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#SOTU: Obama come da anticipazioni

Come ormai spesso accade, quello che viene detto dal presidente degli Stati Uniti in un suo discorso importante – nel caso specifico, quello sullo “stato dell’Unione” – rispecchia in pieno le anticipazioni: nelle ultime due settimane, è stato così anche per l’atteso discorso sull’Nsa. Il motivo, probabilmente, è anche da ricercare in una nuova strategia comunicativa – fatta di anticipazioni mirate, al fine di costruire già prima dell’evento una discussione pubblica, che porti poi coloro che si sono interessati, a seguirlo con maggiore attenzione. Per certi aspetti, la scelta è accomunabile a quella fatta quest’anno dalle agenzia pubblicitarie in occasione dei famosi spot per il Super Bowl: la partita si giocherà domenica 2 febbraio, ma le pubblicità d’oro normalmente trasmesse durante gli intervalli (e attese tanto quanto il match in sé), stanno girando in rete a suon di teaser da almeno una decina di giorni. La ragione sarebbe da ricercare nel generale spostamento sui social network delle conversazioni intorno ad eventi importanti – per capirci, il direttore marketing di Audi America ha detto a proposito della diffusione programmata di gran parte della pubblicità con cui il “suo” marchio si presenterà alla finale del campionato NFL: «C’è una cosa importante che abbiamo imparato: questo è diventato il Social Bowl».

E così sono giorni che i più autorevoli media americani (e non), pubblicano dritte su argomenti e temi trattati, commenti, analisi e anticipazioni di varie, riguardo al discorso sullo stato dell’Unione: #sotu, l’hashtag lanciato dalla Casa Bianca per seguire in diretta lo speech, girava sui Twitter da diverso tempo prima delle 21:00 – ora di Washington – di martedì 28, quando Obama ha parlato alle Camere riunite.

Si diceva allora, che le parole di Obama (il discorso, testo e video, per intero) hanno confermato quelle anticipazioni. Per il Wall Street Journal ad esempio, il discorso di Obama è stato «essenzialmente un manifesto, volto a dare nuovo vigore a un’agenda che langue e guidare la sua presidenza nelle forti divisioni ideologiche di Washington. L’obiettivo era mostrarlo come il difensore degli americani in difficoltà».

La lotta alla disuguaglianza di reddito (income inequality) e alla disoccupazione cronica (long-term joblessness) ed endemica – che è diventato il più radicato dei problemi economici americani -, sono stati gli argomenti chiave, a cui si aggiunge la questione del salario minimo dei dipendenti federali (federal minimun wage), di cui già si discuteva negli ultimi giorni, dopo la decisione di innalzarlo con un ordine esecutivo del presidente.

Un altro importante punto (metodologico) politico – anticipato pure questo, anche da quel «penna e telefono» con cui il senior political adviser Dan Pfeiffer aveva descritto gli strumenti che il presidente avrebbe usato per cambiare passo all’Ammnistrazione, e che gli era costata la definizione di «Presidente MacGyver», dal capo degli analisti politici di Slate, John Dickerson – è stato proprio quello degli ordini esecutivi (executive action). Obama ha fatto capire, come aveva fatto già in altre occasioni, che non è possibile che le riforme passino sempre per il Congresso – dove gli ostruzionismi su cui si fondano le logoranti trattative, rischiano di allungare i tempi. Il Presidente ha dichiarato che intende avvalersi con maggiore intensità dei suoi poteri esecutivi, soprattutto davanti a questioni di sostanza sociale, situazioni necessarie per aiutare le famiglie americane da uscire dal perdurare (non troppo previsto) della crisi. Ted Cruz, uno degli elementi più in vista dei repubblicani, sul Wall Street Journal  ha commentato che così questa Amministrazione diventa illegale perché abusa del potere esecutivo, aggiungendo che il «presidente che può scegliere quali leggi rispettare e quali ignorare non è più il presidente». I toni forti di Cruz, trovano sicuramente spalla in una fascia di America fuori dai palazzi, che rabbrividisce quando sente aria di sbilanciamento dei poteri.

L’annuncio che farà uso della propria forza, aumentando gli ordini esecutivi, è per certi versi sembrata a molti analisti, come un’ammissione delle proprie difficoltà legislative – anche come presa d’atto del terribile 2013 in cui tale circostanza è venuta continuamente alla luce. Secondo il New York Times «il discorso ha preso atto dell’ovvio: il Congresso è diventato una strada senza sbocco per qualsiasi forte e ambiziosa iniziativa legislativa». Molto più polemico è quello che è stato scritto da Carrie Dann sul blog politico della NBC News: «La frustrazione del presidente verso i repubblicani al Congresso non è un segreto e quell’esasperazione è stata evidente in alcuni passaggi del discorso».

Ma oltre allo spostamento di rotta nel metodo politico, c’è stato anche un cambiamento nella sostanza degli argomenti: il 2014 sarà l’anno dell’azione («year of action», l’aveva già definito nel discorso di fine anno). Azione che, sulla base delle tematiche centrali elencate ieri, è evidente che si sposterà più verso sinistra e più distante dall’establishment. Necessità politiche, confermate anche dai gesti: Obama per esempio sarà in tour in diversi stati (Maryland, Wisconsin, Tennessee e Pennsylvania), per raccontare la cosiddetta “populist economic agenda” direttamente alle persone – obiettivo: spostarsi tra la gente, lontano da Washington, centro del “malvisto” potere politico. Necessità dettate dalla montante radicalizzazione dell’opinione pubblica americana, che se è vero che da un lato ascolta sempre con più piacere le istanze del Tea Party, dall’altro si sta spostando verso posizioni “socialisteggianti”, e soprattutto anti-establishment (il successo mediatico di Warren e la vittoria di De Blasio, ne sono la cartina tornasole).

Lo spostamento a sinistra di cui si era già parlato, ha però una mira molto futuribile: non solo l’Amministrazione, ma anche il lancio di Hillary Clinton – che per certi versi rappresenta la “più establishment” dei politici dem su piazza – per le elezioni del 2016 (e la scelta di John Podesta, fedelissimo clintonians a capo del team strategico che guiderà il presidente nei prossimi anni, è una chiaro segno di passaggio). Si mira a quella continuità della presidenza attuale, che permetterebbe ad Obama di lasciare un segno ancora più profondo nella storia. A queste necessità si uniscono contingenze più strette: a fine anno ci saranno le elezioni di mid term, e i sondaggi non sono troppo favorevoli a chi governa. Il rischio di perdere anche il Senato è troppo grosso e dunque occorre spostare la mira là dove si trovano i consensi. In questo il presidente sembra aver lasciato un po’ indietro l’ala interna del partito democratico, che lo accusa di un approccio troppo ossessivo e didattico sul tema della disuguaglianza, chiedendo di riportare più al centro il timone, convinta che sia l’unica via per vincere le elezioni.

La scelta del designated survivor, è ricaduta nuovamente sul Secretary of energy – stavolta nella persona del fisico nucleare Ernest Moniz, stretto consulente di Obama dal maggio 2013 -; scelta che può essere vista anche come un cartello per l’importanza data dal presidente alle questioni energetiche: sia strategicamente, con il mito “dell’indipendenza” che dai tempi di Nixon fissa il pallino dell’America che sembra potersi concretizzare a breve, sia per il valore della “questione ambientale“. Tematica classica di Obama, quella della limitazione delle emissioni di CO2 per controllare i cambiamenti climatici, ovviamente affrontata nel discorso insieme ad altre del genere: chiudere il carcere di Guantanamo, limitare l’uso dei droni e ridurre l’attività di spionaggio dell’Nsa.

Questioni irrisolte, probabilmente irrisolvibili da solo, su cui lo stesso presidente ha avuto invece, un approccio molto pragmatico nella sua azione amministrativa: passaggi che per alcuni analisti, macchiano lo spostamento a sinistra (o sui temi sociali), dell’accezione più negativa del populismo. Ma d’altronde Obama sa bene che su certe questioni – come sula riforma dell’immigrazione e sulla necessità di innalzare il livello di uguaglianza tra sessi sui posti di lavoro – non basteranno gli ordini esecutivi, ma ci sarà la necessità del compromesso con i repubblicani.

Forte e intenso – e un po’ più inatteso – è stato il passaggio che ha visto protagonista il sergente dei Ranger Cory Remsburg (video), che Obama aveva conosciuto nel 2009 e che era rimasto gravemente ferito poco dopo dall’esplosione di una mina in Afghanistan. Il presidente ha raccontato la sua storia, fatta di una lunga riabilitazione dopo i danni riportati al cervello – è tuttora cieco ad un occhio – che lo hanno tenuto in coma per lungo tempo. Tutti i parlamentari si sono alzati in piedi in un commosso applauso, a cui il sergente ha risposto con un “Ok”.

 

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