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Contro l’assordante silenzio su Giulio Andreotti si schiera anche Pizzi

Ricordare l’opera di Giulio Andreotti per rompere “l’assordante silenzio” seguito alla sua scomparsa. Perché la sua storia ricca e complessa non venga identificata con l’odissea giudiziaria che lo coinvolse negli anni Novanta scatenando un vero e proprio “frastuono mediatico”. È con questa prospettiva che la famiglia della personalità democratico-cristiana, l’associazione “Giovane Europa” e l’Istituto “Luigi Sturzo” che dal 2007 ne custodisce il celebre archivio, hanno voluto rendere omaggio all’ex Presidente del Consiglio nel giorno in cui avrebbe compiuto 95 anni.

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IL LIBRO OMAGGIO

Lo hanno fatto raccogliendo in un libro 10 interventi pubblici e parlamentari che ne illuminano la visione politica e la profonda umanità. Un’antologia di discorsi emblematici, che abbracciano la sua esistenza, dalla relazione in Assemblea Costituente sul tema della libertà di stampa nel 1947 al discorso ai giovani studenti europei a Palazzo Madama nel 2005, passando per le dichiarazioni programmatiche di governo del 16 marzo 1978 – giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’assassinio degli uomini della scorta – e per la presentazione del semestre di presidenza italiano della Comunità economica europea nel 1990.

Un tentativo, arricchito dalle testimonianze di figure rappresentative del mondo politico, ecclesiastico, televisivo, sportivo, di valorizzare e non disperdere un’azione preziosa per la conoscenza della storia repubblicana. Riconosciuta come lungimirante dagli stessi avversari politici di colui che fu per sette volte capo del governo Presidente del Consiglio. Ma che il mondo politico di oggi, denuncia Gianni Letta, ha voluto svilire e oscurare. All’iniziativa promossa erano presenti infatti protagonisti ed esponenti della prima Repubblica come Paolo Cirino Pomicino, Nicola Mancino, Mariapia Garavaglia, Paolo Naccarato, Franco Carraro, Mauro Cutrufo e Luigi Bisignani.

QUELL’IRONIA DELL’UOMO SEMPRE AL GOVERNO

Accostato nell’immaginario collettivo ai segreti inconfessabili del potere e alle manovre di Palazzo, Giulio Andreotti visse la politica con un’ottica pienamente umana. È Monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia e tra le figure più vicine agli ultimi tre Papi, a ricordarne i tratti distintivi: “Mai ha voluto far credere di essere una figura impeccabile. Per tutta la vita ha rivelato che la politica, necessaria mediazione tra i vari egoismi, non risiede nell’arte di imporre le migliori soluzioni ma nella capacità di evitare le peggiori. E ha sempre interpretato il proprio ruolo pubblico con una forte consapevolezza del limite della natura umana, mescolata a un grande senso dell’ironia prima di tutto su se stesso”.

A giudizio dell’alto prelato risiede in tale qualità la sua vittoria contro nemici storici che volevano mortificarne l’identità schiacciandola sulle pagine più problematiche come l’interminabile serie di processi. Pensando alle sue vicende più travagliate, il religioso ritiene impossibile che una personalità chiave nella vita pubblica abbia potuto ingannare per decenni l’intera popolazione italiana.

IL RICORDO DI PIPPO BAUDO

L’attitudine al sorriso e all’ironia radicata nello spirito romano è messa in rilievo dal ricordo di Pippo Baudo: “Prima degli appuntamenti televisivi a cui Andreotti veniva invitato era previsto un incontro preliminare alle 7 del mattino, all’ultimo piano di Piazza Montecitorio 115. Nel corso del quale egli non voleva sapere nulla dell’intervista del giorno seguente, poiché era un vero improvvisatore tra battute salaci e sdrammatizzanti. Grazie a cui era capace di divulgare i riti della politica al grande pubblico, limitandosi a fare costume e non politica”.

Un’inclinazione d’animo che, rimarca il presentatore tv, venne turbata e incrinata negli anni del processo per mafia a Palermo e della vicenda giudiziaria di Perugia per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Fu anche per questo motivo che “l’ex premier volle arrivare vivo al verdetto di assoluzione pronunciato dalla Corte di Cassazione”. Allo stesso modo la figura politica che più di tutte si sentiva simile alle persone comuni, che voleva apparire normale e seppe interpretare con spirito leggero i ruoli istituzionali più gravosi restò molto amareggiata dal film “Il Divo” di Paolo Sorrentino, che ritenne una “farsa offensiva e ingenerosa”.

L’AMICO DI UNA VITA, GIANNI LETTA

Ricco di passione ed emozione è l’omaggio tributato da Gianni Letta, il quale esprime la propria indignazione per “il silenzio assordante seguito alla morte di Andreotti. Un contraltare stridente rispetto al frastuono mediatico provocato dalle sue disavventure giudiziarie. Come se tutta la sua vita e attività politico-istituzionale si fosse esaurita nella stagione dei processi”. Agli occhi dell’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il politico Dc fu prima di tutto un uomo, padre e nonno e marito affettuoso, che si sentiva parte integrante del popolo romano e delle persone più umili, verso cui non lesinò mai attenzione e generosità. Lungi dall’incarnare l’essenza del potere, emerge una personalità “poliedrica, intelligente, tenace e instancabile nel lavoro, dalla memoria fortissima, attenta alle novità di cui erano interpreti i giovani”.

Ricordarlo così, spiega Letta, vuol dire rompere un silenzio intollerabile che ha trovato conferma nella commemorazione compiuta il 17 settembre nell’Aula di Palazzo Madama: “Un’iniziativa frettolosa e improvvisata, nella quale mancava il presidente del Senato, i ministri e i leader di spicco dei partiti politici con l’eccezione di Pier Ferdinando Casini”.

Un gesto irrispettoso, rileva l’ex direttore del Tempo, nei confronti di un uomo che ha speso 68 anni nelle sedi parlamentari valorizzando il ruolo delle Camere e facendosi promotore, quale presidente del Gruppo interparlamentare, dell’accoglienza di Arafat a Montecitorio e della visita a Fidel Castro contro il veto degli Usa. Che “ha lasciato tracce importanti di saggezza in tutti i luoghi istituzionali e di governo che ha percorso, come nel discorso del 1976 per l’avvio del ‘governo della non sfiducia’ con cui esortava tutte le parti politiche a mettere sullo sfondo le fisiologiche contrapposizioni per affrontare le urgenze di una fase eccezionale. E che fin dal 1952, in un discorso all’Assemblea eucaristica di Lisbona, fece una profonda professione di fede nell’avvenire comunitario, vagheggiando per Roma un futuro di capitale degli Stati Uniti d’Europa”.

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