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Il Renzi d’America, o quasi: Rahm Emanuel

 

Chicago, Illinois. Windy City, distesa sulla sponda sud-occidentale del Lago Michigan, con i suoi 3 milioni di abitanti è la più grande città dell’entroterra statunitense, la terza per popolazione dopo Los Angeles e New York (l’intero agglomerato urbano conta quasi dieci milioni di persone). Ma da oggi, dopo il taglio del rating per opera di Moody’s (Baa1, appena sopra il junk, come ha fatto notare Andrea Boda, ex Bimboalieno, uno dei blog economici più seguiti in Italia), sembra molto meno americana, quasi una degli esempi di malagestione all’italiana.

Sembra, ma non è così. Quasi di sicuro la notizia non l’avrà presa bene il sindaco Rahm Emanuel, 55 anni, detto Rahmbo: soprannome che la dice lunga su molte cose, tra cui l’impeto con cui sta affrontando l’esigenza di rimettere in ordine i conti cittadini.

Chicago è la città degli Obama, e l’attuale presidente ha giocato un ruolo chiave nell’elezione di Emanuel nel 2011. Innanzitutto, l’ha convito a candidarsi, a lasciare Washington, dove aveva speso tutta la sua vita fino ad arrivare a una posizione di certo non secondaria: era Chief of staff della Casa Bianca dal gennaio del 2009, punto massimo di una carriera spesa all’interno delle campagne elettorali democratiche fin dal 1984 (nel team del senatore Paul Simon), passando per responsabile del comitato finanziario alle primarie di Bill Clinton (che lo nominò anche senior advisor durante la sua Amministrazione), e successivamente come Rappresentante dell’Illinois.

«Non sarò un sindaco paziente» aveva annunciato, e quella dichiarazione è diventata quasi un eufemismo: Rahmbo si muove alla velocità della luce, con un metodo “che non fa prigionieri”. Si dice che nel suo lessico la parola “fuck” sia diventata quasi un vezzeggiativo; e il pensiero va diretto a Malcolm Tucker, lo spin doctor della serie tv inglese “The Thick of It”, grande interpretazione di Peter Capaldi modellata, pare, su Alastair Campbell (il mitico superspin di Tony Blair). Figurarsi oggi, come saranno stati infuocati i centralini del palazzo in piena Manhattan dove ha sede l’agenzia di rating, poco lontano da Zuccotti Park che fu base degli Occupy.

Origini ebraiche, un dito amputato da ragazzo (un banale incidente in cucina) si arruolò volontario nell’esercito israeliano nel 1991, durante Desert Storm, per combattere nel Golfo: nel 2002 fu tra i più forti sostenitori (democratici) dell’intervento armato in Iraq.

La sua feroce ambizione il suo spirito aggressivo e stacanovista, piace agli attuali riferimenti economici di Chicago, scuotendo il mondo democratico dall’altro lato delle Warren e dei de Blasio. In una città in cui la popolazione è equamente divisa tra bianchi, neri e ispanici, non c’è una frangia etnica che non lo abbia sostenuto nell’elezione. I bianchi delle imprese del Loop (il Downtown, il centro) non hanno mai goduto di una situazione così prospera; e anche gli ispanici del West Side hanno le tasche piene, (come si dice in città). Alle urne ha preso tra gli afroamericani del sud cittadino, più consensi di tutti gli altri quattro candidati insieme: e due erano afroamericani.

Adesso però, in vista del prossimo round elettorale fissato per il 2015 sarà proprio lì, nella gente del South Side dove Obama cominciò la sua carriera come community organizer, che dovrà battere Emanuel: la chiamano “degentrification“, le famiglie nere lasciano la città. Il divario tra le “due Chicagos” richiama quello delle “due New Yorks”, grande concentrazione di enormi quantità di ricchezza ma anche di povertà: ma Emanuel è più Bloomberg che de Blasio, il suo obiettivo è di fare di Chicago una grande città per le famiglie della classe media, reti filantropiche per rivitalizzarne il cuore produttivo, più che le tassazioni patrimoniali dell’Upper East Side con cui il “sandinista” vuole rendere la vita migliore alle classi basse della Grande Mela. Ci si tornerà.

Dopo gli anni con Clinton, Rahm ha lavorato per la banca d’investimenti (abbastanza elitaria) Wasserstein Perella accumulando una piccola fortuna (si dice 18,5 milioni di dollari) per le sue consulenze. 450 mila dollari li spese per la sua prima elezione al Congresso, asfaltare i repubblicani alle mid term successive costò ancora di più. «Il primo terzo della campagna è soldi, soldi, soldi. Il secondo terzo è soldi, soldi, soldi. Il terzo è voti, stampa e soldi» commentò una volta in una riunione di spin democratici. Tra i suoi finanziatori c’erano i nomi dell’establishment economico americano (e mondiale): Steve Jobs, Donald Trump (che in città ha molti interessi); e poi, grazie al fratello, Ari Emanuel, agente hollywoodiano di primo livello, Steven Spielberg e il produttore discografico David Geffen.

Emanuel piace così tanto alle élite economiche, da essere riuscito a convincere molte grosse aziende a spostare a Chicago le proprie sedi centrali – anche grazie alla spinta data allo sviluppo urbanistico e architettonico del quartiere degli affari. United Airlines, Motorola Mobile (ex Google ora Lenovo), Boeing, Exelon e Hyatt, per dirne alcuni, che poi hanno mosso a rimorchio qualcosa come 10 mila posti nel settore digitale.

Tra i primi progetti per la città ha pensato a sviluppare un piano di politica estera, affidato a Ivo Daalder (ex ambasciatore di Obama alla Nato). L’obiettivo è sfruttare la vocazione multiculturale (la quinta città del mondo per presenza di popolazione messicana, la prima in America per polacchi, ucraini, serbi e coreani). Ma l’obiettivo è anche cavalcare – e non solo nell’affermazione internazionale ma anche nel mercato interno – la grande capacità di diversificazione economica.

Altro pallino di Emanuel è combattere il crimine, “strade sicure” è il suo mantra, lavorando su interventi sociali (mentoring dopo scuola come il Chicago Crime Lab e programmi per inserimenti dei giovani nel mondo del lavoro, sono un modo per agire in una sorta di Minority Report, prevenendo per certi aspetti il crimine prima che accada, togliendo i ragazzi dalle strade) tanto quanto sul dispiegamento degli agenti. Il tasso di criminalità è sceso ai minimi dal 1965 – pur restando superiore a quello di NY, per esempio. In città la vendita di armi è vietata, e gli sforzi sono di esportare questo grande argomento della politica democratica – e obamiana – del momento, anche nelle giurisdizioni adiacenti.

L’altra grande ossessione è “stabilizzare le finanze”, si diceva. Ai tagli di bilancio necessari per riassestare le casse cittadine dopo anni da “spendaccioni” («Il decennio perduto», così Emanuel ha definito quello del suo predecessore Richard M. Daley), sono venuti in aiuto anche interventi di donatori privati. Qui la rete di contatti personali di Emanuel, fa e ha fatto la differenza. Addirittura personalità del mondo dello sport, come Magic Johnson (che durante la sua attività agonistica nei Los Angeles Lakers aveva nei Bulls gli acerrimi rivali), hanno investito soldi in venture filantropiche nel precario South Side. «Penso che si possa fare bene e fare del bene allo stesso tempo», ha detto Magic in un evento cittadino di gennaio, dominato dall’eloquio diel sindaco.

La motivazione con cui il CIO aveva rifiutato la candidatura di Chicago alle Olimpiadi del 2016 – circostanza dove lo stesso Obama s’era speso con un volo a Copenaghen per influenzare il Comitato olimpico – era stata chiara, e ha raccontato molto di come era la città che ha trovato Emanuel: la corruzione, il principale punto negativo. Daley aveva ricambiato il non-intralcio dei sindacati alla candidatura, con la concessione di aumenti salariali a due cifre, riduzione delle ore di lavoro e altri vari benefit, concessi a 33 mila dipendenti pubblici; e in cambio aveva ottenuto quello che Edward Luce sul Financial Times Magazine ha definito «entusiasmo elettorale».

La sfida delle sfide per il sindaco, adesso, sarà affrontare il problema delle pensioni: tra i benefit concessi da Daley infatti c’era la possibilità di un pensionamento anticipato, ma con il massimo dell’anzianità; voce che a quanto pare nel 2014 coprirà un settimo del bilancio cittadino. Alcune proiezioni dicono che per far fronte al problema, si dovrebbero aumentare le tasse di proprietà del 150 per cento, oppure eliminare la gran parte dei servizi essenziali: ma Emanuel preferisce camminare sempre per la sottile linea del politico su questo argomento, tralasciando l’irruenza dialettica che caratterizza i suoi speech; parlare apertamente di quello che è necessario fare, potrebbe essere un rischio di giocarsi la rielezione.

L’altro punto cruciale, l’altra ossessione, è la scuola: “scuole forti”. Se il crimine è il problema storico e se la stabilizzazione delle finanze sono l’aspetto più pericoloso (anche per colpa delle pensioni), quella dell’istruzione è la questione meno tractable che ha dovuto affrontare. E dove il sindaco rischia, e ha rischiato, di perdere contatto con le fasce più deboli. Tempo fa in un confronto privato con il potentissimo sindacato scolastico, Chicago Teachers Union, ha dato il massimo della sua focosità, mandando a quel paese la capo Karen Lewis, suscitando una serie di scioperi dietro l’altro: si discuteva sull’allungamento della giornata scolastica (che a Chicago è la più breve d’America). L’ha spuntata Emanuel, ma un sondaggio ha confermato che la popolazione era con gli insegnanti. L’anno scorso poi, ha chiuso contemporaneamente 54 scuole pubbliche dello spopolato South Side (tutte, a dire il vero, con un numero di iscritti molto inferiore alla portata per cui erano state costruite). Eliminare sperperi, inefficienza, scarsi risultati sul piano educativo, lassismo: senza pensarci due volte ha dato indicazioni al Board of Education di prendere la scomoda e drastica decisione.

Pragmatico: soprattutto perché oltre i bambini che piangevano e invitavano il sindaco a ripensarci, dietro c’è un mondo (quello del South Side) dove l’insegnamento è l’unico modo per i neri (e di sinistra) di arrivare a posti di lavoro medio borghesi. Ecco perché si diceva, anche, che tra le famiglie di colore “degetrifing” dovrà lavorare molto per riottenere i voti del 2011. La Lewis, ancora lei, glie l’ha giurata, assicurando che cercherà ogni modo per evitare che qualcuno dei suoi 26 mila iscritti metta la “x” sopra il nome di Emanuel alle elezioni del 2015. Ma questo genere di sfide per Rahmbo sono linfa: «Subirò qualsiasi conseguenza politica se ciò serve a dare un futuro migliore ai nostri figli – replicò ai tempi – chiudere queste scuole fatiscenti era politicamente rischioso ma necessario per l’educazione dei ragazzi».

È stato in questo passaggio che si è cominciato a percepire quello che viene identificato come il tallone di Achille di Emanuel, la mancanza di sensibilità verso il sottoproletariato. Qui la più grande differenza con il suo predecessore, che conosceva il mondo reale cittadino e chiamava per nome i netturbini. Rahmbo, così impetuoso nel gestire gli eventi, manca spesso di anima politica, di vicinanza alla gente; e i pendolari lo vedono in treno alle 7 di mattina, dopo il jogging alle 5,30 sul Chicago Lake Shore, durante i 20 minuti di viaggio che separano la sua casa nel benestante nord dall’ufficio al City Hall, chiuso nel suo iPad,.

In questo il carattere spigoloso, abrasivo, spesso sopra le righe, i modi spiccioli, possono diventargli di peso – e non a caso la campagna che lo elesse sindaco, fu volutamente improntata sulla sobrietà, perché se è vero che molti ringraziano lui per essere stato al centro della strategia che ha riportato il controllo della Camera ai democratici nel 2006 e nel 2008, altri lo incolpano direttamente dell’inasprimento dei rapporti tra Congresso e Casa Bianca.

La Casa Bianca, appunto: tra gli insider di Washington è già da tempo cominciato a circolare il suo nome tra quelli candidabili. Lui non si sbilancia troppo, nega, racconto del suo ruolo da sindaco e che lì deve far bene: ricorda qualcun altro. Poi però, cercando negli archivi, trovi che ha più volte detto esplicitamente che ha iniziato a fare politica con l’obiettivo di essere il primo speaker ebreo al Congresso. E a chi gli ha chiesto delle sue ambizioni future, ha risposto che lui «è fatto di questo lavoro»: un “vedremo” che potrebbe lasciar aperte molte strade.

In Italia la parola (e tutto quel che si porta dietro) “ambizione”, in politica è stata sdoganata da Matteo Renzi, sindaco anche lui, in quella riunione di direzione Pd in cui si decise la sostituzione del premier, Letta, col Segretario, Renzi appunto. Nell’America che fu regno del self made man, attualmente l’aspirazione personale deve essere lasciata in secondo piano, almeno da chi vuole andare a prendere un certo tipo di voti. In questo, Emanuel paga certe scelte fatte fin qui nel suo percorso da primo cittadino: perché correre per la presidenza non è solo pragmatismo e capacità di attrarre finanziamenti, carte forti, necessarie, di cui sicuramente Emanuel può dotarsi. A fianco all’accountability necessaria per governare – quella c’è, per carità –, il sindaco di Chicago dovrà, semmai vorrà, essere in grado di ricreare feeling pieno con l’elettorato, tutto, anche quello “più scomodo” per la sua azione politica, quello delle classi inferiori, perso per strada, sacrificato sull’altare del fare – e ci sarà da tenere d’occhio quella deriva left populist su cui sta deviando quell’elettorato democratico.

Certo dalla sua Emanuel ha una situazione in cui i bizantinismi del Congresso, i filibustieri e via dicendo, hanno troppo spesso bloccato il procedere delle attivà del Paese, e del sentimento indotto sulla popolazione di passaggi come quello dello shutdown, i repubblicani ne hanno avuto prova dai pessimi sondaggi successivi. Sebbene il Gop stia ancora continuando su quella strada, preparando un’altra campagna sanguinaria, da iniziare già con le mid term – il nome della war room 2.0, la struttura digitale diretta da Chuck DeFeo e Azarias Reda che dopo la disfatta di Romney (anche e soprattutto sul campo della comunicazione) avrà il compito di riposizionare il partito repubblicano su social network e affini, la dice chiara: l’hanno chiamata Para Bellum. È qui, davanti a certi comportamenti poltici, che i modi sopra le righe, diretti, spesso aggressivi, di Rahmbo possono trovare spalla elettorale – serve un uomo da battaglia, da guerra – : è qui, ancora, dove qualcuno potrebbe preferirlo al candidato Clinton, pieno establishment capitolo, che in mezzo al pantano congressuale ha passato molto (troppo?) tempo.

Supposizioni premature, letture precoci di un un futuro in cui le carte per il 2016 sono ancora (quasi) da scoprire, con la ex Segretario di Stato che sembra un passo avanti a tutti gli altri possibili candidati dem.

E poi prima delle prossime presidenziali, Emanuel avrà le elezioni per il secondo mandato da Major e là potrà sfogare la sua ferocious ambition – e misurarsi con quel che è restato di lui all’elettorato, dopo il primo passaggio di governo cittadino, aspettando magari il prossimo giro presidenziale, con calma, senza bruciare tappe.

Come dire: Hillary stai serena, appunto.

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