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Quel Diavolo di Guido Brera (Kairos Partners). Quando la finanza racconta la sua crisi

E’ uscito a fine gennaio da Rizzoli e già sta scalando le classifiche dei libri dell’anno. “I Diavoli”, il romanzo di Guido Brera, gestore di successo di Kairos partners, è destinato a fare rumore. Non solo perché l’analisi della crisi del debito sovrano arriva da una voce significativa della finanza italiana, ma perché è la finanza stessa a fare autocritica e a leggere la crisi finanziaria in una chiave geopolitica nuova e coraggiosa. Al contempo l’autore racconta la sua versione dei fatti in forma di romanzo, uscendo dal suo mondo di numeri e previsioni e rivelando doti narrative di primo piano, dice chi se ne intende.

E’ la classe media a uscire sconfitta dalla crisi ed è dunque a essa, più che agli addetti ai lavori, che Brera si rivolge con un intento divulgativo. Brera, già schivo di suo, ha scelto di presentare il suo libro vicino alla gente comune, come dimostra l’appuntamento di mercoledì 26 febbraio al liceo scientifico statale Enriques di Ostia Lido quando, nel primo pomeriggio, incontrerà gli studenti per esporre loro la sua opera e aiutarli a orientarsi nel futuro incerto che li aspetta.

Dottor Brera, ha sorpreso tutti nel mondo della finanza tirando fuori questo coniglio dal cilindro. Tre ristampe in meno di tre settimane. Cos’è, un instant book uscito di getto nel mezzo della crisi? Confesso: non l’ho ancora letto tutto, sono oltre 400 pagine…

No, si tratta di un lavoro ponderato che ha accompagnato gli ultimi dieci anni della mia vita.  Appunti, riflessioni, previsioni che ho affidato alla vita di Massimo, il protagonista del mio libro, il responsabile del desk di reddito fisso di una primaria banca americana di base a Londra. Ne è venuto fuori un romanzo ma molti sorprendendomi piacevolmente ci hanno letto quasi un manifesto politico.

Titoli di Stato dunque, e non mercato azionario. Già questa è una novità rispetto alla finanza dei Gekko che ci hanno raccontato. Perché?

La finanza di oggi non è più quella degli anni Ottanta e Novanta raccontata nei film, oggi la finanza è qualcosa di molto più sistemico. La favola del broker azionario, che consiglia i clienti, tra sigari, bretelle e gessato doppiopetto, è archeologia. La vera partita dal 2008 è sui titoli di Stato. E’ li che Massimo combatte fino a cedere e a rinunciare alle sue ambizioni. Capisce che i soldi non fanno più la sua felicità quando percepisce la componente biopolitica del suo lavoro, cioè quella di influire direttamente sulla vita delle persone, sulla costruzione della società.

Un attimo. Vuole dire che la finanza è diventata uno strumento di controllo sulla società?

La finanza ormai a tutti gli effetti è divenuto strumento politico, influisce sull’intera piramide sociale. Basti guardare al quantitative easing americano. Stampare moneta per ricomprare debito e inflazionare gli asset di mercato significa trasferire ricchezza verso l’elite. Nel libro si cita l’indice di Gini che misura la differenza tra i ricchi e i poveri. Più è alta, e più aumentano le tensioni. Più un Paese è evoluto, culturalmente ed economicamente, più quell’indice dovrebbe puntare verso il basso. In America invece è ai massimi dal 1929. E’ di un paio di settimane fa la sfida lanciata da Obama per ridurre il divario di ricchezza tra classi sociali. La finanza finisce per trasferire valore senza crearne di nuovo. E’ diventato un mostro piu’ grande dell’economia sottostante. La politica ha il dovere di regolarla e incanalarla verso il bene comune. Invece si lascia guidare da lei, la teme e la rispetta. E’ così che vincono i più forti, i protagonisti  del connubio tra politica e finanza.

Ma qual è il ruolo delle banche in queste nuova piramide sociale?

Alla fine degli anni Ottanta le banche prendono il ruolo che prima era dei governi sulla tutela dell’individuo. Tassi bassi e inflazione bassa hanno permesso all’individuo di scegliere su cosa indebitarsi: casa, polizza vita, sanità. A causa del neo liberismo spinto l’individuo diventa imprenditore di se stesso ma quando nel 2008 il sistema collassa, gli Stati devono aiutare le banche e quindi esplodono i debiti pubblici e l’individuo resta intrappolato tra il suo debito privato e quello dello Stato.

Non parla come un uomo di finanza… Ma torniano a noi, anzi concentriamoci sull’Europa. Che ruolo ha l’euro in questo scenario di guerra?

L’inevitabile debolezza del dollaro conseguente al QE, cioè stampare denaro ed acquistare il proprio debito pubblico, si poteva controllare solo in un modo: accendendo il faro sull’euro e sulle sue contraddizioni. Da qui il dollaro improvvisamente qualche anno fa divenne un vero e proprio bene rifugio. E dell’euro fu “illuminato” il lato debole ovvero la crisi politica di un establishment arroccato forse inconsapevolmente su posizioni neo liberiste finalizzato a mantenere lo status quo in nome dell’austerità.

Alt. Vuole dire che la crisi dell’euro è un prodotto “americano”? Romanzo o dietrologia?…

Gli americani hanno tutto l’interesse che l’Europa rimanga intrappolata nei suoi nazionalismi e a inserirsi nello scontro centro-periferia su cui si regge il castello del progetto europeo. La Bce ha fatto tutto il possibile per mantenere la coesione europea ma non e’ stata aiutata dal contesto politico sottostante.

Insomma, vuole dire che l’euro è destinato a implodere?

Non necessariamente. Ma ora è l’Europa che deve dimostrare di essere Nazione. Abbiamo bisogno di un nostro New Deal, forse anche guidato dall’efficienza tedesca per arrivare ad esempio  a un’agenzia di rating nostra, a un nostro motore di ricerca (basti vedere la proposta recente della Merkel), a una Banca Centrale con piena libertà di azione.

Facile a dirsi, difficile a farsi…

Ma per fare questo la via è la mutualizzazione del debito e una coperta bancaria che garantisca tutte le banche del continente allo stesso modo. Nel contempo dobbiamo impegnarci a rimettere ordine a casa nostra ovviamente.

Appunto, parliamo dell’Italia. Sbaglio o teme per la sostenibilità del nostro debito?

Sostenibilità del debito e solidità delle banche vanno a braccetto oggi. Per entrambe serve crescita e per la crescita serve uscire dalle ricette neo liberiste europee. Che sono anche atipiche in quanto con l’euro un singolo Paese non può che usare la sola leva fiscale. E’ un po’ come salire su un ring con un braccio legato al corpo. A proposito di Paesi periferici oggi a mio parere si parla troppo di spread e troppo poco di Unione bancaria.

Parli chiaro. Che cosa teme?

A me preoccupa lo schema Cipro e di come furono trattati i correntisti di quelle banche. Oggi quello è il vero tallone d’Achille della periferia europea. Nel libro immagino – in una metafora non tanto campata per aria – che il protagonista Massimo si accorge della debolezza del progetto europeo e rinuncia a combattere una guerra più grande di lui guardando a Francia e Italia come ai due Paesi maggiormente esposti all’impoverimento della classe media e all’esplosione del debito pubblico. Poi il finale metaforico a sorpresa porterà davvero il lettore dentro i meandri di chi fa finanza oggi.

Lasciamo il romanzo. Secondo lei oggi si può ristrutturare il debito?

Intanto ristrutturare è un concetto “liquido”, ovvero soggetto a molteplici definizioni. Nell’ultimo anno persino l’Inghilterra ha operato una sorta di ristrutturazione. E qui sfido chiunque a smentirmi. E poi  prima di  arrivare a ristrutturare ci sono molte cose che si possono ancora fare. Un’azienda ben gestita con un business solido può andare avanti anche con molto debito. E l’Italia il business solido ce l’ha, ovvero l’avanzo primario. Basterebbe cominciare a invertire la marcia e a dare chiari e concreti messaggi che il Paese riparta.

Bisogna convincere prima Angela Merkel…

Da qualche parte la Germania dovrà pur cedere se vuole rendere l’euro una area valutaria ottimale. Sotto pressione, i tedeschi avranno quattro opzioni: uscire dall’euro, lasciar uscire la periferia, accelerare per una unione fiscale e politica o accettare una ristrutturazione di alcuni debiti pubblici. Dovranno anche loro valutare costi e benefici di ognuna delle quattro scelte. Ma ci vuole qualcuno che metta loro con le spalle al muro e non viceversa.

Nel libro Massimo rinuncia e si dedica ai tonni, la sua classe media nel mediterraneo… Che cosa vuole fare il finanziere Brera?

E’ chiaro cosa abbiamo perso negli ultimi 20 anni, la condivisione del bello, il senso di comunità. Il neoliberismo è entrato nelle nostre menti e tutto è diventato un calco del modello impresa. L’uomo, lo Stato, le città, persino alcuni rapporti di coppia. Ecco, noi dobbiamo recuperare il tempo perso. Ma non possiamo farlo se prima non ci rendiamo conto in che mondo oggi viviamo. E questa è la mia sfida. Essere in grado di spiegare tutto questo ai giovani, raccontare loro come è davvero il mondo, farli uscire dalla scatola. Massimo torna alle origini, al mare, ai tonni e forse a farlo “guarire” dalle sue inquietudini sarà proprio il figlio piccolo. Un bambino come tanti, ma Massimo cominciando a guardare le cose con i suoi occhi ancora incontaminati ha fatto il primo passo per uscire dalla scatola.

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