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Ucraina, così Putin ha messo spalle al muro l’Occidente

La Russia non è fuori gioco nella difesa dei suoi interessi in Ucraina. Ha buone carte in mano e le gioca con abilità e spregiudicatezza. Putin è un buon giocatore di scacchi. Ha preparato brillantemente l’intervento in Crimea. L’ha gestito con brutale razionalità strategica. Ha vinto il primo round, ma non la partita.

LA MASCHERA RUSSA
Si è mascherato dietro l’unanimità dei parlamentari e l’obbligo morale di dare “fraterna risposta” alle richieste d’intervento delle popolazioni russe “minacciate da terroristi, nazisti e banditi”. Ora che ha preso il controllo della Crimea, con un’operazione tecnicamente da manuale, sta provocando scontri in molte città dell’Ucraina nordorientale e meridionale. La mossa è abile. I suoi agenti provocatori gli creano una libertà d’azione. Può utilizzarla sia per estendere la “difesa dei cittadini russi” ad altre province del Paese.

LA STRATEGIA DI MOSCA
La più strategica è Odessa con il suo porto. Essa isolerebbe l’Ucraina dal mare e la farebbe dipendere da Mosca. Oppure Putin può utilizzare la minaccia di nuovi interventi in Ucraina, come arma negoziale con l’Occidente. Nei confronti di quest’ultimo possiede altri punti di forza. La collaborazione di Mosca è necessaria in Siria e per chiudere la questione del nucleare iraniano. Ma soprattutto il transito dal territorio russo è essenziale per il ritiro dall’Afghanistan delle forze USA e europee, dato il caos dominante in Pakistan. L’unica alternativa per non abbandonare materiale prezioso in Afghanistan sarebbe passare quello di ritirarlo passando per l’Iran. Ma le intese fra Washington e Teheran sono ancora allo stadio iniziale. Ottenere tale concessione dagli Ayatollah sarebbe molto dannoso per gli altri negoziati in corso con Teheran. Sarebbe una via che la diplomazia occidentale dovrebbe comunque esplorare.

LE DIVISIONI DELL’OCCIDENTE
L’Occidente è diviso e impotente. Europa e Usa sono su posizioni diverse. Nessuno comunque vuole combattere per l’Ucraina né accettare lo scoppio di una nuova guerra fredda in Europa. L’annuncio di non partecipare al G-8 di Sochi e anche la minaccia di espellere la Russia è quasi ridicola. La Russia farebbe comunque parte del Consiglio di Sicurezza, del gruppo dei Bric e del G-20.
Nel lungo colloquio di sabato scorso con Putin, Obama ha parlato di “gravi conseguenze” per lo status internazionale della Russia, se non ritirasse le truppe dalla Crimea. Sono chiacchiere. Gli avvertimenti di Obama non hanno di certo turbato Putin. Anzi, gli hanno dimostrato che il suo calcolo strategico era corretto.

IL CORAGGIO DI PUTIN
Resta però il rischio che la mancanza di reazione occidentale possa indurre Putin a non fermarsi e a estendere la “protezione dei cittadini russi” non solo alle regioni nordorientali e meridionali dell’Ucraina ma anche ai Paesi Baltici. Non credo che, dopo aver “incassato” il riassorbimento della Crimea nella Federazione Russa – che verosimilmente verrà sancito dal referendum che sarà tenuto nella penisola il 30 marzo – Putin voglia occupare altre regioni dell’Ucraina. Dovrebbe accollarsene i debiti. Se si limitasse alla sola Crimea, una parte almeno dei debiti e del costo del sostegno all’economia ucraina sarà a carico dell’Occidente. Solo una forte pressione interna volta alla protezione delle minoranze russe potrebbe indurlo a intervenire nelle città industriali del Nordest del paese. Il buffo è che, come in Crimea d’altronde, i filo-russi stanno bastonando i sostenitori della rivolta Maiden.

LE OPZIONI DI USA E UE
Come evitare che Putin ceda alla tentazione di strafare, continuando a intervenire militarmente come in Georgia nel 2008 e oggi in Crimea, per limitare gli effetti di quello che chiama “il peggior disastro geopolitico del XX secolo”, cioè il collasso e la frammentazione dell’Urss? Quali armi economiche e militari ha l’Occidente nelle sue mani?
L’Occidente, sia europeo sia americano, non esce bene dalla vicenda. Gli Usa e il Regno Unito hanno tradito le promesse fatte all’Ucraina. Si erano impegnati con il Memorandum di Budapest del gennaio 1994 – firmato anche da Eltsin e ufficializzato poi all’Osce di Vienna – “a rispettare l’indipendenza e la sovranità ucraina negli attuali confini”, in cambio della consegna alla Russia da parte dell’Ucraina delle armi nucleari ex-sovietiche rimaste in Ucraina. Ma l’Occidente ha fatto una brutta figura anche con le ripetute visite a Kiev dei suoi ministri degli esteri, che – come se nulla fosse – hanno “festosamente” incontrato anche esponenti del partito ultranazionalista Svoboda, che, nelle piazze di Kiev, inneggiava a Stefan Bandera, il capo nazista ucraino nel secondo conflitto mondiale. Hanno pensato di “giocare pesante” senza avere la volontà e la forza d’intervenire. Non sarà facile farlo. L’Occidente è impotente e imbelle.

LA POSIZIONE DI ROMA
La fortuna italiana è stata la crisi di governo. Ci ha impedito presenze ad alto livello e quindi figure troppo brutte. Dati i nostri interessi commerciali e energetici con Mosca, non sembra esserci soluzione migliore per l’Italia che quella di allinearsi con quanto farà la Germania.

LE STRADE DEL CREMLINO
Non si sa quali siano le intenzioni di Putin. Da stratega razionale, quale indubbiamente è, ha dimostrato di essere un maestro nella valutazione della correlazione delle forze, concetto base dell’analisi strategica russa. Putin si comporterà a seconda della reazione non tanto delle Forze Armate ucraine, che non sono in grado di resistere ad un’invasione e che sembrano intenzionate a cedere ai russi o a collaborare con essi, come è già avvenuto in Crimea (i soldati hanno ceduto le armi; sembra che la nave ammiraglia della flotta ucraina abbia defezionato), quanto dell’Occidente e della comunità internazionale. India, Brasile, Giappone (ma non la Cina) hanno condannato la Russia per l’attacco alla Crimea. La Turchia ha avuto parole di fuoco perché venga protetta la minoranza tatara delle penisola (circa 300mila sono i Tatari della Crimea, mentre 4 milioni sono quelli che vivono in Turchia). Certamente l’Arabia Saudita mobiliterà l’Emirato del Caucaso e i suoi terroristi a loro difesa, con “spiacevoli” attentati sul territorio russo.

I PIANI DI WASHINGTON
Come accennato, gli Usa non invieranno portaerei nel Mar Nero. Una reazione militare a sostegno dell’Ucraina è da escludere. Provocherebbe anche ulteriori divisioni insanabili in un’Europa già frammentata nei suoi rapporti con la Russia. L’unica reazione che potrebbe essere efficace, ma che è altrettanto improbabile, sarebbe quella di pesanti sanzioni economiche e soprattutto finanziarie, soprattutto da parte degli Usa. La loro efficacia si basa sul dominio che ha non tanto il dollaro quanto il sistema bancario americano nelle transazioni che riguardano le commodities. Anche la Cina si è dovuta adeguare ad esse nei confronti dell’Iran. Gli oneri di tale provvedimento graverebbero su Stati europei, come l’Italia e la Germania. Tale divario di costo potrebbe avere un effetto boomerang, indebolendo ancora la coesione occidentale. Una reazione a livello inferiore sarebbe quella di congelare i depositi in Occidente dei politici russi responsabili dell’intervento in Ucraina e di interrompere i negoziati in corso per talune collaborazioni economiche e tecnologiche.

LA PRESENZA MILITARE
L’Occidente ha sottovalutato Putin e non ha capito quanto la Crimea, se non l’intera Ucraina, siano importanti per la Russia. È probabile che l’intero Paese rientri nell’orbita russa. A parer mio, è probabile che Putin non esageri. Si accontenterà di negoziati, sponsorizzati da un Occidente atterrito per quanto è capitato e anche dalla constatazione delle sue divisioni e impotenza. Putin ha molte armi in mano, che gli consentono di scegliere sia opzioni soft che di continuare l’aggressione che beninteso definisce “umanitaria”, volta a salvaguardare i “poveri russo-ucraini”, dai “cattivi” indipendentisti. Dispone di 150mila soldati mobilitati nei Distretti Militari occidentale e centrale e pronti ad entrare in azione. Le forze ucraine non sono in grado di opporre una resistenza efficace. Putin sa comunque che il difficile verrà dopo. La guerriglia contro l’Armata Rossa è durata in Ucraina fino al 1956. I costi di un’occupazione sarebbero proibitivi, nonostante che certamente molti ufficiali ucraini siano felici di collaborare con i loro ex-colleghi russi.

I RICATTI ECONOMICI
Ma Putin ha altre armi. Le giocherà con la solita maestria. Sono il debito di 35-40 mld di dollari che l’Ucraina dovrebbe pagare entro due anni; il prezzo del gas; i diritti di dogana nei riguardi delle importazioni dall’Ucraina. Con tali strumenti può far fallire l’intero Paese. Ha il coltello dalla parte del manico, anche perché la sua capacità strategica è nettamente superiore a quella di Obama. In qualsiasi negoziato, apparirà come uomo di pace all’estero, mentre in Russia consoliderà il suo già elevato prestigio interno di “uomo forte”, di salvatore della Patria e di patriota capace di ridare alla Russia lo status di grande potenza mondiale.

IL PREZZO DA PAGARE
Se vorrà giocare un ruolo, l’Occidente dovrà pagare un prezzo: accollarsi parte del debito ucraino e dell’onere di evitare il collasso la disastrata economia del paese. Consentendo all’Occidente di salvare la faccia, Putin unirà l’utile al dilettevole. Farà pagare a europei ed americani parte del costo della sua vittoria. Le esperienze dell’enorme costo sostenuto dai russi per tenere assieme gli imperi zarista e sovietico gli sono ben noti. Non esagerando Putin eviterebbe che si rafforzi la Nato, oggi in stato semicomatoso. Una “linea dura” di Mosca potrebbe addirittura dare un impulso all’integrazione politica e strategica dell’Ue, che per Putin è come il fumo negli occhi.

L’AMBIVALENZA DELL’ITALIA
L’Europa dovrebbe comunque mettere mano al portafoglio sia per aiutare l’Ucraina sia per potenziare le sue forze armate. Il costo potrebbe essere simile a quello di una seconda guerra di Crimea. A differenza di quanto fece il Regno di Sardegna 160 anni fa, l’Italia non sembra avere alcuna intenzione di parteciparvi. Ciò le consentirà di mantenere ottimi rapporti con Mosca. Si guasteranno invece quelli con i Paesi europei centrorientali e forse anche con gli Usa. Non è un’incoraggiante premessa per il semestre di presidenza italiana dell’Ue, sul quale – a parer mio del tutto impropriamente – sono state poste tante aspettative. La possibilità di un successo – almeno d’immagine, tanto importante per la stabilità interna del governo Renzi – è comunque ridotta dall’assenza di uno sperimentato ministro per gli affari europei e dalla conseguente impossibilità di ridurre la disastrosa frammentazione, esistente nei rapporti con l’Ue e i suoi Stati membri, delle competenze fra i vari dicasteri. Questo vale anche nella gestione del caso ucraino. Conferma l’esigenza di mantenere il più basso profilo possibile.

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