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Perché Draghi vede lo spettro della deflazione

Prematuro parlare di vittoria contro la crisi, soprattutto se le politiche fiscali non sono mirate a stimolare la crescita.

IL MESSAGGIO DI DRAGHI
Il messaggio è chiaro, netto ed elimina tutte le residue velleità di intepretazioni politiche a segnali di ripresa che, invece, si manterrà debole per i prossimi due anni. Parola di Mario Draghi, presidente della Bce che, nella conferenza stampa di oggi successiva al direttivo della Banca centrale europea che ha mantenuto i tassi al minimo storico, prevede per tutta l’Eurozona un biennio di convalescenza molto problematica. “La ripresa c’è, ma è modesta e fragile, permangono rischi finanziari, politici, geopolitici”, ha detto. Soprattutto, “c’è un inaccettabile livello di disoccupazione”.

LO SPETTRO DELLA DEFLAZIONE
Non lo ha detto esplicitamente, in ossequio alla tradizione di moderatismo semantico della Bce, ma Draghi per la prima volta ha fatto riferimento alla deflazione, seppur indirettamente, e cioè parlando della bassa inflazione comune a tutta l’area euro. Il mandato statutario della Bce di garantire la stabilità dei prezzi nell’Eurozona è duale, ha affermato. “Voglio essere chiaro: abbiamo un mandato per difendere la stabilità dei prezzi in entrambe le direzioni“: l’Eurotower agirebbe sia nel caso di “disancoraggio della aspettative inflazionistiche” per combattere cioè l’inflazione, ma anche nel caso di una caduta generale dell’indice dei prezzi, cioè per combattere la deflazione”. E il target virtuoso del 2% resterà lontano ancora per un bel po’: nell’eurozona, ha aggiunto, “sperimenteremo un lungo periodo di bassa inflazione”, aggiungendo che, anche se a lungo termine rimangono “ben ancorate” al mandato della Banca centrale, “le prospettive sull’inflazione a medio termine sono peggiorate”.

OBIETTIVO RIPRESA
Tradotto in italiano e per l’Italia, significa che, con politiche mirate unicamente alla stabilità dei conti pubblici, incapaci di stimolare una ripresa dei consumi interni attraverso l’inversione di tendenza del mercato del lavoro, la semplificazione delle procedure, l’abbattimento dell’invasività della burocrazia e la visibilità dei servizi pagati con le tasse, inevitabilmente il debito pubblico, anche se per miracolo dovesse tornare ai livelli di due anni fa (cioè 178 miliardi di euro fa), avrebbe un valore molto più alto proprio a causa della bassa inflazione. Anche col rendimento dei nostri Btp al 3% (oggi è al 3,85%).

CRESCE IL DEBITO PUBBLICO
E, oggi, il nostro debito pubblico continua a salire, sfondando quota 2.085 miliardi. Intanto l’Istat fotografa impietosamente quanto l’Ue avesse ragione a dubitare degli obiettivi della legge di stabilità del governo Letta: il rapporto deficit/pil dei primi nove mesi del 2013 è schizzato al 3,7%, e se si confermasse anche a fine anno, ci rimetterebbe di nuovo dietro alla lavagna, con una nuova procedura di infrazione che più di qualcuno non vede l’ora di aprire. Insomma, sarebbe bene che qualcuno rimandasse l’esecuzione dell’Inno alla gioia, i tempi restano grami. Soprattutto per i politici senza coraggio.

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