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L’Occidente alla guerra contro i paesi produttori di energia

È sintomatico che da un decennio si assista a guerre contro i governi, legittimi ma spesso utilmente autocratici, che controllano l’energia (petrolio, gas e uranio). Le guerre possono essere guerreggiate o a ‘bassa intensità’, cioè mediatiche o finanziarie o con l’uso di ‘agitatori’ di compagnie private pagate dai governi occidentali.

Il periodo di guerre contro i paesi produttori di energia è iniziato nel 2003 con l’invasione anglo-americana dell’Iraq e la deposizione, terminata con l’assassinio, di Saddam Hussein. Prova della colpevolezza di quest’ultimo era una polverina bianca (forse talco, spacciato per antrace) agitata con imbarazzo da Colin Powel al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Operazioni a ‘bassa intensità’, ma non meno drammatiche e sanguinose, si sono susseguite in Yemen, Somalia, Nigeria, Angola, Algeria, Sudan, Repubblica Centraficana, Mali, Niger, Congo, Iraq, Libia, Venezuela, Guatemala, e da ultime, le guerre ‘per procura’ in Siria, Ucraina, e vari paesi del Caucaso e Asia Minore. Tutto ciò è stato mascherato dietro l’etichetta ‘guerra al terrore’ (islamico) voluta dai neocons (Dem e Rep) che influenzavano il labile Geroge W. Bush, dopo i terribili eventi dell’11 settembre 2001. Sembra che questi neocons continuino ad influenzare anche Obama. Le parole del numero due del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, “fottiamo l’Europa” o “che l’Europa si fotta”, sono esplicitamente chiare. Centinaia di migliaia di morti, distruzioni e ferite insanabili per il bene delle ‘compagnie’ americane e dei mandarini di Wall Street e della City.

Ma l’Arabia Saudita, con la quale gli Usa hanno un patto capestro concluso su una nave da guerra americana nel 1945, non si tocca. Che il principe Bandar, ambasciatore saudita a Washington per 20 anni, fosse diventato il pianificatore e il finanziatore della Jihad, dei Salafiti e di varie cellule Qaediste non si poteva dire. Lo ha fatto quel terribile autocrate con il nome di Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, dopo essere stato minacciato proprio da Bandar alla vigilia dei giochi olimpici di Sochi. Immediatamente, si sono esaltate tutte le pessime qualità ‘omofobe’ di Putin e della Russia, ed è cominciata la ‘rivoluzione’ europeista, ma in verità nazional-nazi-fascio-criminale in Ucraina. Ma con Putin non si scherza, e così la mummia regnante in Arabia Saudita ha deciso, qualche settimana fa, di destituire il principe Bandar dal ruolo di capo dei servizi segreti del regno. A questo punto, il primo ministro dell’Iraq, Nuri al-Maliki, ha rilasciato un’intervista esclusiva al canale France 24, accusando direttamente l’Arabia Saudita e il Qatar di finanziare i terroristi islamici, salafiti e qaedisti, in Iraq e in Siria. Detto fatto, al-Maliki è pazzo e “irresponsabile”. Non una parola da parte dell’Unione europea o dagli Usa. Invece, in Ucraina assistiamo ad un duello tra Usa e Russia, con l’assenza strategica ma la presenza opportunistica e servile dell’Ue e dei suoi stati membri.

La situazione in Ucraina è una mascherata mediatica che può essere perfettamente capita leggendo quanto scriveva già nel 1998 Zbigniew Brzezinski nel suo libro “The grand chessboard”: “E’ imperativo che non emergano sfidanti in grado di dominare l’Eurasia e di sfidare l’America… L’Eurasia contiene tre quarti delle risorse energetiche mondiali conosciute.. Perni geopolitici sono quegli Stati la cui importanza non deriva dal loro potere, ma dalla loro sensitiva posizione… L’Ucraina, un nuovo e importante spazio sulla scacchiera euroasiatica, è uno perno geopolitico perché la sua stessa esistenza come stato indipendente determina la trasformazione della Russia. Senza l’Ucraina la Russia cessa di essere un impero euroasiatico… Se Mosca riguadagnasse il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e il suo accesso al Mar Nero, la Russia riconquisterebbe automaticamente la potenzialità di diventare un potente Stato imperiale che si estende dall’Europa all’Asia….”

Pochi commenti sono necessari per capire che la pianificazione degli eventi in Ucraina trova origine in un piano ben predeterminato che, dopo le dottrine strategiche di Henry Kissinger, doveva salvare dal previsto fallimento a termine (20 anni) dell’economia finanziarizzata dell’Occidente.

Sull’Ucraina, dopo tutto ciò che gli Usa e alcuni alleati hanno fatto in giro per il mondo, nessuno obietta all’infuocato John Kerry che in un’intervista ha dichiarato: “Non si invade pretestuosamente un altro paese per i propri interessi.” Il nostro presidente del consiglio direbbe, se potesse: A chi si riferiva? Che anche lui si sia perso qualche film? Fortunatamente abbiamo una giovane ministra degli affari esteri che è pacifista e che in un’intervista a Vincenzo Nigro di La Repubblica ci tratteggia il mondo dei sogni, di serenità e pace. Peccato che, invece, la Chatham House usi altro linguaggio e abbia altri propositi.

Veniamo adesso alla situazione in Iran. L’ineffabile quanto inquietante baronessa Catherine Ashton, un’ignota britannica prestata al rango di Alto Commissario dell’Ue per la politica estera e la sicurezza, ritiene di giocare un ruolo cruciale nei negoziati sul nucleare iraniano. Peccato che proprio oggi, in una conferenza sul tema, l’esperto da Washigton dichiarava che l’Ue esiste, si agita, ma è inesistente in questi negoziati che sono bilaterali Usa-Iran. Eppure, la baronessa è proprio a Tehran da dove ha dichiarato che “l’esito dei negoziati sul nucleare iraniano non è scontato”. La stessa baronessa, nel novembre 2013 si era recata al fianco dei manifestanti della piazza ucraina per sostenere la loro domanda “europeista” (sic!).

Più seriamente, la situazione iraniana è delicata e pericolosa. Che l’Iran si trovi in una situazione effettivamente post-rivoluzionaria lo sanno tutti, anche la Guida Spirituale. Due terzi della popolazione ha meno di 35 anni e chiede di avere una vita normale – attenzione: non una primavera o una rivoluzione democratica colorata – che significhi la normalizzazione della qualità della vita rovinata sia dagli errori dei propri leader sia dalle stupide sanzioni economiche imposte dagli Usa (e dall’Ue). Il negoziato sul nucleare è stato un capolavoro diplomatico che permette di trattare sul ruolo che l’Iran deve poter avere nel sistema internazionale, per il commercio, e regionale, per la sicurezza.

Il problema è che gli Usa hanno una strana situazione, con due politiche estere parallele e non convergenti. Da un lato quella di Obama, dall’altro quella dei neocon (Dem e Rep). A questo si aggiunge l’ipoteca, ormai più morale che sostanziale, delle relazioni con Israele. Intanto, la leadership iraniana ha bisogno di risultati tangibili, a breve, nei prossimi 3-6 mesi, per dimostrare alla popolazione che la scelta di negoziare con ‘satana’ è stata vincente. È in questo contesto che più che l’Ue, i singoli paesi membri possono, e forse devono, operare delle scelte anche in contraddizione del ‘grande alleato’ transatlantico. Se ciò non sarà permesso, allora si aprono scenari molto inquietanti che non porteranno alla pace ma alla guerra (mondiale).

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