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Io, consigliere di Stato, a Renzi dico: rottami un po’ il Consiglio di Stato

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’ultimo giro di indiscrezioni posizionerebbe il presidente incaricato Matteo Renzi sul palcoscenico di un vecchio vaudeville (commedia leggera). Dio non voglia che le indiscrezioni siano veritiere: troveremmo al governo una serie di arnesi consunti insieme a noti personaggi della commedia dell’arte. Dietro di loro, risalirebbe a cavallo l’intera schiera di capi di gabinetto, di capi ufficio legislativo che, con direttori di dipartimento, segretari generali e direttori generali, ha di fatto governato l’Italia negli ultimi vent’anni condannandola all’immobilismo e alla paralisi. I decreti legislativi (o delegati) sono stati lo strumento del loro opaco e devastante potere: il Parlamento adotta una legge-quadro (più o meno) che per essere applicata rende necessari più decreti. Le vere decisioni, quindi, si assumono su questo terreno, fuori dal Parlamento.

Il decreto (ne mancano oltre 150) viene trattato in stanze segrete, negoziato con parti interessate e correlate, infine, depositato negli uffici del Dipartimento affari legislativi della presidenza del Consiglio che completa la cosiddetta istruttoria, cioè il finale do ut des. Il percorso prevede, però, che, prima di diventare operativi, questi provvedimenti debbano ottenere il parere favorevole del Consiglio di Stato. È qui, dunque, che risiede una parte importante delle politiche economiche, finanziarie, del lavoro e delle infrastrutture. È in questo luogo autoreferenziale e irresponsabile (nel senso che non risponde a nessuno) che nasce il dilagante peso dei magistrati amministrativi e la loro capacità di condizionare l’attività di Parlamento e governo. Non si può cambiare nessun verso, caro Matteo Renzi, se la sostanza della squadra di governo (il secondo livello) sarà costituita dal solito ceto intermedio che ha diretto i ministeri senza controlli.

La strada del cambiamento passa dalla lotta ai conflitti di interesse e dalla smobilitazione della sezione affari normativi del Consiglio di Stato, le forche caudine degli atti di governo significativi. Sento le repliche dei miei ex colleghi: il loro lavoro consiste nel rendere inoppugnabili i decreti legislativi, perfetti per legittimità costituzionale e coordinamento tra leggi.

Non ci creda, caro Matteo Renzi: se la sua squadra di governo sarà costituita da gente preparata, se rifiuterà le invasioni di campo di Napolitano, se insomma farà un governo vero di vero rinnovamento, imponga ai suoi ministri lo sbaraccamento dell’alta burocrazia e l’allontanamento di tanti «esperti», consiglieri, giudici amministrativi, contabili e avvocati dello Stato. I suoi ministri non sapranno perché li allontaneranno, se li allontaneranno. Ma gli allontanati lo capiranno bene.

Un’ultima notazione: il sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, segretario del consiglio dei ministri deve avere il sedere di pietra e intendersene di leggi e di legislatori. E deve essere la persona cui affidare il coordinamento delle scelte dei ministri per i capi dei gabinetto, degli uffici legislativi e dei dipartimenti (attenzione ai curricula: più sono nutriti meno i loro titolari sono appetibili). Altrimenti, la sua strada, caro Renzi, è segnata.

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