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Italicum e riforme istituzionali, terzo tempo e non Terza Repubblica

Si è ancora molto discusso sul significato istituzionale e politico della proposta complessiva che Matteo Renzi ha presentato nella Direzione del Pd, ottenendone un sostanziale via libera.

Si tratta certamente di una intesa complessiva da guardare con favore, anche se la prudenza suggerisce di attendere gli sviluppi parlamentari relativi alle tre complesse e rilevanti questioni: trasformazione del Senato in modo da non avere più senatori eletti; revisione del Titolo V della Costituzione per una sorta di nuovo rapporto tra Stato e Regioni anche alla luce della imminente e probabile soppressione delle Province; il nuovo ordinamento elettorale.

Proseguendo in qualche modo secondo l’ideologia della “damnatio” della cosiddetta Prima Repubblica, si è molto discusso e si sta discutendo sul fatto se l’intero pacchetto proposto da Renzi configuri un vero e proprio inizio di una peraltro “inesistente” Terza Repubblica.

Un esame storicamente attento e culturalmente attrezzato all’intera vicenda politico-istituzionale che vada dall’avvento della Repubblica Italiana fino ad oggi, induce infatti a parlare molto più concretamente di “Terzo tempo” della Repubblica e certamente non di una “inesistente” Terza Repubblica.

L’assetto costituzionale di fondo rimane infatti un assetto sostanzialmente di governo parlamentare, anche se con rilevanti modifiche rispetto all’assetto originario.

Possiamo pertanto considerare quale “Primo tempo” della Repubblica quello che va dal 1948 al 1992, perché si trattava di un assetto sostanzialmente immutato, basato su un suo equilibrio complessivo tra rappresentanza e governabilità.

Il “Secondo tempo” è iniziato con la sostanziale scomparsa dei partiti politici che avevano dato vita alla Costituzione italiana, con l’avvento di un lungo periodo nel quale le maggioranze di governo hanno anche preteso di dar vita ad una disciplina costituzionale di parte.

Se la proposta complessiva di Renzi finirà con l’essere accolta nel Parlamento repubblicano finiremo pertanto con il parlare di un “Terzo tempo” della Repubblica.

Da un punto di vista sostanziale sarebbe infatti confermato il principio fondamentale della Costituzione repubblicana: l’intesa tra tutte le forze politiche che finiscono in tal modo per dar vita ad una sorta di rinnovato patto costituzionale.

Dal punto di vista dell’assetto complessivo della Repubblica, si dovrà parlare di nuovo equilibrio costituzionale, ma non anche di un sovvertimento costituzionale generale.

Nuovo equilibrio dunque rispetto alla Repubblica Italiana, ma non certamente una nuova repubblica, come si potrebbe affermare nella ipotesi di una modifica radicale del sistema di governo (passando da un modello di governo parlamentare a un modello di governo presidenziale all’americana o anche semi-presidenziale alla francese), o nel caso di passaggio da un modello regionalistico – anche se caratterizzato da forti poteri regionali – ad un modello autenticamente federale tendente ad una qualche forma di confederazione.

I mutamenti della forma di Stato e della forma di governo non consentono di parlare di Terza Repubblica, così come resta sostanzialmente improprio il sentir affermare che un qualunque mutamento confermativo della sostanza parlamentare della Repubblica esistente finisce con il dar vita ad una sorta di “damnatio” della cosiddetta Prima Repubblica.

Siamo dunque in presenza di un molto rilevante nuovo equilibrio politico-costituzionale che consente di affermare che siamo in presenza di un “Terzo tempo” della repubblica, proprio perché non si tratta solo di una operazione di cronaca quotidiana, ma di un progetto destinato a cambiare nel profondo il modo di funzionare del nostro sistema di governo – che pur resta parlamentare – e del nostro sistema di Stato che pur resta regionale, come Luigi Sturzo avrebbe affermato “nella nazione”, e non – come pur talvolta si è affermato – “per dar vita ad un’altra nazione”.

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