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Intesa, Unicredit e la bad bank di sistema che fa soffrire il Tesoro

La creazione di una bad bank è sempre qualcosa di estremamente complesso e politicamente sensibile: basti pensare al prezzo di trasferimento dei crediti in sofferenza al nuovo veicolo, che presta il fianco a rischi di manipolazione e di conseguenza di porre in capo ai contribuenti le perdite, in caso di struttura pubblica.

LA POSIZIONE DEL TESORO

Il governo italiano ha smentito di essere contrario alla creazione di una bad bank. Dalle indiscrezioni sembrava invece che il Tesoro la ritenesse controproducente e suscettibile di innescare ulteriori declassamenti del nostro rating sovrano. Ma l’assenza di riconoscimento del problema può portare a uno stigma contro le banche italiane, viste come zombie con in pancia crediti valutati in modo irrealistico e spesso pure divenuti inesigibili.

LE SIMILITUDINI CON LA SPAGNA

La realtà è che, proprio come accaduto in Spagna, il nostro sistema bancario appare dualistico. Da un lato ci sono i grandi istituti che hanno retto l’onda d’urto delle sofferenze ed hanno messo mano a ripuliture importanti dei bilanci; dall’altro ci sono realtà medie e piccole per le quali la situazione è molto più incerta e opaca.

LE DIFFERENZE TRA PICCOLI E GRANDI ISTITUTI

I maggiori istituti si stanno muovendo autonomamente, negoziando la cessione di pacchetti di crediti in sofferenza ad intermediari internazionali specializzati, e ciò è molto utile a livello reputazionale, fuori dal Paese. Di solito, la cessione di prestiti in sofferenza avviene alla fine di una fase recessiva, quando la ripresa permette di stabilizzare e invertire il trend delle sofferenze. Questo è certamente un segnale positivo, ma non bisogna illudersi: questa è una crisi esistenziale, per la nostra economia più che per altre, e ciò che appare come “ripresa” potrebbe in realtà essere solo una fase di remissione prima di nuove ricadute.

I NODI DA SCIOGLIERE

Ma con la revisione degli attivi bancari ormai imminente, ampi settori del nostro sistema bancario sono di fronte a ricapitalizzazioni che si preannunciano impegnative, anche per la presenza di azionisti istituzionali per i quali mettere mano al portafoglio potrebbe essere impresa disperata.

LA QUESTIONE DELL’ASSISTENZA EUROPEA

Verosimile che il nostro governo si opponga all’idea di richiedere assistenza alla Ue per ottenere fondi con i quali ricapitalizzare il sistema bancario (perché ciò ci metterebbe sotto tutela formale e innalzerebbe pericolosamente il nostro già elevato rapporto debito-Pil), ma qualcosa dovrà essere fatto, sapendo tuttavia che la semplice fusione di banche fragili non è una soluzione ma spesso accelera i problemi e la resa dei conti. E forse la riflessione di Visco sottende questo specifico timore.

L’analisi completa di Seminerio si può leggere qui

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