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La legge di stabilità e il rischio lobby

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su l’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi

La battuta vien facile: come si dice “lobby” in italiano? Perché puntuale come sempre, sbarca in Parlamento la “manovra”, cioè il bilancio dello Stato che in Europa hanno ribattezzato con maggior raffinatezza “legge di stabilità”. E subito arriva l’assalto alla diligenza.

Alcuni senza dare nell’occhio, altri apertamente, ma comunque tanti e in modo trasversale si danno da fare e ricorrono all’antica pratica dell’”infila-emendamento”. Premono di nascosto e con astuzia. Magari in commissione, sul calar della sera con pochi e stanchi presenti, nella speranza che la cosa passi inosservata. E’ una sorta di gratta (la legge) e vinci la riconoscenza del tuo collegio elettorale. E il costo di queste piccole, grandi operazioni per l’intero Paese? E l’interesse generale, che dovrebbe valere oltre il partito, il campanile o la parrocchia? E l’idea che deputati e senatori obbediscano, oltre che alla propria coscienza, come si spera, anche all’interesse nazionale, com’è scolpito nella Costituzione? Solo belle intenzioni, solo splendide parole.

Adesso lo denunciano anche i novelli pentastellati, che alla Camera hanno polemizzato duramente con il Pd, accusando il partito di Matteo Renzi d’aver subordinato la propria strategia politica a incursioni di lobbisti. E allora sono partite le repliche altrettanto pesanti del Pd ai grillini: “Sfascisti!”. Ma intanto s’è ingranata la marcia indietro. Non sia mai che su temi oggi molto sensibili come gli affitti d’oro ai palazzi del potere, o controversi come il gioco con le cosiddette slot machine, qualcuno possa pensar male. Pensare, cioè, che il Parlamento, il luogo dove risiede la sovranità popolare, prenda ordini, anziché darli.

E’ una contesa, quella contro i gruppi forti e organizzati ma non eletti, che viene da lontano. Così lontano, che ciclicamente qualcuno propone di regolamentare il lavoro delle lobby “come in America”, rendendo trasparente l’attività di chi lavora dietro le quinte.
Ma in questo momento alla crisi economica si somma la crisi politica. Se i partiti sono deboli, e devono inventarsi le primarie per rinnovare le loro classi dirigenti, il rischio di delegare ad altri la propria funzione, può diventare fatale. Guai a non consultarsi con chi è competente della materia su cui legiferare. Specie in economia, dove ogni scelta pesa oggi e negli anni a venire. Ma la riflessione generale e la responsabilità finale di ogni atto sono esclusive della politica. Neanche in tempi di magra e di Forconi, nessuno si sogni di esautorare il Parlamento. E il Parlamento non si faccia esautorare da nessuno.

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