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Perché i Jobs Act non servono a creare lavoro

La pubblicazione del dato Istat di dicembre su occupati e disoccupati consente di tirare qualche consuntivo sul deterioramento del mercato del lavoro nell’ultima recessione.

Tra l’avvio della caduta produttiva nel secondo trimestre 2011 e il quarto trimestre 2013, quando presumibilmente il PIL è tornato a crescere, la flessione netta di occupati è stata di oltre 670 000 di unità. Dato il contemporaneo aumento in questo periodo delle forze di lavoro, la crescita della disoccupazione è stata anche più forte e pari a 1.200.000 persone.

Queste dinamiche così negative non sono state determinate da un peggioramento nei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, ma sono state interamente causate dal calo dell’attività produttiva indotta dalla contrazione senza precedenti della domanda interna. La caduta nei flussi netti di occupazione si spiega con la riduzione di posti di lavoro, divenuti scarsi e razionati. Di ciò si deve tenere conto nella definizione delle politiche per l’occupazione.

I progetti di riforma per abbattere segmentazioni e rigidità del nostro mercato del lavoro rischiano di non dare i frutti attesi se non vengono inseriti in un quadro macroeconomico di crescita molto più robusto di quello prospettato dal consenso dei previsori. Abbiamo bisogno di una decisa ripresa della domanda aggregata come precondizione per realizzare con successo le riforme strutturali.

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