Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Perché (ri)costruire l’Europa: “l’amore della gloria, la paura, l’utile”.

Rileggere oggi il dibattito culturale e politico risorgimentale sui concetti di identità nazionale, potenza, egemonia e leadership, può aiutare a ricondurre il dibattito sull’Europa in un ambito qualitativo, scevro delle vulgate azzardate ai quattro angoli del continente.

Il celebre scritto di Leopold von Ranke, “Die grossen Mächte” (1833), codificava l’impianto storiografico moderno del concetto di egemonia e inaugurava gli studi sull’anarchia internazionale e sulla politica di potenza, fu pubblicato sulla “Historischpolitische Zeitschrift”, una rivista diretta a Berlino dallo stesso Ranke su incarico del Ministero degli Esteri prussiano. Questo tendenzioso pamphlet antifrancese stigmatizzava le mire espansionistiche francesi, da Luigi XIV a Napoleone, come portatrici dell’anarchia nel continente europeo con lo scopo di emergere in qualità di potenza egemone. Non fu l’idea cosmopolita della ragione, secondo Ranke, a portare a un balance of power dopo un doloroso riequilibrio delle forze in campo, ma essa fu il prodotto storico e concreto dell’autonomia e dello sviluppo politico-culturale di un blocco antagonista (quello prussiano e austro-ungarico). Il valore del pensiero di Ranke è di grande attualità perché ripresenta su scala enormemente allargata e con gli Stati moderni come protagonisti, la questione delle spinte egemoniche e dei mezzi per sedarle e per non renderle distruttive.

Tuttavia, fu il testo di Vincenzo Gioberti, “Rinnovamento civile d’Italia” (1851), che, come dopo la disfatta del 1848-49, può anche oggi aiutare a capire come ricostruire un’ipotesi di politica nazionale rispetto all’egemonia dell’Europa. Scriveva Gioberti: “Gli antichi chiamavano egemonia quella spezie di primato, di sopreminenza, di maggioranza, non legale né giuridica propriamente parlando, ma di morale efficacia, che fra molte province congeneri, unilingui e connazionali, l’una esercita sopra le altre”. Colpisce molto la facile similitudine tra la situazione di allora e quella odierna nel rapporto tra gli Stati, le nazioni e l’Europa. Alla visione giobertiana, si aggiunse quella dell’erudito torinese Amedeo Peyron, nominato nel 1848 senatore da Carlo Alberto, con uno scritto assai brillante su “L’egemonia greca”, comparso nel 1856 sulla torinese “Rivista contemporanea”. Peyron sentì realisticamente il dovere di mettere in guardia gli Italiani contro i poteri taumaturgici dell’egemonia dei Greci: “parecchie città, per mantenersi autonome, si applicarono infatti nella Grecia antica al prudente consiglio di affidarsi alla città più potente, con la conseguenza che dall’egemonia tra compagni si passò all’assoluto comando sopra sudditi”. Le parole di Peyron servano da monito agli attuali facili entusiasmi europeisti!

Pochi anni dopo, scriveva così il “Times” del 5 maggio 1860: “Non c’è dubbio che è una gloriosa ambizione ciò che spinge la Prussia a proclamare la propria rivendicazione alla leadership, o, come si esprime quel paese di professori, all’egemonia (hegemony) sulla Confederazione Germanica”. È questa, tra l’altro, la prima volta che, in lingua inglese, il termine hegemony, sia pure con un ironico riferimento al “paese dei professori”, viene ricondotto al concetto di leadership, notissimo alla sociologia politica del XX secolo. Oggi, del resto, praticamente tutti i dizionari anglosassoni indicano come sinonimi, per quel che riguarda l’uso corrente, hegemony e leadership. Anche in questo caso sono sorprendenti le simmetrie logiche e del pensiero con l’attuale dibattito sull’Unione europea e sull’Unione bancaria!

È l’egemonia che ha sempre fatto paura ai popoli spingendoli a cercare rifugio nel grembo patrio, inneggiando, ancora una volta oggi, a ipotetiche soluzioni di sovranità nazionale. L’Europa è vissuta come l’egemone, ma la Germania è percepita come il mandante. Tutta l’animosità che si sta sprigionando contro l’Europa e contro la Germania non ha alcun senso reale!

Le questioni sull’egemonia erano già state ampiamente studiate nell’antico mondo greco. Infatti, Tucidide (V sec. A. C.) individuava tre istinti naturali: “l’amore della gloria, la paura, l’utile” (I. 76, 2). Questo è il destino della potenza (“è sempre accaduto che il più debole fosse oppresso dal più forte”, ibid.) di Atene, la città di Tucidide, la quale per aver saputo suscitare e guidare la guerra patriottica contro i Persiani aveva creduto di essersi guadagnata il diritto all’egemonia su tutta la Grecia libera, non comprendendo che la perdita dell’indipendenza non avrebbe potuto essere tollerata dalle altre città, una volta sconfitto il nemico comune.

Tucidide contrapponeva poi all’egemonia un altro (ben più fortunato) concetto interpretativo tipico del linguaggio internazionalistico, al quale l’egemonia sarà poi sempre associata per contrasto: l’equilibrio, che per quanto “determinato da una paura reciproca è la sola garanzia per un’alleanza” (III. 11,2). La natura schematica del gioco della politica internazionale è così delineata: egemonia o equilibrio, dominare o essere dominati. Ma non si tratta – com’è intuitivo – di individuare con queste parole degli ‘stati di cose’, quanto di segnalare delle tendenze, delle linee direttrici comuni alla politica estera di qualsivoglia Stato, cosicché ne risulta il disegno di un alternarsi continuo di Stati che crescono e di altri che declinano, in una successione incessante e immodificabile: nelle parole di Alcibiade, “ci potrebbe essere per noi stessi il rischio di venire da altri dominati se non fossimo noi stessi a dominare altri” (VI. 18,3).

Come l’esempio dei due casi storici ricordati evidenzia, l’osservazione del mondo antico consente di aggiungere alla definizione dell’egemonia l’elemento della superiorità culturale, cui certamente è sensibile chi preferisca questa parola ad altri meno impegnativi sinonimi, come preponderanza, dominio, ecc. L’egemonia non è infatti esclusivamente un portato della superiorità militare, delle conquiste territoriali, della capacità di controllare commerci e scambi, ma anche – se non di più – della superiorità culturale, espressione di un primato intellettuale e scientifico prodotto da un più accelerato sviluppo, che rappresenta la condizione stessa dell’affermazione politica internazionale.

Queste idee antiche vanno chiaramente trasposte nel mondo contemporaneo, come ha brillantemente fatto uno degli studiosi più originali del mondo moderno – Immanuel Wallerstein – che ha racchiuso le tendenze dominanti dello sviluppo di quella che egli chiama “l’economia-mondo” proprio nella formula dell’egemonia, definita “come una situazione in cui le merci di un dato Stato centrale sono prodotte con tale efficienza che sono assai competitive anche in altri Stati centrali, e di conseguenza il dato Stato centrale sarà il primo beneficiario di un mercato mondiale massimamente libero” (v. Wallerstein, 1980; tr. it., p. 52). … connaturata provvisorietà, come se nessuno potesse mantenersi all’apice della potenza: “non appena uno Stato diventa davvero egemone, comincia a declinare”.

Wallerstein ha individuato tre periodi storici contraddistinti dall’egemonia della Repubblica delle Province Unite (1625-1672), da quella britannica (1815-1873) e da quella statunitense (1945-1967), che sarebbero caratterizzati da alcune analogie. In tutti e tre i casi si sarebbe avuta, in primo luogo, la successione nella superiorità agroalimentare, commerciale e finanziaria; questo sviluppo sarebbe stato contraddistinto, in secondo luogo, dal predominio di un’ideologia liberal-globalistica, dalla quale sarebbe quindi disceso, in terzo luogo, il riconoscimento della necessità di dotarsi di una forza militare di portata globale. Questi tre casi sarebbero infine uniti da un denominatore comune: l’esser stati tutti favoriti dall’esito di una guerra trentennale (quella dei Trent’anni, 1618-1648; quella del periodo delle coalizioni antinapoleoniche, 1792-1815; quella infine del periodo 1914-1945) (v. Wallerstein, 1983, pp. 101-104 e passim).

Nel decennio degli anni ’90 abbiamo visto la massima espansione del sistema imperiale americano, diverso dagli antichi veri e propri imperi formali, che ha conquistato il controllo dei mercati e delle attività finanziarie a livello mondiale, mirando cioè non alla mera potenza, ma piuttosto a un globale controllo politico, economico e culturale su altri paesi o altre regioni del mondo – “senza che rapporti formali-istituzionali vengano necessariamente a consolidare tali situazioni” (v. Lenin, 1917).

Nello stesso decennio degli anni ’90 sarebbe dovuta nascere l’Unione europea, economica e monetaria, ma le condizioni egemoniche americane, e quindi di tutela dell’Occidente del quale l’Europa è il fulcro storico, sono improvvisamente mutate: liberalizzazione degli scambi mondiali (Omc, 1995) e successiva ascesa della Cina e dei Brics; rinazionalizzazione della politica internazionale e incremento del riarmo convenzionale e non convenzionale; esplosione dei debiti pubblici delle principali potenze mondiali e conseguente crisi di solvibilità; de-nazionalizzazione e trans-nazionalizzazione della ricchezza concentratasi in una piccola minoranza di detentori e simultaneo depauperamento sociale (classe media e piccoli imprenditori).

Peggior momento per la creazione dell’Unione europea non poteva essere stato scelto. Nel ventennio 1991-2011 sono stati tentati molti correttivi al debole progetto europeo, ma essi hanno creato le condizioni dell’acrimonia senza correggerne effettivamente le strutture fondamentali. Il risultato di oggi è che l’Europa è attraversata non dal pathos europeista ma dal conflitto. “L’amore della gloria, la paura, l’utile” sono i motivi reali del crescente antieuropeismo che si manifesta attraverso discorsi politici insensati, antistorici, e pericolosamente violenti. Le condizioni per l’implosione del sistema europeo sono tutte ben riunite!

Alle varie soluzioni tecnocratiche proposte dalla Germania (consolidamento europeo a egemonia tedesca), dal Regno Unito e dagli USA (Unione bancaria e consolidamento europeo a egemonia anglosassone) sembra non esservi scampo. Eppure, ripartendo dalle citate idee di Vincenzo Gioberti e di Amedeo Peyron è possibile lanciare un’offensiva per il ‘rinnovamento civile dell’Europa’.

Alla dominanza egemonica delle dottrine economiche di derivazione monetarista, che dagli anni ’80 creano le condizioni per uno scontro tra potenze e tra popoli, è urgentissimo rilanciare un discorso politico sull’Europa.

L’America di Obama, come la Cina e la Russia, ma anche molti altri paesi del Sud del mondo, hanno bisogno di un’Europa capace ed efficiente.

È compito e responsabilità degli europei non deludere queste aspettative. Distruggere l’Europa e la moneta unica senza costruire nulla non è una soluzione!

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter