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Socialisti europei: è prioritario battere la disuguaglianza

Sembra essersi materializzato, nel ghota intellettuale, storico ed accademico del Partito Socialista Europeo, il celebre pamplet uscito venti anni fa, di Noberto Bobbio ‘Destra e Sinistra’ a smentire le ipocrite Cassandre inglesi e italiane che hanno intonato il tetro, falso slogan ‘il socialismo è morto’ all’indomani del crollo del Muro di Berlino. Fu per una strana quanto deliberata assonanza tra il comunismo, questo si’ davvero fallito sotto le macerie del Muro, e il socialismo, che era tutt’altro che estinto.

‘Inequality – Consequences for society, politics, people’, ossia ‘Disuguaglianza – Conseguenze per la società, la politica, la gente’, e’ il tema centrale del forum, nell’ambito del programma ‘Progressive Economy’, cioè ‘Economia progressista’, che riunirà, a Bruxelles il 5-6 marzo prossimi, economisti come Jospeh Stiglitz, Jean-Paul Fitoussi, James K. Galbraith, Stefano Fassina; sindacalisti dell’Etuc e della Cfdt francese e sociologi, insieme ai massimi vertici del Pse, Martin Schulz, candidato alla commissione europea alle prossime elezioni di maggio, in testa.

cult_4495391_57180-5f713Venti anni fa, Bobbo, con parole semplici, come nell’inconfondibile, duro ma conciso stile azionista, spiegava che non solo che ‘destra’ e ‘sinistra’, come paradigmi culturali, esistevano, ma che il tratto distintivo tra i due modi di pensare e d’essere stava nella parolona dimenticata: ‘disuguaglianza’ o all’inverso in ‘uguaglianza’. La destra persegue la disuguaglianza, la sinistra l’uguaglianza che, nel legarsi con l’altro valore, altrettanto insostituibile e fondamentale, la libertà, è e resta, al di là delle elucubrazioni mentali dell’intellighenzia neoliberista montante di stampo blairiano, proveniente oltre Manica, che ebbe in Eugenio Salfari e Repubblica il megafono stonato, “il nucleo irriducibile, ineliminabile e come tale sempre risorgente, insieme ideale, storico ed esistenziale”. Come, “quello che importa, in questo riaffiorare di miti consolatori ed edificanti, è di impegnarsi a illuminare con la ragione le posizioni in contrasto, a porre in discussione le pretese dell’una e dell’altra, di resistere alla tentazione della sintesi definitiva, o della opzione irreversibile, di restituire, insomma, agli uomini, l’un contro l’altro armati da ideologie in contrasto, la fiducia nel colloquio, di ristabilire insieme col diritto della critica il rispetto dell’altrui opinione”. Il contrasto fra i due modi d’essere non poteva essere più netto e inequivocabile. Nell’Italia di Bobbio e della sua generazione è sempre prevalso il rispetto assoluto dello Stato di diritto e dei cittadini: la democrazia come valore in sé è stato, infatti, uno dei principi basilari, formali e non formalistici, che Bobbio e la sua generazione hanno lasciato in eredità, ma che, purtroppo, veniva e viene ancora sottoposto a scorribande continue da parte dei sedicenti nuovi ‘liberali’ e ‘democratici’, Matteo Renzi ne e’ l’espressione vivente, al pari di Silvio Berlusconi, in nome della “modernizzazione” e sotto le mentite spoglie delle “riforme”, che con Mario Monti sono divenute l’esatto contrario di leva per il miglioramento delle condizioni di vita dei più deboli, degli ultimi, di coloro che Bobbio chiamò, “gli schiacciati dai grandi potentati economici”.

La lezione di questo ventennio di liberismo sfrenato che ha fatto cambiare pelle al capitalismo al punto di sostituire il profitto, derivante dall’investire sulla produzione reale di beni e servizi, con la rendita immediata, derivante dallo spregiudicato gioco di borsa, dovrebbe insomma esser servita al ghota intellettuale, storico ed accademico del socialismo europeo per invertire la rotta che prima ancora che politica ed economica, e’ culturale, quella che Antonio Gramsci chiamava ‘egemonia culturale e di consenso’, per catturare, meglio ri-catturare, l’immaginazione e il cuore della gente. Perché il capitalismo resta, e’ incompatibile con il socialismo: non c’e’ il capitalismo ‘decente’ o ‘responsabile’, che dir si voglia, c’e’ – come suggerisce nel suo libro per Castelvecchi ‘Il capitalismo e lo Stato’, l’economista keynesiano, Paolo Leon 24160_22675_paolo-leon-01_Imageformatosi alla scuola di pensiero di Federico Caffè e Paolo Sylos Labini, nonché di Riccardo Lombardi – “la cecità dei capitalisti, vale a dire l’impossibilita’, connaturata alla loro essenza, che essi si rendano consapevoli degli effetti delle loro azioni sull’economia nel suo complesso […] Per comprendere la trasformazione del capitalismo, come il miope ha bisogno degli occhiali, cosi’ i capitalisti hanno bisogno dello Stato. Esistono infatti leggi he operano a livello dell’economia nel suo complesso e solo lo Stato puo’ rendersi conto della loro presenza e dei loro effetti – ma non e’ detto che ciò avvenga, perchè anche lo Stato puo’ condividere la miopia dei suoi capitalisti”.

 

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