 7,30 del mattino in Largo del Nazareno portando con sé una vistosa scatola del Monopoli che usa abitualmente nelle lezioni sull’economia di mercato e il capitalismo tenute alla Johns Hopkins di Bologna. Tocca invece a Debora Serracchiani, governatrice di una regione di confine con il “Deserto dei Tartari”, procurare il Risiko quando all’ordine del giorno sono posti i problemi di politica estera.

DOSSIER  A FIGURINE CHIAMATO JOB ACT

Pare che il confronto sullo job act si svolga come se si trattasse di uno scambio di figurine Panini – all’insegna del “ce l’ho”, “mi manca” – in cui sono effigiati i giuslavoristi ritenuti politicamente corretti. Qualche giornalista mattiniero giura di aver intercettato, stando fuori dalla porta del summit, il seguente dialogo tra Marianna Madia ed un interlocutore rimasto sconosciuto: ‘’Se tu mi dai un contratto unico con tutela crescente e differenziata come proposto da Tito Boeri, io ti concedo la variante di Pietro Ichino sulla flexsecurity all’italiana”. “E del contratto di ricollocazione che cosa ne facciamo?”. “Quello – se ci riusciamo – lo giriamo ad Alfano, sperando che Maurizio Sacconi non se ne accorga. Altrimenti lo avverte del bidone e del parere contrario della Confindustria”.

I RAGAZZI E I TABERNACOLI

Questi ragazzi rispondono ad un solo imperativo: entrare nella Città Proibita della sinistra e svillaneggiarne i tabernacoli. La loro inesperienza, però, non li aiuta a sapere come muoversi. Così finiscono per schierarsi a sostegno dei pochi grandi eretici che, negli anni passati, a torto o a ragione, si sono conquistati la patente di innovatori. Del resto, il contenuto non ha più importanza; è sufficiente fermarsi all’etichetta. Se poi si tratta delle proposte di Pietro Ichino basta la parola: come per il confetto Falqui. Le sue elaborazioni godono di una patente che ne certifica, a priori e comunque, il tasso di riformismo, salvo venire presto in evidenza l’estrema complicazione e l’eccessiva onerosità per le imprese, se solo ci si prende la briga di leggerle ed approfondirle.

AVANTI ANZI INDIETRO SULL’ARTICOLO 18

In ogni caso – o perché non ci hanno capito nulla o perché si sono spaventati per il tanto ardire o, infine, perché, berlusconianamente, considerano compiuta l’impresa dopo averla annunciata in televisione – ad un certo punto i ragazzi dello staff di Renzi hanno scoperto che l’articolo 18 è un tabù ideologico per addetti ai lavori ed hanno accantonato l’argomento. Poi, all’improvviso, domenica scorsa, La Repubblica ha spiegato che il job act virerà decisamente sul modello Boeri-Garibaldi: un contratto a tempo indeterminato (unico?) che prevede una tutela solo obbligatoria contro il licenziamento per la durata di un triennio, trascorso il quale sarebbe integralmente applicata la disciplina prevista dalla riforma Fornero (a questa conclusione arriviamo noi; ma non ne siamo sicuri, visto che si continua a fare riferimento, di solito, all’articolo 18 ancien régime, come se la legge n. 92 del 2012 fosse soltanto un incidente della storia).

LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

Non a caso abbiamo affiancato un punto di domanda alla parola “unico”. Perché su questo punto la confusione regna sovrana. Vi è la convinzione – nomina sunt consequentia rerum – che, una volta introdotto il contratto unico a tempo indeterminato ma sottoposto al regime di tutela obbligatoria contro il licenziamento per un certo numero di anni e limitatamente ai nuovi occupati, questo diventi il canale normale di assunzione, tanto da spazzare via tutte le forme di lavoro ritenute spurie. Non è così (e conversando con loro sia Boeri che Ichino lo ammetterebbero con franchezza) perché vi sono tipologie lavorative che non potranno mai essere regolate con il contratto a tempo indeterminato sia di vecchio che di nuovo conio.

FACCIAMO QUALCHE ESEMPIO

Se un ristorante si trova a dover ospitare eccezionalmente un matrimonio ed ha bisogna di camerieri in più per quella giornata o si avvale del job on call o altrimenti preferisce rischiare ed assumere in nero. Lo stesso discorso vale per un’orchestra cha fa musica dal vivo e che è costretta a sostituire il chitarrista influenzato. Se poi un’impresa sa che deve consegnare entro tre mesi una commessa e per farlo deve ampliare il proprio organico, ricorrerà al contratto a termine o alla somministrazione. E ancora, l’artigiano che intende aprire un sito internet per la sua azienda, ricorrerà alla consulenza di un webmaster con tanto di partita IVA, perché se lo assumesse, finito il lavoro, non saprebbe che farsene, né il consulente ambirebbe a lavorare alle sue dipendenze.

LE INCOGNITE DEL CONTRATTO UNICO A TEMPO INDETERMINATO

Il contratto unico, allora, non è altro che una riforma delle regole del recesso dal rapporto a tempo indeterminato. Che la sua introduzione sia in grado di superare il dualismo che riguarda il mercato del lavoro è ancora da dimostrare. Chi scrive è convinto che una disciplina rigida – che tuteli in termini reali – del licenziamento sia un aspetto che si ritorce contro le assunzioni stabili. Ne deriva, pertanto, che ogni aggiustamento in direzione di una maggiore flessibilità è auspicabile e benvenuto, anche perché aiuterà a non cercare più, in entrata e talvolta in maniera elusiva, quella flessibilità che si vorrebbe in uscita. Ma se davvero vogliono essere innovativi i Renzi’s boys farebbero bene a non sprecare preziose energie per trasportare all’interno delle Mura della loro Città dei diritti quell’enorme cavallo di legno (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato) abbandonato sulla spiaggia dalle generazioni precedenti.

 

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