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Vi spiego perché Profumo e Mansi bisticciano sull’aumento di capitale di Mps

I motivi del conflitto tra Mps e Fondazione Mps. Il concerto di altre fondazioni bancarie in soccorso dell’ente senese. L’auspicio degli industriali privati di un intervento statale tramite la Cassa depositi e prestiti. Di questo, e di molto altro, parla con Formiche.net un osservatore come Tommaso Strambi, responsabile della redazione di Siena del quotidiano La Nazione, e recente autore del libro I compagni del Monte. Politici e banchieri di una storia italiana (Edizioni Cantagalli).

Strambi è andato a cercare i protagonisti dell’ultimo ventennio di storia senese. A scoprirne i volti sono le parole di chi li ha frequentati da vicino o con le dichiarazioni da loro stessi rilasciate. Ne esce un ritratto collettivo, un “annuario” di volti noti e meno noti illustrati, tra l’altro, dalle vignette originali di Emilio Giannelli: da Giuseppe Mussari, Franco Ceccuzzi e Maurizio Cenni a Giuliano Amato e Rosy Bindi e tanti altri nomi legati alla politica e alla Banca del Monte.

Ma torniamo all’attualità e all’assemblea del Monte dei Paschi di Siena che venerdì 27 dicembre ha all’ordine del giorno un aumento di capitale da 3 miliardi di euro chiesto dai vertici dell’istituto guidato dal presidente Alessandro Profumo e dall’ad, Fabrizio Viola, e che vede la contrarietà della Fondazione Mps presieduta da Antonella Mansi.

Strambi, quali sono le reali divisioni tra il vertice di Mps e la Fondazione?

Sono concrete e determinate, paradossalmente, anche da ragioni identiche: quelle di salvarsi. Da una parte la banca che ha necessità di effettuare l’aumento di capitale in modo da rimborsare rapidamente i Monti bond, senza dover pagare un eccesso di interessi, e rispettare così gli impegni assunti con la Commissione europea. Dall’altra la Fondazione che, se ci fosse l’aumento di capitale a gennaio, finirebbe per polverizzarsi, schiacciata dai debiti accesi per seguire gli aumenti di capitale della banca nel 2008 e nel 2011. Divisioni, dunque, reali e legate alla tempistica di scelte strategiche necessarie per salvaguardare i rispettivi patrimoni e assicurarsi il futuro.

Come mai non si è arrivati a una soluzione di compromesso?

Questo bisognerebbe chiederlo ai protagonisti. Certo è che rispetto al passato, in cui la Fondazione ha sempre assecondato le scelte della banca, oggi c’è una dialettica, anche aspra, che può sfociare in una rottura.

Su questa rottura ha pesato di più le decisioni di Profumo e Viola oppure la posizione di Mansi?

La prima mossa sicuramente l’ha fatta Profumo chiedendo al cda della Rocca di portare in assemblea un aumento di capitale da 3 miliardi da lanciare ai primi di gennaio. Prospettiva che Mansi non poteva certo assecondare per il rischio, come detto, di veder polverizzata la presenza della Fondazione nella banca e, cosa ancora più pericolosa, veder compromesso il patrimonio di Palazzo Sansedoni. Ecco quindi che, forse, una via di compromesso andava ricercata a ottobre. In quel momento le condizioni di mercato (il titolo in Borsa era a 0,24 euro per azione) avrebbero consentito alla Fondazione di procedere all’estinzione del debito con il pool di banche e, nello stesso tempo, sostenere l’aumento di capitale ripensando alla propria partecipazione in un’ottica più rispondente, finalmente, alla legislazione sulle fondazioni di origine bancaria.

Si è avuta eco anche a Siena di un potenziale interessamento di altre fondazioni, come Cariplo e Cariverona, per le quote di Mps detenute dalla Fondazione Mps?

Ovviamente. E si guarda (sì, al presente) a questa ipotesi come alla soluzione per garantire alla Fondazione Mps di continuare a vivere, seppur in una prospettiva diversa dal passato, e nello stesso tempo di continuare a restare azionista della banca assicurando quel legame con il territorio in cui il Monte dei Paschi è nato, cresciuto e maturato. Non da ieri, ma dal 1472. La senesità del Monte, infatti, resta un valore fondamentale, seppure una miope e autarchica declinazione da parte della classe politica degli ultimi 15 anni l’abbia danneggiata sino a metterla in pericolo. Sia con scelte strategiche avventate, sia con una selezione di dirigenti e manager non all’altezza.

Come valuta l’auspicio di Confindustria Siena che invoca l’intervento della Cassa depositi e prestiti?

Di fronte alla drammaticità del momento, va letta come la necessità di non lasciare intentata nessuna strada. Ed è giusto percorrerla, magari insieme all’intervento delle Fondazioni prima richiamato. Sarebbe sicuramente un intervento stabilizzante e di sistema. Mps, con i suoi 28mila dipendenti e i suoi 6 milioni di clienti, è la terza banca del Paese. Ignorarlo sarebbe miope. Dopodiché, una volta portato a termine, dev’essere chiaro che non può essere la soluzione per perpetrare antiche pratiche o cancellare quanto successo. Banca e Fondazione, nel futuro, devono camminare in autonomia e devono essere gestite da soggetti di elevato e provato standing professionale e manageriale.

Quindi i privati ora invocano lo Stato?

Più che invocare lo Stato, forse, auspicano che non si dimentichino certe responsabilità. E quindi sollecitano, come dicevo, una soluzione di sistema per quello che la Banca e la Fondazione hanno rappresentato, rappresentano e possono ancora rappresentare per il territorio senese, la Toscana e l’Italia. Poi credo che anche loro abbiano ben presente che certe logiche localistiche esasperate devono essere archiviate per sempre.

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