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Papa Francesco, una vita alla luce della fede

“La fede è la risposta a una Parola che interpella personalmente, a un Tu che chiama per nome”. E ancora: “La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cam­mino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza”. Chiara è, dunque, nella Lumen fidei, la natura della fede.

L’uomo, fa presente papa Francesco, non può accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, non può rinunciare alla ricerca di una luce grande in grado di illuminare tutta l’esistenza: “Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo, stella mattutina che non tramonta”. La scienza non risponde, per principio, a quelli che sono i problemi più importanti per l’uomo; la filosofia non salva; e il “Senso” è sempre religioso. Ed è proprio alla luce del senso religioso, sotto il faro di luce proiettato dalla fede, che papa Francesco vede: l’origine e la fine della vita; la dignità unica della singola persona; il valore della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna; il rispetto della natura quale “dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita”; la ricerca di “modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto”; un impegnato e concreto servizio alla giustizia, al diritto e alla pace; il senso della sofferenza quale “tappa di cresci­ta della fede e dell’amore”; la convinzione che “la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro”. E soprattutto è alla luce della fede che il cristiano comprende che non può adorare nessun “vitello d’oro”: “L’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani […]”. La realtà è che “L’idolatria è sempre politeismo, mo­vimento senza meta da un signore all’altro”. Per il cristiano solo Dio è assoluto; tutto ciò che è umano è storico, perfettibile, contestabile, non assoluto. Predica­re l’assolutezza, la perfezione, di qualsiasi prodotto o istituzione umana equivale a creare idoli. E tra gli idoli che la luce della fede smaschera c’è quello che qual­cuno ha chiamato “il più freddo di tutti i mostri”, vale a dire lo Stato assoluto.

Le riflessioni che seguono vertono, rispettivamente, su alcuni problemi di natura filosofica e su questioni socio-politiche su cui l’Enciclica pone l’ac­cento alla luce della fede. Ci siamo ritrovati con alcuni amici a discutere dei temi sollevati dall’enciclica e insieme abbiamo pensato di mettere per iscritto quelle riflessioni.

Il pontificato di papa Francesco si è caratterizzato immediatamente per al­cuni gesti solo apparentemente inusuali, sebbene qualcuno sia giunto persino a definirli rivoluzionari: dire buonasera, stringere le mani di chi ha viaggiato tanto per incontrarlo, dire che vorrebbe una Chiesa povera e per i poveri, manifestare il suo imbarazzo nei confronti del carrierismo che affligge anche i sacerdoti. Insomma, un papa che fa il papa e che ricorda a tutti, laici e con­sacrati, che il dover essere del cristiano è racchiuso tutto nel vangelo, nella sua radicale semplicità.

Ci siamo chiesti, dunque, se e come i gesti di ordinario cristianesimo espressi da papa Francesco incontrino la riflessione dello stesso in ambito filosofico e socio-politico. L’occasione ci è stata offerta dalla promulgazione lo scorso 29 giugno della sua prima enciclica: la Lumen fidei, dedicata al tema della fede. Volutamente non siamo entrati nelle questioni che attengono il dibattito teologico, lasciando ad altri, più esperti, tale compito. Ci siamo concentrati, invece, sui temi che, a partire dalla riflessione teologica, investo­no le problematiche del vivere quotidiano, facendoci interpellare dai risvolti filosofici e socio-politici degli stessi.

Non coltiviamo la presunzione di aver esaurito il discorso; tutt’altro, cre­diamo di averlo appena introdotto e ci auguriamo che qualcuno intenda ri­splenderlo, proseguirlo, magari criticarlo, e comunque non lasciare che le sollecitazioni e l’invito alla riflessione di papa Francesco finiscano in un ideale dimenticatoio.

LA FEDE NON E’ UN RIFUGIO PER GENTE SENZA CORAGGIO

La fede libera dall’idolatria (“l’idolo è un pretesto per porre se stessi al cen­tro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani”; “l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro”); l’atto di fede del singolo si inserisce in una comunità, “nel “noi” comune del popolo che, nella fede, è come un solo uomo, “il mio figlio primigenio”, come Dio chiamerà l’intero Israele”; “La fede non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere”; “Abbiamo bisogno di qualcuno che sia affidabile ed esperto nelle cose di Dio. Gesù, suo Figlio, si presenta come Colui che ci spiega Dio”; “Co­lui che crede, nell’accettare il dono della fede, è trasformato in una creatura nuova, riceve un nuovo essere, diventa figlio nel Figlio”; “La salvezza attra­verso la fede consiste nel riconoscere il primato del dono di Dio”; “La nuova logica della fede è centrata su Cristo […] La fede sa che Dio si è fatto molto vicino a noi, che Cristo ci è stato dato come grande dono che ci trasforma interiormente, che abita in noi, e così ci dona la luce che illumina l’origine e la fine della vita, l’intero arco del cammino umano”; “La fede ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa dall’interno del corpo di Cristo. Come comunione concreta dei credenti […] La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio”.

Contro la presunzione fatale di uno scientismo che accetta “come verità solo quella della tecnologia” e per cui è vero unicamente «ciò che l’uomo rie­sce a costruire e misurare con la sua scienza», con la conseguenza che “la verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto”, il papa fa presente che “è nell’intreccio della fede con l’amore che si comprende la forma di conoscenza propria della fede, la sua forza di convinzione, la sua capacità di illuminare i nostri passi […] Amore e verità non si possono separare”; “Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro”; “La fede illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di ar­monia e di comprensione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il senso critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande”; “Dio è luminoso, e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con animo sincero”; “L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende sempre”.

“Nella teologia non si dà solo uno sforzo della ragione per scrutare e cono­scere, come nelle scienze sperimentali. Dio non si può ridurre ad oggetto. Egli è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel rapporto tra persona e perso­na”; conseguentemente “la teologia è impossibile senza la fede”; “La teologia […] condivide la forma ecclesiale della fede; la sua luce è luce del soggetto credente che è la Chiesa”; “Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli”; “La Chiesa è una madre che ci insegna a parlare il linguaggio della fede”; “È impossibile credere da soli. La fede […] si apre, per sua natura al “noi”, avviene sempre all’interno della comunione della Chiesa”; “Nei sa­cramenti si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i sacramenti sono i sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale”; “La fede non si configura solo come un cammino, ma anche come l’edificazione, la preparazione di un luogo nel quale l’uomo possa abitare insieme con gli altri”; “Proprio grazie alla sua connessione con l’amore, la luce della fede si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace”; “La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere af­fidabili, di arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei”; “Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia”; “La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”; “Grazie alla fede abbiamo capito la dignità unica della singola persona, che non era così evidente nel mondo antico”; “La fede, inoltre, nel rivelarci l’amore di Dio Creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci riconoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tutti siamo debitori”; “Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, af­fidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore”; “La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il leb­broso, o per la beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro”.

LA LUCE DELLA FEDE E LA CITTA’ DELL’UOMO 

Gli aspetti esplicitamente sociali nell’enciclica sono presenti nel capitolo quarto, intitolato “Dio prepara per loro una città” (Eb. 11,16), e occupano i paragrafi dal 50 al 57, lì dove ilpontefice aggredisce i seguenti temi: “La fede e il bene comune”, “la fede e la famiglia”, “Una luce per la vita in società” e “Una forza consolante nella sofferenza”.

Il primo assunto è estremamente importante, in quanto tocca un prin­cipio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, oggetto di grandi di­battiti e sempre in biblico tra opposte interpretazioni, ora utilitaristiche ed economicistiche, ora retoriche e paternalistiche, sempre inadeguate rispetto alla prospettiva antropologica sulla quale riposa il messaggio della Dottrina sociale della Chiesa: la persona imago Dei, libera e, per questo, chiamata ad essere responsabile. Il bene comune, sulla scia della dignitatis humamae e della gaudium et spes, è irriducibile ad un’unica soluzione, dunque, altrettanto irri­ducibile ad un’unica istituzione: locale o globale che sia.

Papa Francesco ci dice che la saldezza della fede ha a che fare anche con la “città che Dio sta preparando per gli uomini”, nella misura in cui la qualità della relazione tra le persone agenti è in grado di rivelare la sua presenza nel mondo. La fede è rivelatrice della qualità del vincolo sociale, un vincolo che se non è capace di esaltare la libertà di tutti e di ciascuno appare distante dall’ideale cristiano. In questo modo, la fede illumina anche i rapporti tra gli uomini, ne offre la cifra autenticamente umana, li caratterizza come sorgente di libertà e qualifica, di conseguenza, anche le istituzioni che tali legami ren­dono possibili.

In questo contesto, papa Francesco mostra come la luce della fede non fondi la città di Dio sulla terra, quanto piuttosto qualifichi cristianamente le istituzioni che gli uomini saranno capaci di edificare per se stessi e per altri uomini.

Con riferimento al tema “La fede e la famiglia”, il papa ci dice che il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini è proprio la famiglia. La famiglia cristianamente intesa presuppone il riconoscimento di un progetto di vita che va ben oltre il proprio, sia in termini relazionali sia in termini temporali. Solo quando si scopre un progetto più grande del proprio e si realizza che esso è perseguibile grazie alla relazione con la persona amata, ci si promette amore eterno e ci si dona totalmente all’altro. Sicché, la fede ci illumina sul senso più intimo e personale e, nel contempo, civile e pubblico della famiglia, al punto che esprime la ragione fondamentale in forza della quale possiamo declinare al plurale la nozione di “bene comune” e considera­re la famiglia l’istituzione che maggiormente esprime il carattere poliarchico della società civile.

La luce della fede riverbera i suoi bagliori anche nel rapporto tra l’uomo e la natura. È questo un tema da sempre all’attenzione dei pontefici e un capi­tolo fondamentale della dottrina sociale della Chiesa. La riflessione del papa spinge i cattolici a considerare tali problemi alla luce del contesto globale, un contesto irriducibile all’azione di governo (che sia espressione dello stato nazione tradizionalmente inteso o di un fantomatico, fantasioso, pericoloso e inutile “governo globale”) e fortemente proiettato verso una “governance sussidiaria e poliarchica” che, dal basso verso l’alto, intraprenda la cosiddetta “via istituzionale della carità”, per usare una bella e convincente espressione presente nella Caritas in veritate di Benedetto xvi.

Un ulteriore aspetto che investe la sfera sociale è il tema della sofferenza. In breve, il papa ci ricorda che il cristiano sa bene che la sofferenza non può essere eliminata, tuttavia, essa nel mistero-scandalo della Croce assume un senso, nella misura in cui diventa “atto d’amore e affidamento nella mani di Dio che non ci abbandona”; sicché, la sofferenza diventa una tappa di crescita nella fede e nell’amore.

In modo particolare, la sofferenza personale ci aiuta a non distrarci rispet­to alle sofferenza del mondo, a rimanere con i piedi saldamente piantati per terra, uomini attenti alla contingenza, al dato creaturale di soggetti imper­fetti e bisognosi dell’aiuto del Padre. La luce della fede, allora, diventa anche un antidoto contro l’idolatria dell’uomo, la “presunzione fatale” dettata dalla pretesa onnipotenza di chi immagina di formare, di plasmare e di edificare le istituzioni intorno a un deliberato disegno, ad un’idea di società che ritiene doveroso darsi nella storia.

CONCLUSIONI

A mo’ di conclusione, possiamo dire che l’elezione al Soglio pontificio di papa Francesco sembrerebbe abbia ridestato l’interesse sul rapporto tra religione e istituzioni economiche e politiche. Rapporti difficili, conflittuali e storica­mente segnati dalle storture e dalle ingiustizie causate da uomini che hanno fatto della “brama di potere” e della ricerca del successo “ad ogni costo” la loro norma di vita. Le istituzioni non sono soggetti di atti morali, di conseguenza, non sono in sé né buone né cattive, riflettono le azioni e i modi di pensare delle persone che vi operano.

È l’identificazione del denaro e del potere come idoli ad essere condanna­ti, idoli ai quali inchinarsi e in nome dei quali sacrificare le nostre scelte. Idoli che si presentano con le vesti ordinarie e quotidiane del successo professiona­le, del mors tua vita mea, di chi pretende di raccogliere senza aver seminato e di chi semina la morte per il proprio tornaconto. Sono gli idoli accattivanti e generalmente tollerati perché un po’ tutti ci rappresentano, nei confronti dei quali si è solitamente più indulgenti e auto assolutori. In breve, è un atteg­giamento, una predisposizione, un comportamento che diventano costume, l’aria stessa che respiriamo che giunge a intossicare le nostre coscienze e a corrompere le istituzioni della democrazia e del mercato. È l’insana pretesa di essere assolti anche quando “ad ogni costo” e “a qualsiasi prezzo” anteponia­mo il nostro interesse immediato a quello di chi ci vive accanto, fosse anche qualcuno che deve ancora nascere.

Articolo contenuto nell’allegato del numero di marzo della rivista Formiche dal titolo “E venne Francesco”.

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